LO SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA NEL TRATTATO DI RIFORMA: LE DISPOSIZIONI GENERALI - Sud in Europa

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LO SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA NEL TRATTATO DI RIFORMA: LE DISPOSIZIONI GENERALI

Archivio > Anno 2008 > Febbraio 2008
di Ruggiero CAFARI PANICO (Ordinario di Diritto dell’Unione europea dell’Università di Milano)    
1. Il Trattato di riforma ha fatto propria l’eliminazione della divisione in pilastri già prevista dal Trattato costituzionale, riconducendo (art. 2, punto 63 del Trattato di riforma), in particolare, tutta la materia del terzo pilastro ancora disciplinata dal TUE (Titolo VI, artt. 29-42) nel Trattato sul funzionamento dell’Unione, dove un nuovo Titolo IV (artt. 61-69 L), denominato “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (di seguito SLSG), sostituisce l’esistente Titolo IV (artt. 61-69) del TCE, relativo a visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone. Il nuovo Titolo si articola in 5 Capi che riguardano rispettivamente: disposizioni generali (Capo 1, artt. 61-68); politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo ed all’immigrazione (Capo 2, artt. 69-69 C); cooperazione giudiziaria in materia civile (Capo 3, art. 69 D); cooperazione giudiziaria in materia penale (Capo 4, artt. 69 E-69 I); cooperazione di polizia (Capo 5, artt. 69 J-69 L).
Le disposizioni del nuovo Titolo IV sono in realtà, come indicato nel mandato conferito alla Conferenza intergovernativa, ai sensi dell’art. 48 TUE, dal Consiglio europeo di Bruxelles (21-22 giugno 2007), il risultato delle integrazioni nel TCE delle innovazioni contenute nel testo del Trattato costituzionale, come meglio precisato nel mandato stesso, e di ulteriori modifiche previste sempre nel mandato, e in particolare, nel suo Allegato 2 (“modifiche al Trattato UE”). L’ abolizione del terzo pilastro se, da un lato, rende ancora più stridente il fatto che diversamente la PESC continui ad essere disciplinata dal Trattato UE, dall’altro, ha ricondotto tutta la materia della giustizia e affari interni sotto il metodo comunitario e quindi alla procedura legislativa ordinaria, pur non mancando ancora casi in cui è previsto il ricorso ad una procedura (legislativa) speciale che comporta, a seconda dei casi, che il PE sia previamente consultato o debba invece dare la propria approvazione, fermo restando che il Consiglio in ogni caso delibera all’unanimità. Le nuove norme, riscrivendo in maniera unitaria l’intera disciplina del settore, ottengono un risultato di indubbia semplificazione, ponendo termine a duplicazioni oggi esistenti sul piano normativo, essendo la materia oggetto di disciplina in entrambi i pilastri (primo e terzo). Solo in taluni casi poi il nuovo testo riproduce intere norme o singoli paragrafi delle attuali disposizioni, risultando in generale la formulazione ampiamente innovativa rispetto sia al TCE che al TUE.
Nel Trattato costituzionale l’art. I-42 individuava i settori d’azione dell’Unione in materia, distinguendo tra attività legislativa, reciproco riconoscimento delle decisioni e cooperazione operativa della autorità degli Stati membri. Affermava poi (par. 2) il ruolo dei parlamenti nazionali nei meccanismi di valutazione introdotti dall’art. III-260 (ora art. 64 del Trattato sul funzionamento) e nel controllo e valutazione dell’operato di Europol e Eurojust, sulla base rispettivamente degli artt. III-276 (ora 69 K) e III-273 (ora 69 H). Infine, riconosceva agli Stati il diritto di iniziativa nei settori della collaborazione di polizia e giudiziaria in materia penale da esercitarsi conformemente all’art. III-264 (ora art. 68).
Tale disposizione che riformulava, ampliandolo, l’art. 29 del TUE, non figura più nel nuovo testo, dove più semplicemente il suo contenuto è ripreso nelle singole disposizioni richiamate, con di fatto la sola eccezione dell’indicazione “favorendo la fiducia reciproca tra le autorità competenti degli Stati membri” (sul punto Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, p. 113 s., specie p. 114), senza però che tale omissione limiti in alcun modo la rilevanza del principio della fiducia reciproca, consacrato come pietra miliare nello sviluppo dello SLSG dal vertice di Tampere del 15-16 ottobre 1999.
Ad una esigenza legata all’architettura su due Trattati (quello dell’Unione e quello del suo funzionamento) introdotta dal Trattato di riforma, rispondono anche le novità introdotta in tema di cooperazioni rafforzate. Va ricordato in merito che l’attuale art. 40 del TUE prevede il ricorso a forme particolari di cooperazione rafforzata al fine di consentire all’Unione “di diventare più rapidamente uno spazio di libertà di sicurezza e di giustizia”. Tale norma e le successive disposizioni attuative (artt. 40 A e 40 B), come pure quelle del Titolo VII dedicate espressamente all’instaurazione, in generale, di una forma di cooperazione rafforzata (artt. 43-45), sono state tutte sostituite da un norma unica, l’art. 10 del TUE (art. 1, punto 22 del Trattato di riforma) e, per quanto attiene alla disciplina di dettaglio, dagli articoli da 280 A a 280 I del Trattato sul funzionamento, sotto un nuovo Titolo III della parte V denominato “cooperazioni rafforzate” (art. 2, punti 277 e 278).
La competenza in materia di SLSG spetta dunque di regola congiuntamente agli Stati membri e all’Unione, come risulta dall’art. 4, par. 2, lett. J del Trattato sul funzionamento (che riproduce l’art. I-14 del Trattato costituzionale). Ciò non toglie che esistono ancora ambiti nei quali continua a sussistere la competenza esclusiva degli Stati (artt. 66 bis, par. 4; 69, par. 4 e 69 B, par. 5) o l’Unione esercita una competenza di sostegno (art. 69 B, par. 4). Secondo la Dichiarazione n. 23 allegata al nuovo Trattato, che a sua volta riproduce, con i necessari adattamenti, la Dichiarazione n. 25 allegata al Trattato costituzionale, gli Stati membri, possono poi concludere accordi con Stati terzi ed organizzazioni internazionali relativi allo SLSG, con eccezione delle materie che riguardano il controllo di frontiera, l’asilo e l’immigrazione, purché tali accordi non siano in contrasto con il diritto dell’Unione. Si pone così termine ad una annosa discussione tra la Commissione e gli Stati membri riguardo all’ambito di competenza ancora in capo a questi ultimi.

2. Venendo ora ad esaminare le singole disposizioni generali relative allo SLSG, apre il Capo in esame l’art. 61 (che riproduce in toto l’art. III-257 del Trattato costituzionale), in base al quale l’Unione è tenuta a realizzare lo SLSG “nel rispetto dei diritti fondamentali” e “dei diversi ordinamenti e tradizioni giuridiche degli Stati membri”. Vengono così sanciti, da un lato, il collegamento con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, non più integrata nella parte II del Trattato costituzionale, ma comunque resa vincolante dalla Dichiarazione n. 29, e, dall’altro, il rispetto delle prerogative nazionali in settori strettamente connessi all’esercizio della sovranità nazionale. I tre elementi costitutivi dello spazio sono poi declinati con la specificazione, anzitutto, che la libertà di circolazione (par. 2) viene garantita attraverso l’eliminazione dei controlli sulle persone alle frontiere interne, accompagnata dallo sviluppo di una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere interne, fondata sulla solidarietà. Per assicurare poi un elevato livello di sicurezza (par. 3), l’Unione è chiamata ad adottare misure sia di prevenzione e di lotta alla criminalità al razzismo e alla xenofobia sia di cooperazione tra le forze di polizia e le altre varie autorità interessate. Altri strumenti che, come già indicato nell’art. I-42 del Trattato costituzionale, concorrono a realizzare l’obiettivo in questione sono il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e il ravvicinamento, quando necessario, delle legislazioni penali. È stato infine mantenuto il riferimento all’accesso alla giustizia (par. 4), facilitato attraverso, in particolare, il reciproco riconoscimento in campo civile delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali.
La formulazione del par. 1 dell’articolo in esame postula che la realizzazione dello SLSG possa avvenire in maniera autonoma rispetto al mercato interno. La complementarità di tali obiettivi è in realtà già realizzata nei fatti, dove entrambi concorrono alla creazione di uno spazio europeo tout court che garantisca al cittadino il pieno esercizio delle libertà fondamentali. Inalterato è rimasto anche l’art. III-258, ora art. 62, che attribuisce al Con-siglio europeo, ora istituzione dell’Unione, nella nuova accezione, il compito di definire gli orientamenti strategici sul piano sia legislativo sia operativo per la realizzazione dello SLSG, senza peraltro menzionare il PE, come pure risulta immutato (art. 63) il ruolo esclusivo attribuito al riguardo ai parlamenti nazionali, quando si tratti di esprimere una valutazione sulle proposte o iniziative legislative presentate riguardo alla cooperazione giudiziaria in materia penale (capo 4) e a quella di polizia (capo 5). Rimane invece estraneo all’art. 63 il PE, essendosi voluto affidare ai parlamenti nazionali il compito di proteggere le competenze statali in un settore così delicato; il PE potrà invece intervenire in relazione alle iniziative intraprese in base ai Capi 2 e 3, in quanto, come ovvio, a queste disposizioni si applicano le regole generali.
In definitiva, in base al nuovo sistema, i parlamenti nazionali partecipano alla realizzazione dello SLSG mediante il ricorso al meccanismo di allerta precoce in materia di sussidiarietà (richiamato dall’art. 63) e avvalendosi degli strumenti specifici indicati all’art. 8 C, lett. c) TUE, così come modificato dal Trattato di riforma (art. 1, punto 12), e consistenti: nella partecipazione, in associazione al PE, al controllo politico di Europol (art. 69 K, già art. III-276) e alla valutazione delle attività di Eurojust (art. 69 H, già art. III-273), innovando rispetto all’attuale Trattato; venendo informati, nello stesso modo del PE, sia del tenore e dei risultati del meccanismo, di valutazione reciproca “tra pari” (peer to peer) da parte degli Stati membri dell’attuazione delle politiche di cui al Titolo in esame, in collaborazione con la Commissione e secondo le modalità definite dal Consiglio (art. 64, già art. III-260), sia dei lavori del comitato permanente di cui all’art. 65, senza, peraltro, che sia chiaro quale uso essi, e soprattutto il PE, possano fare di tali informazioni.
Con l’art. 64 è stato quindi esteso il ricorso a quel meccanismo già utilizzato con successo in altri settori di coordinamento aperto (artt. 99 a 126 TCE) che permette di monitorare l’esecuzione a livello concreto delle politiche dell’Unione da parte delle autorità giudiziarie e di polizia.
La cooperazione operativa in materia di sicurezza interna è perseguita in particolare dall’art. 65 (già art. III-261) che, fatte salve le prerogative del Coreper, di cui all’art. 207, prevede l’istituzione di un apposito comitato permanente che sostituisce, riprendendone le funzioni, l’attuale comitato di coordinamento chiamato “comitato 36”, dal numero dell’art. del TUE che l’ha istituito. Tale comitato esiste de facto dal Consiglio europeo di Rodi del dicembre 1988 ed è composto da alti funzionari. Di detto comitato gli Stati si avvalgono anche, nel caso che operi la clausola di solidarietà che compariva ne-gli artt. I-43 e III-329 del Trattato costituzionale e ora (punto 18 del mandato) nell’art. 188 R del nuovo Trattato. Con essa gli Stati si impegnano ad agire congiuntamente in uno spirito di solidarietà e a prestarsi mutua assistenza, mobilitando tutti gli strumenti a loro disposizione in caso di attacco terroristico.
L’art. 65 ne ridefinisce in realtà il mandato, in quanto il nuovo comitato, a differenza dell’attuale, incaricato di contribuire alla preparazione dei lavori del Consiglio nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia con problemi di coordinamento, in più occasioni evidenziati, con il Coreper, si occuperà di promuovere e potenziare, come sopra rilevato, la cooperazione operativa tra le varie autorità nazionali competenti in materia di sicurezza interna, con la partecipazione degli “organi e organismi interessati dell’Unione”.
La formulazione dell’art. 66 riproduce letteralmente quella dell’attuale par. 1 dell’art. 64 del TCE e valgono perciò le considerazioni già espresse al riguardo. In particolare, gli Stati non hanno sulla base di tale disposizione una competenza esclusiva, potendo anche le istituzioni emanare norme a salvaguardia della sicurezza e del mantenimento dell’ordine pubblico (espressioni che compaiono anche in altri articoli del TCE nonché nell’art. 33 TUE); agli Stati è tuttavia così consentito di adottare provvedimenti in deroga al regime comune.
Come già accadeva nel Trattato costituzionale, negli articoli 65 e 66 viene dunque utilizzata la nozione di “sicurezza interna” da confrontare con quella di “sicurezza nazionale”, di cui al nuovo art. 66 bis che, richiamata nell’art. 4 TUE, così come riformato, a proposito delle identità nazionale degli Stati membri (allegato 1 al mandato, punto 4), resta di competenza esclusiva degli Stati, rappresentando un limite generale, fortemente voluto dal Regno Unito, all’esercizio della competenza dell’Unione. L’art. 66 bis riconosce infatti agli Stati membri la «facoltà» di organizzare «tra loro e sotto la loro responsabilità» forme di cooperazione e coordinamento, nel modo ritenuto più appropriato, tra i dipartimenti competenti delle rispettive amministrazioni responsabili per la salvaguardia della sicurezza nazionale (servizi segreti).
La cooperazione amministrativa, e non già solo operativa, tra i servizi competenti nelle materie del Titolo in esame e fra gli stessi e la Commissione è già prevista dall’attuale art. 66 TCE, che viene sostanzialmente riprodotto con opportuni adattamenti nel nuovo art. 67, in base al quale il Consiglio adotta i necessari atti (“regolamenti” nel linguaggio del Trattato costituzionale e ora, come nell’attuale Trattato, genericamente “misure”) su proposta della Commissione e previa consultazione del PE, sempre che non si ricada nelle ipotesi di cui all’art. 68 che prevede un potere di iniziativa anche degli Stati (un quarto di essi).
Nuova rispetto al Trattato costituzionale è la collocazione dell’art. 67 bis che, come indicato nel punto 19, lett. h) del mandato, riproduce l’art. III-160, che figurava nella sezione 4 del Titolo terzo sotto la rubrica “capitali e pagamenti” e che a sua volta modificava l’art. 60 TCE. Esso consente al Consiglio di adottare, insieme al PE, secondo la procedura legislativa ordinaria, nei limiti peraltro che siano necessarie per la libera circolazione e non esistano già poteri specifici, misure amministrative concernenti i movimenti di capitali ed i pagamenti (quali il congelamento dei capitali, dei beni finanziari o dei proventi economici appartenenti, posseduti o detenuti da persone fisiche o giuridiche, da gruppi o da entità non statali), qualora esse siano necessarie per consentire gli obiettivi di cui all’art. 61 con riguardo alla prevenzione e alla lotta contro il terrorismo e le attività connesse. Viene infine precisato che gli atti così adottati devono contenere le necessarie disposizioni sulle garanzie giuridiche (v. anche Dichiarazione n. 13).
Al fine di garantire la realizzazione di politiche integrate e coordinate nell’ambito dello SLSG, il Trattato generalizza il principio del monopolio del potere di iniziativa normativa della Commissione, pur spettando al Consiglio europeo (art. 62, già art. III-258) definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa, con la esclusione peraltro, difficilmente comprensibile, del PE da tale processo. Alla logica residuale del metodo intergovernativo nei settori di cui a Capi 4 e 5, incluse le relative misure di cooperazione amministrativa, di cui all’art. 67, appartiene la previsione di cui all’art. 68, in base alla quale anche gli Stati possono presentare iniziative per l’adozione dei relativi atti, sempre che i proponenti siano almeno un quarto degli Stati membri, vale a dire attualmente 7 Paesi (art. 68), mentre l’articolo 34 TUE riconosce il potere di iniziativa a ciascun Paese singolarmente. La soppressione del diritto di iniziativa accordato individualmente a ciascuno Stato favorisce i lavori dell’Unione, evitando che gli Stati cerchino di far valere con le proprie proposte specifiche esigenze nazionali, spesso legate a situazioni politiche interne, col risultato di appesantire i lavori del Consiglio e di rallentare la realizzazione del programma legislativo fissato dal Consiglio europeo. La fissazione di un quorum dà comunque ad un numero sufficientemente significativo di Stati la possibilità di recare un effettivo contributo al progresso del diritto europeo.
Sempre con riguardo alle questioni di carattere generale relative alla disciplina dello SLSG, va ricordata, come importante novità in senso “democratico”, la conferma dell’ampliamento già prevista dal Trattato costituzionale delle competenze della Corte, ponendo termine all’attuale asimmetria giurisdizionale. Sono venuti infatti meno i limiti e le deroghe previsti dagli artt. 68 TCE e 35 TUE (così abrogati), consentendo in particolare alla Corte di pronunciarsi sugli inadempimenti degli Stati membri in questo settore. Sono tuttavia confermate dal nuovo art. 240 ter (già art. III-377 del Trattato costituzionale) le eccezioni legate al controllo della validità e della proporzionalità delle operazioni “effettuate dalla polizia o da altri servizi incaricati dell’applicazione della legge di uno Stato membro”, nonché all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il “mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”, già previste dal par. 5 dell’art. 35 TUE. All’art. 234 è stato infine aggiunto un comma che, riprendendo l’innovazione già contenuta nell’art. III-369 del Trattato costituzionale, prevede un rito speciale di urgenza nel caso che il giudizio pendente davanti al giudice nazionale riguardi una persona in stato di detenzione.
Un’ulteriore eccezione, prevista, in via transitoria, su insistenza del Regno Unito (Ziller, op. cit., p. 61 s.) dall’art. 10 del Protocollo n. 10 (sulle disposizioni transitorie), esclude dall’estensione del controllo della Corte, per cinque anni dell’entrata in vigore del Trattato di riforma (par. 3), gli atti adottati dall’Unione prima di tale data nel settore della cooperazione di polizia e di quella giudiziaria in materia penale, anche se le attribuzioni della Corte stessa siano state accettate in base all’art. 35, par. 2 (par. 1). Previsione analoga compare per le attribuzioni della Commissione che non sono perciò applicabili a tali atti dell’ex terzo pilastro. Inoltre, per gli atti che siano stati eventualmente modificati, le attribuzioni della Commissione e della Corte nei riguardi degli Stati cui detti atti siano applicabili sono quelle previste dai due nuovi Trattati. Per quanto riguarda il Regno Unito, un meccanismo particolare consente poi a tale Paese (par. 4), una volta de-corso il periodo transitorio, di comunicare, almeno sei mesi prima della scadenza di tale termine, di non accettare le nuove attribuzioni della Corte. In tal caso, cessano di applicarsi a tale Stato, dalla fine del periodo transitorio, tutti gli atti di cui al par. 1, con eccezione degli atti modificati, in base al par. 2 e che siano applicabili al Regno Unito (par. 4). Il Consiglio determina con la maggioranza qualificata, di cui all’art. 205, par. 3, lett. a), il necessario regime transitorio che ne consegue, con esclusione dal voto del Regno Unito a carico del quale possono essere poste le eventuali e dirette conseguenze finanziarie che derivino necessariamente e inevitabilmente della sua non partecipazione a detti atti.

3. In conclusione, l’esame della nuova stesura delle norme relative allo SLSG non può che confermare la valutazione sostanzialmente positiva già espressa con riferimento al testo costituzionale. Rispetto a quest’ultimo le variazioni apportate sulla base del mandato sono in parte dovute ad una diversa sistemazione di norme già esistenti (artt. 67 bis e 69, par. 3), oppure ai necessari adattamenti dovuti alla eliminazione dei simboli più evidenti del processo costituzionale (legge quadro e legge europea, ad esempio). Le vere “innovazioni” sono estremamente limitate e volte, in alcuni casi, a favorire ulteriori forme di collaborazione (art. 66 bis), in altri a semplificare il testo (artt. 69 E e 69 F), in altri ancora, a confermare e precisare il meccanismo di coinvolgimento dei parlamenti nazionali (art. 69 D) o delle cooperazioni rafforzate (artt. 69 I e 69 J).
Le modifiche al TCE introdotte dal Trattato di riforma sono dunque radicali, come già lo erano quelle del Trattato costituzionale, e fanno del settore penale e di polizia quello in cui più si avverte il progresso nel cammino europeo. In poco più di dieci anni si è passati dalle prime timide forme di cooperazione intergovernativa istituita a Maastricht e migliorata ad Amsterdam e Nizza, ma comunque apparentemente destinata a rimanere sotto il ferreo controllo degli Stati, alla sua sottoposizione al metodo comunitario. Rispetto al mandato assegnato a Laeken (14-15 dicembre 2001) alla Convenzione che avviò i suoi lavori l’anno seguente, il risultato può quindi dirsi raggiunto per quanto riguarda lo SLSG, seppur con ritardo e con la rinuncia all’obiettivo costituzionale. Fra i vari quesiti e problemi posti a Laeken vi erano quelli relativi alla giustizia e sicurezza, venendo auspicato, fra le sfide e le riforme da compiere, che si realizzassero forme maggiormente integrate di cooperazione giudiziaria e di polizia. Tali obiettivi riappaiono rivisitati nel parere reso il 13 luglio 2007 dalla Commissione al Consiglio in merito alla Cig nuovamente convocata per la revisione dei trattati (COM (2007) 412 def.), dove si sottolinea che il Trattato di riforma, consentendo l’adozione di decisioni più tempestive e coerenti in materia di libertà, sicurezza e giustizia, permetterà di progredire nella lotta intrapresa dall’Unione contro il terrorismo e la criminalità e di meglio gestire i flussi migratori. Per raggiungere tale risultato è stata agevolata la cooperazione rafforzata, lasciando agli Stati, che decidessero di non prendere parte talune iniziative, la possibilità di farlo anche in un momento successivo. Sul piano poi dei contenuti l’ampliamento dello spazio penale europeo è indubitabile. Alle molte luci si accompagnano comunque ancora tante ombre, (Pocar, Gli obiettivi dell’Europa nel nuovo Trattato: un compromesso fra le luci e ombre, in Guida al diritto, Il Sole 24 ore, luglio-agosto 2007, p. 8 s.).
Del resto, giova osservare che la comunitarizzazione del terzo pilastro riguarda il futuro e non tocca il passato in quanto, in base all’art. 9 del Protocollo 10 sulle disposizioni transitorie, gli effetti degli atti adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione in base al TUE prima della entrata in vigore del Trattato di riforma rimangono invariati finché tali atti non siano abrogati, annullati o modificati in virtù dell’applicazione dei (nuovi) Trattati sull’Unione europea e sul suo funzionamento. Ciò vale anche per le convenzioni concluse tra gli Stati membri in base al TUE. Disposizioni particolari disciplinano poi le attribuzioni della Corte e della Commissione con riguardo specificamente agli atti adottati in base al TUE in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Il quadro che ne risulta è quello di uno SLSG che, non ancora del tutto affrancato dalla subordinazione al mercato interno, ha tuttavia definitivamente acquisito una propria dimensione autonoma dagli Stati grazie al ricorso diffuso al metodo comunitario. A fronte di ciò, il ricorso all’unanimità, che ancora rimane, specie per quanto concerne la cooperazione operativa e il ravvicinamento delle legislazioni penali, il ruolo accresciuto dei parlamenti nazionali e la possibilità di azionare il freno di emergenza possono tranquillizzare quegli Stati che, come la Gran Bretagna, vedono con timore l’ampliarsi della competenza comunitaria. In realtà, l’impressione è che le deroghe concesse al Regno Unito non abbiano più come in passato lo scopo di favorire la partecipazione, la più ampia possibile, di tale Paese alle iniziative comuni, bensì quello di creare le condizioni perché la sua progressiva emarginazione non sia di ostacolo al futuro cammino istituzionale. Non va peraltro dimenticato che le espressioni del metodo intergovernativo che ancora residuano nel Trattato di riforma appaiono l’espressione, come già nel Trattato costituzionale, di quel difficile equilibrio, cui in più occasioni si è avuto modo di accennare, tra le competenze dell’Unione nello SLSG e il rispetto delle peculiarità degli ordinamenti e delle tradizioni nazionali affermato all’art. 61. Se il metodo comunitario rappresenta la regola, continuano dunque a sussistere aree in cui permane la regola del voto all’unanimità in seno al Consiglio. Anzitutto, ciò avviene con riguardo al funzionamento della clausola passerella nel settore della cooperazione giudiziaria civile, per l’adozione di misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali (art. 69 D, par. 3); si tratta poi della cooperazione giudiziaria in materia penale, dove occorre l’unanimità, previa approvazione del PE, per l’ampliamento delle sfere di criminalità (art. 69 F, par. 1, terzo comma) e degli elementi specifici delle procedure penali, rispetto ai quali possono essere stabilite norme minime volte al ravvicinamento delle legislazioni penali, e della istituzione della Procura europea (art. 69 I, par. 1). Altre ipotesi di deviazione dal metodo comunitario si riscontrano nel settore della cooperazione di polizia, quando si tratti di adottare, previa la semplice consultazione del PE, misure di cooperazione operativa tra le autorità di polizia ed altre ad esse assimilate (art. 69 J, par. 3), per la quale, come osservato, è stata introdotta anche una forma agevolata di cooperazione rafforzata (Caggiano, L’evoluzione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia nella prospettiva dell’Unione basata sul diritto, in Studi sull’integrazione europea, 2007, p. 335 ss., in specie p. 336). Analogamente dispone l’art. 69 L riguardo alla fissazione delle condizioni e dei limiti entro i quali le autorità nazionali e giudiziarie di polizia possono operare sul territorio di un altro Stato membro in collegamento o d’intesa con le autorità di questo ultimo.
La previsione di norme passerella dovrebbe poi consentire sia nel settore del diritto di famiglia sia ai fini dell’adozione di norme minime nell’ambito della procedura penale il passaggio dall’unanimità al metodo comunitario. In questi casi vi è tuttavia un rafforzamento della protezione degli interessi statali; anzitutto, per quanto concerne deliberazioni in merito agli aspetti familiari, ciascun parlamento nazionale può comunque esercitare un diritto di veto impedendo il passaggio alla procedura legislativa ordinaria. Per la materia penale, vi è poi, più in generale, la possibilità per ciascuno Stato di azionare “un freno di emergenza” e sospendere la procedura legislativa in corso.
Se questi ultimi strumenti possono rallentare l’azione dell’Unione, la previsione, ormai generalizzata, della possibilità di ricorrere alla cooperazione rafforzata (agevolata) costituisce una vera e propria clausola di “accelerazione” (sul punto, Ziller, op. cit., p. 197 ss.)
Il risultato potrebbe essere una Unione che procede a scatti, fra colpi di freno e accelerazioni. Il rischio è che le accelerazioni riguardino sempre lo stesso gruppo di Stati e che i loro scatti in avanti finiscano per distanziare definitivamente il resto del plotone, creando una frattura insanabile all’interno dei 27 Stati membri. Di tale preoccupazione vi è traccia nella Dichiarazione n. 39, in cui la Conferenza, di fronte alla volontà espressa da uno Stato di non partecipare ad una misura di cooperazione nell’ambito dello SLSG, chiede al Consiglio di approfondire la discussione sulle conseguenze e gli effetti che ne possono derivare per l’Unione. Da parte sua ogni Stato membro può chiedere alla Commissione di esaminare la situazione perché si possa giungere ad adottare le misure previste dall’art. 96, ferma restando la possibilità per gli stessi Stati di sottoporre la questione direttamente al Consiglio europeo per la sua valutazione politica.
La vera scommessa è che il meccanismo delle cooperazioni rafforzate – che peraltro ad oggi non ha dato grandi risultati – sia di stimolo ed incitamento agli altri Stati perché si adeguino anch’essi ai nuovi progressi così compiuti, pur nei tempi compatibili con le loro esigenze e particolarità. Un’Europa divisa drammaticamente in due sarebbe alla fine causa di gravi e difficilmente risolvibili problemi.
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