LA CORTE SI PRONUNCIA SULLA DEFINIZIONE DEI CONFINI TERRITORIALI ISRAELIANI
Archivio > Anno 2010 > Maggio 2010
di Teresa Maria MOSCHETTA
La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 25 febbraio 2010, causa C-86/08, Brita GmbH contro Hauptzollamt Hamburg – Hafen, è intervenuta sulla delicata questione della pretese territoriali che ormai da decenni oppongono lo Stato d’Israele e l’Autorità per la liberazione della Palestina (OLP), offrendo un chiarimento sulla definizione territoriale dei confini israeliani. L’occasione di tale interessante pronuncia è emersa nel corso di un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione e la definizione dell’ambito di applicazione degli accordi di associazione conclusi dall’Unione europea rispettivamente con lo Stato di Israele e con l’OLP.
Gli accordi in questione sono stati stipulati nell’ambito del Partenariato euromediterraneo con l’obiettivo di realizzare forme di collaborazione strutturata volte a creare una integrazione economica e finanziaria ed a sviluppare il dialogo politico e culturale tra le parti. Gli accordi di associazione costituiscono, infatti, un valido strumento per adeguare gli obiettivi perseguiti dal c.d. Processo di Barcellona alle condizioni socio economiche di ciascun partner mediterraneo dell’Unione europea. In particolare, l’Accordo di associazione UE-Israele del 20 novembre 1995, tra gli altri obiettivi, mira a realizzare una zona di libero scambio, prevedendo il divieto di imporre dazi doganali e oneri sulle merci israeliane importante nel territorio dell’Unione europea. L’esenzione doganale è riservata esclusivamente ai prodotti che siano stati totalmente ottenuti in Israele oppure ai prodotti contenenti materiali non totalmente israeliani, a condizione che detti materiali siano stati oggetto sul territorio israeliano di lavorazioni e trasformazioni considerate sufficienti ai sensi del Protocollo sulla definizione dell’origine dei prodotti. L’Accordo di associazione UE-OLP del 24 febbraio 1997 prevede, invece, la progressiva eliminazione dei dazi doganali sulle merci prodotte sui territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
La causa principale riguardava il ricorso presentato da una società avente sede in Germania, la Brita GmbH, che importa apparecchi per la preparazione di acqua frizzante prodotti dalla società Soda Club Ltd avente sede a est di Gerusalemme, in Cisgiordania. Le autorità doganali israeliane avevano dichiarato l’origine israeliana di tali prodotti ed anche le fatture presentate dalla Soda Club alla Brita confermavano tale origine. La Brita, pertanto, nonostante fosse accertato che le merci in questione fossero state materialmente prodotte nel territorio della Cisgiordania, richiedeva alle autorità doganali tedesche di importare tali apparecchiature beneficiando dell’esenzione doganale prevista dall’Accordo di associazione UE-Israele.
Giova a questo riguardo ricordare come l’Accordo interinale israelo-palestinese, concluso nel settembre del 1995 con l’obiettivo di creare una pace duratura in Medio Oriente, preveda il trasferimento dei poteri e delle responsabilità di governo esercitate sul territorio della Cisgiordania e della Striscia di Gaza dal governo militare israeliano e dalla sua amministrazione civile ad un Consiglio rappresentativo dei diritti legittimi del popolo palestinese, come prima tappa verso la realizzazione, su base democratica, di istituzioni palestinesi. Il ritiro delle autorità israeliane ha comportato la suddivisione dei territori in questione in tre zone denominate rispettivamente con le prime tre lettere dell’alfabeto. Il territorio di provenienza dei prodotti contemplati nella causa principale rientra nella zona C dove Israele conserva solo una competenza esclusiva in materia di sicurezza, avendo invece trasferito al Consiglio palestinese le competenze in materia economica, incluse le questioni inerenti all’importazione e all’esportazione di merci.
L’Autorità doganale del porto di Amburgo ha pertanto rifiutato di riconoscere la provenienza israeliana dei prodotti importati dalla Brita, chiedendo a quest’ultima di ripetere la somma in esenzione doganale che le era stata in un primo momento concessa. Le dichiarazioni rilasciate dalle autorità doganali israeliane non erano infatti considerate sufficienti ad accertare l’origine israeliana dei prodotti in questione, anche in considerazione del fatto che le richieste di ulteriori chiarimenti presentati alle competenti autorità erano rimaste sostanzialmente inevase. Il tribunale di ultima istanza tedesco, chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato dalla Brita contro la decisione dell’Autorità doganale del porto di Amburgo, si è trovato dunque dinanzi alla difficile questione di determinare l’origine dei prodotti esportati dalla Soda Club.
Il rinvio pregiudiziale presentato alla Corte di giustizia contemplava due interrogativi fondamentali, l’uno inerente alla possibilità che le autorità doganali tedesche rifiutassero la dichiarazione sull’origine dei prodotti rilasciata dall’Autorità doganale israeliana sulla base dell’Accordo di associazione UE - Israele e l’altro inerente alla possibilità di applicare indifferentemente l’uno o l’altro dei regimi preferenziali previsti rispettivamente dall’accordo UE-Israele ed UE-OLP, nel caso in cui non fosse stato possibile determinare l’origine totalmente israeliana dei prodotti importati dalla Brita.
La prima questione si inserisce in una più ampia controversia che da anni oppone l’Unione europea e lo Stato d’Israele concernente l’applicazione territoriale dell’Accordo UE-Israele. L’Unione europea ritiene, infatti, che i prodotti originari dei territori occupati della Cisgiordania e della Striscia di Gaza non possano beneficiare del regime preferenziale istituito dall’accordo di associazione mentre lo Stato d’Israele ritiene che questo sia il caso. A questo riguardo, la Commissione europea ha in diverse occasioni sottolineato la mancanza di cooperazione amministrativa tra le parti, avvertendo gli operatori economici comunitari che l’immissione in libera pratica delle merci prodotte in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, nella parte orientale di Gerusalemme e sulle alture del Golan possono determinare l’insorgere di una obbligazione doganale anche in presenza di certificazioni d’origine rilasciate dalle autorità doganali israeliane. La pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia assume, pertanto, un particolare significato politico che trascende la portata meramente economica della questione controversa fino a comportare una valutazione sulle pretese territoriali israeliane.
La pronuncia dell’organo giurisdizionale dell’Unione europea si basa sulle norme di diritto internazionale consuetudinario che regolano l’interpretazione dei trattati ed in particolare sul principio pacta tertiis nec nocent nec prosunt così come codificato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969. Ai sensi di tale principio, un trattato internazionale non può produrre effetti giuridici su uno Stato terzo senza il suo consenso. La Corte sottolinea come gli accordi di associazione stipulati con Israele e OLP, pur perseguendo un obiettivo sostanzialmente identico ossia la creazione di una zona di libero scambio tra le parti, configurano distinti strumenti giuridici con una propria sfera di applicazione territoriale. Ciascun accordo, inoltre, contempla una competenza esclusiva delle rispettive autorità doganali a rilasciare certificati di origine relativi a merci prodotte nel proprio territorio. Interpretare l’Accordo UE-Israele nel senso che le autorità israeliane sarebbero investite di competenze doganali riguardo ai prodotti originari della Cisgiordania comporterebbe una violazione della norma consuetudinaria citata, in quanto imporrebbe alle autorità doganali palestinesi l’obbligo di non esercitare le competenze loro attribuite dall’Accordo UE-OLP.
La prima questione pregiudiziale è stata, pertanto, risolta dalla Corte di giustizia nel senso che i prodotti originari della Cisgiordania, non rientrando nella sfera di applicazione territoriale dell’Accordo UE-Israele, non possono beneficiare del regime preferenziale in esso contemplato, pur in presenza di una specifica dichiarazione rilasciata dalle autorità doganali israeliane, in quanto tale dichiarazione esulerebbe dall’ambito di competenza territoriale israeliana. Con riferimento alla seconda questione, invece, la Corte non ha ammesso la possibilità di applicare indifferentemente il regime preferenziale previsto rispettivamente dall’Accordo UE-Israele e dall’Accordo UE-OLP alle merci originarie della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, sottolineando come entrambi gli accordi in questione condizionino l’applicazione di tale regime al rilascio da parte delle autorità amministrative del paese di esportazione di una apposita dichiarazione attestante l’origine del prodotto. Un siffatto adempimento, infatti, non configura una mera formalità che possa essere aggirata ricorrendo ad altri mezzi di prova sull’origine dei prodotti esportati. L’applicazione del regime preferenziale previsto dall’Accordo UE-OLP deve essere quindi sempre subordinata al rilascio di apposite certificazioni da parte delle preposte autorità palestinesi che non possono essere sostituite in tali adempimenti dalle autorità doganali israeliane. Infatti, anche qualora l’origine palestinese dei prodotti in questione fosse dichiarata dalle autorità doganali israeliane non sarebbe comunque possibile considerare tale adempimento una condizione sufficiente a giustificare l’importazione in esenzione doganale delle merci prodotte in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, in quanto sarebbe posto in essere da una autorità amministrativa che non gode di competenza territoriale in materia.
La pronuncia della Corte di giustizia, pur ispirandosi ad una analisi formale dell’ambito di applicazione degli accordi di associazione UE-Israele e UE-OLP, appare caratterizzata da un importante intento politico teso a sottolineare il riconoscimento sostanziale delle prerogative di governo del Consiglio rappresentativo palestinese e delle sue autorità amministrative sui territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, in ossequio agli accordi sul ritiro israeliano dai territori occupati e sul relativo trasferimento di competenze di governo. La Corte di giustizia sembra, pertanto, farsi interprete della volontà dell’Unione europea di riconoscere lo Stato di Israele e l’Autorità palestinese come interlocutori autonomi aventi ciascuno la titolarità di diritti e obblighi propri anche in ambito internazionale.
La pronuncia in questione offre inoltre lo spunto per una riflessione riguardante più in generale il processo di cooperazione politica ed economica che vede attualmente coinvolti l’Unione europea e quattordici paesi mediterranei. Come noto, il Partenariato euromediterraneo conosce oggi una nuova fase di sviluppo che si rinviene nella creazione dell’Unione per il Mediterraneo quale cornice istituzionale atta a portare avanti ed approfondire gli obiettivi della Dichiarazione di Barcellona. A questo riguardo, sembra utile sottolineare come gli accordi di associazione conclusi a livello bilaterale tra le parti continueranno a costituire l’asse portante dell’istituenda organizzazione. Le difficoltà inerenti alla definizione del loro ambito di applicazione, di cui il caso Brita offre un esempio, mostrano come la realizzazione di una cooperazione economica e politica tra le sponde del Mediterraneo passi anche attraverso la risoluzione delle vischiosità del processo di ritiro israeliano dai territori occupati conformemente agli impegni assunti dalle parti in questione a livello internazionale.
Gli accordi in questione sono stati stipulati nell’ambito del Partenariato euromediterraneo con l’obiettivo di realizzare forme di collaborazione strutturata volte a creare una integrazione economica e finanziaria ed a sviluppare il dialogo politico e culturale tra le parti. Gli accordi di associazione costituiscono, infatti, un valido strumento per adeguare gli obiettivi perseguiti dal c.d. Processo di Barcellona alle condizioni socio economiche di ciascun partner mediterraneo dell’Unione europea. In particolare, l’Accordo di associazione UE-Israele del 20 novembre 1995, tra gli altri obiettivi, mira a realizzare una zona di libero scambio, prevedendo il divieto di imporre dazi doganali e oneri sulle merci israeliane importante nel territorio dell’Unione europea. L’esenzione doganale è riservata esclusivamente ai prodotti che siano stati totalmente ottenuti in Israele oppure ai prodotti contenenti materiali non totalmente israeliani, a condizione che detti materiali siano stati oggetto sul territorio israeliano di lavorazioni e trasformazioni considerate sufficienti ai sensi del Protocollo sulla definizione dell’origine dei prodotti. L’Accordo di associazione UE-OLP del 24 febbraio 1997 prevede, invece, la progressiva eliminazione dei dazi doganali sulle merci prodotte sui territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
La causa principale riguardava il ricorso presentato da una società avente sede in Germania, la Brita GmbH, che importa apparecchi per la preparazione di acqua frizzante prodotti dalla società Soda Club Ltd avente sede a est di Gerusalemme, in Cisgiordania. Le autorità doganali israeliane avevano dichiarato l’origine israeliana di tali prodotti ed anche le fatture presentate dalla Soda Club alla Brita confermavano tale origine. La Brita, pertanto, nonostante fosse accertato che le merci in questione fossero state materialmente prodotte nel territorio della Cisgiordania, richiedeva alle autorità doganali tedesche di importare tali apparecchiature beneficiando dell’esenzione doganale prevista dall’Accordo di associazione UE-Israele.
Giova a questo riguardo ricordare come l’Accordo interinale israelo-palestinese, concluso nel settembre del 1995 con l’obiettivo di creare una pace duratura in Medio Oriente, preveda il trasferimento dei poteri e delle responsabilità di governo esercitate sul territorio della Cisgiordania e della Striscia di Gaza dal governo militare israeliano e dalla sua amministrazione civile ad un Consiglio rappresentativo dei diritti legittimi del popolo palestinese, come prima tappa verso la realizzazione, su base democratica, di istituzioni palestinesi. Il ritiro delle autorità israeliane ha comportato la suddivisione dei territori in questione in tre zone denominate rispettivamente con le prime tre lettere dell’alfabeto. Il territorio di provenienza dei prodotti contemplati nella causa principale rientra nella zona C dove Israele conserva solo una competenza esclusiva in materia di sicurezza, avendo invece trasferito al Consiglio palestinese le competenze in materia economica, incluse le questioni inerenti all’importazione e all’esportazione di merci.
L’Autorità doganale del porto di Amburgo ha pertanto rifiutato di riconoscere la provenienza israeliana dei prodotti importati dalla Brita, chiedendo a quest’ultima di ripetere la somma in esenzione doganale che le era stata in un primo momento concessa. Le dichiarazioni rilasciate dalle autorità doganali israeliane non erano infatti considerate sufficienti ad accertare l’origine israeliana dei prodotti in questione, anche in considerazione del fatto che le richieste di ulteriori chiarimenti presentati alle competenti autorità erano rimaste sostanzialmente inevase. Il tribunale di ultima istanza tedesco, chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato dalla Brita contro la decisione dell’Autorità doganale del porto di Amburgo, si è trovato dunque dinanzi alla difficile questione di determinare l’origine dei prodotti esportati dalla Soda Club.
Il rinvio pregiudiziale presentato alla Corte di giustizia contemplava due interrogativi fondamentali, l’uno inerente alla possibilità che le autorità doganali tedesche rifiutassero la dichiarazione sull’origine dei prodotti rilasciata dall’Autorità doganale israeliana sulla base dell’Accordo di associazione UE - Israele e l’altro inerente alla possibilità di applicare indifferentemente l’uno o l’altro dei regimi preferenziali previsti rispettivamente dall’accordo UE-Israele ed UE-OLP, nel caso in cui non fosse stato possibile determinare l’origine totalmente israeliana dei prodotti importati dalla Brita.
La prima questione si inserisce in una più ampia controversia che da anni oppone l’Unione europea e lo Stato d’Israele concernente l’applicazione territoriale dell’Accordo UE-Israele. L’Unione europea ritiene, infatti, che i prodotti originari dei territori occupati della Cisgiordania e della Striscia di Gaza non possano beneficiare del regime preferenziale istituito dall’accordo di associazione mentre lo Stato d’Israele ritiene che questo sia il caso. A questo riguardo, la Commissione europea ha in diverse occasioni sottolineato la mancanza di cooperazione amministrativa tra le parti, avvertendo gli operatori economici comunitari che l’immissione in libera pratica delle merci prodotte in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, nella parte orientale di Gerusalemme e sulle alture del Golan possono determinare l’insorgere di una obbligazione doganale anche in presenza di certificazioni d’origine rilasciate dalle autorità doganali israeliane. La pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia assume, pertanto, un particolare significato politico che trascende la portata meramente economica della questione controversa fino a comportare una valutazione sulle pretese territoriali israeliane.
La pronuncia dell’organo giurisdizionale dell’Unione europea si basa sulle norme di diritto internazionale consuetudinario che regolano l’interpretazione dei trattati ed in particolare sul principio pacta tertiis nec nocent nec prosunt così come codificato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969. Ai sensi di tale principio, un trattato internazionale non può produrre effetti giuridici su uno Stato terzo senza il suo consenso. La Corte sottolinea come gli accordi di associazione stipulati con Israele e OLP, pur perseguendo un obiettivo sostanzialmente identico ossia la creazione di una zona di libero scambio tra le parti, configurano distinti strumenti giuridici con una propria sfera di applicazione territoriale. Ciascun accordo, inoltre, contempla una competenza esclusiva delle rispettive autorità doganali a rilasciare certificati di origine relativi a merci prodotte nel proprio territorio. Interpretare l’Accordo UE-Israele nel senso che le autorità israeliane sarebbero investite di competenze doganali riguardo ai prodotti originari della Cisgiordania comporterebbe una violazione della norma consuetudinaria citata, in quanto imporrebbe alle autorità doganali palestinesi l’obbligo di non esercitare le competenze loro attribuite dall’Accordo UE-OLP.
La prima questione pregiudiziale è stata, pertanto, risolta dalla Corte di giustizia nel senso che i prodotti originari della Cisgiordania, non rientrando nella sfera di applicazione territoriale dell’Accordo UE-Israele, non possono beneficiare del regime preferenziale in esso contemplato, pur in presenza di una specifica dichiarazione rilasciata dalle autorità doganali israeliane, in quanto tale dichiarazione esulerebbe dall’ambito di competenza territoriale israeliana. Con riferimento alla seconda questione, invece, la Corte non ha ammesso la possibilità di applicare indifferentemente il regime preferenziale previsto rispettivamente dall’Accordo UE-Israele e dall’Accordo UE-OLP alle merci originarie della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, sottolineando come entrambi gli accordi in questione condizionino l’applicazione di tale regime al rilascio da parte delle autorità amministrative del paese di esportazione di una apposita dichiarazione attestante l’origine del prodotto. Un siffatto adempimento, infatti, non configura una mera formalità che possa essere aggirata ricorrendo ad altri mezzi di prova sull’origine dei prodotti esportati. L’applicazione del regime preferenziale previsto dall’Accordo UE-OLP deve essere quindi sempre subordinata al rilascio di apposite certificazioni da parte delle preposte autorità palestinesi che non possono essere sostituite in tali adempimenti dalle autorità doganali israeliane. Infatti, anche qualora l’origine palestinese dei prodotti in questione fosse dichiarata dalle autorità doganali israeliane non sarebbe comunque possibile considerare tale adempimento una condizione sufficiente a giustificare l’importazione in esenzione doganale delle merci prodotte in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, in quanto sarebbe posto in essere da una autorità amministrativa che non gode di competenza territoriale in materia.
La pronuncia della Corte di giustizia, pur ispirandosi ad una analisi formale dell’ambito di applicazione degli accordi di associazione UE-Israele e UE-OLP, appare caratterizzata da un importante intento politico teso a sottolineare il riconoscimento sostanziale delle prerogative di governo del Consiglio rappresentativo palestinese e delle sue autorità amministrative sui territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, in ossequio agli accordi sul ritiro israeliano dai territori occupati e sul relativo trasferimento di competenze di governo. La Corte di giustizia sembra, pertanto, farsi interprete della volontà dell’Unione europea di riconoscere lo Stato di Israele e l’Autorità palestinese come interlocutori autonomi aventi ciascuno la titolarità di diritti e obblighi propri anche in ambito internazionale.
La pronuncia in questione offre inoltre lo spunto per una riflessione riguardante più in generale il processo di cooperazione politica ed economica che vede attualmente coinvolti l’Unione europea e quattordici paesi mediterranei. Come noto, il Partenariato euromediterraneo conosce oggi una nuova fase di sviluppo che si rinviene nella creazione dell’Unione per il Mediterraneo quale cornice istituzionale atta a portare avanti ed approfondire gli obiettivi della Dichiarazione di Barcellona. A questo riguardo, sembra utile sottolineare come gli accordi di associazione conclusi a livello bilaterale tra le parti continueranno a costituire l’asse portante dell’istituenda organizzazione. Le difficoltà inerenti alla definizione del loro ambito di applicazione, di cui il caso Brita offre un esempio, mostrano come la realizzazione di una cooperazione economica e politica tra le sponde del Mediterraneo passi anche attraverso la risoluzione delle vischiosità del processo di ritiro israeliano dai territori occupati conformemente agli impegni assunti dalle parti in questione a livello internazionale.