POLITICA ESTERA, DI SICUREZZA E DIFESA COMUNE NELL'UNIONE EUROPEA
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In
un libro autobiografico, intitolato ovviamente “My life”, Bill Clinton
esprime l’opinione che, nella comunità globale contemporanea, la
distinzione moderna fra politica estera e politica interna sia in fase
di superamento.
Trattandosi di un professore universitario, specializzato in relazioni giuridiche internazionali nelle prestigiose Università di Georgetown e di Oxford, nonché di un uomo politico che ha retto per otto anni le sorti della massima potenza mondiale, la sua opinione mi sembra degna di essere presa nella più attenta considerazione.
Per la verità, nella veneranda Costituzione statunitense, la moderna distinzione fra politica estera e politica interna era mantenuta in modo rigorosamente dogmatico. La grande maggioranza dei poteri di politica interna sono riservati alla giurisdizione domestica degli Stati membri, mentre i poteri di politica estera, ivi comprese le connesse questioni di sicurezza e difesa, sono riservate alla giurisdizione delle autorità federali. La competenza federale esclusiva in materia di politica estera, sicurezza e difesa è mantenuta rigorosamente anche in caso di non esercizio della competenza medesima da parte delle autorità centrali, mediante un divieto costituzionale agli Stati membri di adottare comunque misure di politica estera.
Come risulta abbastanza evidente, l’attribuzione dei poteri di politica interna alle autorità locali, e dei poteri di politica estera alle autorità centrali, implica una scelta di separazione e distinzione fra i due criteri di azione. Nello stesso senso si muovono tuttora alcune Costituzioni europee di carattere meno parlamentare. Così, ad esempio, nella Costituzione francese attualmente in vigore, abbiamo sostanzialmente due esecutivi, l’uno, che fa capo al Primo ministro, essenzialmente competente in materia di politica interna, e l’altro, che fa capo al Presidente della Repubblica, essenzialmente competente in materia di politica estera. I due uomini politici possono anche coabitare, appartenendo a diverse coalizioni politiche.
2. Le cose sembrano andare molto diversamente nell’ambito del più innovativo fenomeno giuridico dell’epoca contemporanea, vale a dire nell’ambito dell’Unione europea. Infatti, da tempo, la Corte di giustizia europea ha stabilito il principio che la competenza di provvedere agli aspetti esterni ed esteri di una determinata materia spetta alla medesima autorità che è competente a provvedere agli aspetti interni e domestici di quella medesima materia (principio del parallelismo fra competenze esterne ed interne).
Così, in tutte le materie nelle quali l’Unione europea è competente a legiferare, o compiere altre manifestazioni di autorità, sul piano interno, la medesima Unione è anche competente a provvedervi sul piano esterno.
Ciò significa, evidentemente, anche che, in linea di principio, per tutte le materie nelle quali gli Stati membri dell’Unione europea sono competenti a legiferare, o compiere altre manifestazioni di autorità, sul piano interno, i medesimi Stati sono anche competenti a provvedervi sul piano esterno. Nello stesso senso sembrano muoversi i più recenti fenomeni di decentramento federalistico negli Stati membri dell’Unione europea, nell’ambito dei quali l’ampliamento delle competenze interne delle autorità locali si accompagna, in generale, ad un evidente rafforzamento della partecipazione delle medesime autorità alle corrispondenti decisioni di politica estera.
In forza del citato principio di parallelismo fra competenze interne ed esterne, risulta che l’Unione europea, essendo titolare di vastissimi poteri nella gestione delle questioni di politica interna, è dotata di amplissimi poteri nelle corrispondenti questioni di politica esterna ed estera. Si comprende pertanto perfettamente l’esigenza di rinforzare la parte applicativa di tali ultime funzioni, chiaramente emersa nella Costituzione europea, accorpando le cariche di Commissario per le relazioni esterne e di Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune nella nuova carica di Ministro degli esteri, dotato di un Servizio amministrativo specializzato, nonché di rinforzare la rappresentanza esterna dell’Unione mediante l’istituzione di un Presidente, quasi permanente, del Consiglio europeo, il quale Presidente potrebbe anche presiedere la Commissione e divenire, in tal caso, una figura analoga a quella di un Presidente, o Vice Presidente, degli Stati uniti d’America.
3. La moderna distinzione fra politica interna e politica estera conserva invece, ancora oggi, una certa validità nel settore delicatissimo della politica di tutela della pace e della sicurezza, e delle connesse questioni relative alla politica della difesa. In tali settori, peraltro, le competenze degli Stati uniti, della NATO e dell’Unione europea risultano sensibilmente limitate perché si intrecciano con le competenze del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e con le residue competenze di giurisdizione domestica degli Stati membri delle Nazioni unite.
Il principio moderno della distinzione fra politica interna e politica estera trova infatti una qualche applicazione nel sistema delle Nazioni Unite, per la politica di tutela della pace e della sicurezza. In tale sistema, infatti, lo Statuto riserva al Consiglio di sicurezza la competenza di accertare l’esistenza di una minaccia alla pace e alla sicurezza e di decidere in modo vincolante sulle misure che gli Stati membri devono adottare in proposito, misure che possono implicare o meno l’uso della forza.
Nel caso di esercizio, da parte del Consiglio di sicurezza, delle sopra ricordate competenze decisionali, tutti gli Stati membri delle Nazioni unite sono tenuti a darvi esecuzione, nonché ad astenersi da ogni misura incompatibile. Gli obblighi in questione prevalgono sulla giurisdizione domestica degli Stati stessi, provocando dunque la divaricazione in esame fra competenze esterne ed interne. Poiché tutti gli Stati membri della NATO e dell’Unione europea sono anche membri delle Nazioni unite, gli obblighi in questione si estendono a tali organismi, ciascuno naturalmente nell’ambito delle proprie competenze. Altrettanto dicasi per gli obblighi degli Stati uniti d’America, sempre in quanto membri delle Nazioni unite.
Se le misure decise dal Consiglio di sicurezza non implicano l’uso della forza, la NATO avrà minori competenze da esercitare, ma saranno di regola molto ampie le competenze dell’Unione europea. Trattandosi, in questo caso, di misure che coinvolgono quasi sempre il commercio internazionale, gli Stati membri dell’Unione europea saranno generalmente privi di competenze in proposito e le misure di attuazione dovranno, quasi necessariamente, essere disposte dall’Unione stessa. Altrettanto ovviamente avverrà nell’ambito degli Stati Uniti d’America, per i sopra ricordati principi di ripartizione di competenze locali e centrali nel sistema costituzionale statunitense.
Se le misure decise dal Consiglio di sicurezza implicano l’uso della forza, gli Stati uniti e la NATO appaiono dotati di maggiori competenze da esercitare, ma anche l’Unione europea potrà svolgere un ruolo militare nel quadro della politica comune di sicurezza e difesa. La natura di atto dovuto, propria di tali interventi, facilita necessariamente il relativo processo decisionale. Infatti, qualora la NATO e l’Unione europea non esercitassero le sopra ricordate funzioni, ciò non solleverebbe gli Stati membri di questi organismi, in quanto Stati membri delle Nazioni unite, dall’obbligo di compiere comunque le azioni richieste, anche in via individuale. Incompetenti risultano invece, comunque, gli Stati membri degli Stati uniti, non essendo membri delle Nazioni unite.
4. In caso di mancato esercizio delle sue competenze, da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, il relativo Statuto inibisce comunque agli Stati membri la facoltà di fare ricorso a misure implicanti l’uso della forza, in via individuale o collettiva, fatta eccezione per il rispetto del diritto naturale di autodifesa. Di conseguenza, nel caso in cui, pur in presenza di una minaccia per la pace e la sicurezza, il Consiglio di sicurezza non prenda provvedimenti, gli Stati membri delle Nazioni unite possono adottare misure implicanti l’uso della forza solo nell’esercizio del diritto naturale di autodifesa. Data la natura dichiarativa, e non costitutiva, di questa norma eccezionale, è agevole riconoscervi un principio di jus cogens, inderogabile.
Se uno o più membri della NATO, o dell’Unione europea, si trova nella necessità di adottare misure implicanti l’uso della forza per autodifesa, la NATO risulterà particolarmente attrezzata per fornire a tali Stati l’assistenza collettiva a cui hanno diritto nel quadro dell’Alleanza stessa. Altrettanto dovrà dirsi, tuttavia, per l’Unione europea, visti i vincoli di solidarietà ancora più stretti vigenti nel suo ambito fra gli Stati membri e viste le competenze che la medesima Unione può comunque esercitare nel quadro della politica comune di sicurezza e difesa.
La NATO e l’Unione europea potrebbero, peraltro, astenersi dal provvedere in proposito, sia perché non richiesti, sia perché, sebbene sollecitati, questi organismi non ritengano eventualmente sussistere, nel caso concreto, i presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’autodifesa, individuale o collettiva.
Come è noto, nell’ambito della NATO, queste decisioni vengono prese per consensus e, nell’ambito dell’Unione europea, mediante l’analoga procedura del voto unanime. Da un punto di vista giuridico, l’adozione di queste procedure appare appropriata e non sembra molto auspicabile la loro sostituzione con procedure di voto a maggioranza, per quanto qualificata. Per illustrare i motivi di questo giudizio sembra opportuno distinguere fra l’ipotesi in cui, nelle circostanze in esame, la NATO o l’Unione europea decidano di intervenire, ritenendo che sussistano i presupposti di fatto e di diritto della legittima autodifesa, ovvero decidano di non intervenire, non ritenendo che sussistano tali presupposti.
In ambedue i casi, ovviamente, la decisione potrà essere giuridicamente fondata o infondata, a seconda che sussistano, o meno, i presupposti di fatto e di diritto della legittima autodifesa. A differenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, infatti, né la NATO, né l’Unione europea, sono dotati del potere di accertare l’esistenza di una minaccia alla pace e alla sicurezza, presupposto questo della situazione di legittima autodifesa.
Se la NATO o l’Unione europea decidessero erroneamente che sussistono i presupposti della legittima difesa e decidessero di intervenire, coinvolgendo i propri Stati membri, la decisione si porrebbe in contrasto con un principio inderogabile. Così infatti sono state qualificate, dalla Corte internazionale di giustizia, le norme vigenti nel sistema delle Nazioni unite e relative al mantenimento della pace e della sicurezza. In caso fosse prevista una decisione a maggioranza, gli Stati membri dissenzienti non potrebbero comunque considerarsi validamente vincolati dalla decisione medesima, essendo una decisione nulla, per contrasto con norma inderogabile. In caso di decisione per consensus, o mediante voto unanime, invece, tutti gli Stati membri partecipano all’ipotizzato errore e si assumono volontariamente la relativa, eventuale, responsabilità.
Se la NATO, o l’Unione europea, decidessero erroneamente che non sussistono i presupposti della legittima difesa e decidessero di non intervenire, la decisione, se presa per consensus, o all’unanimità, sarebbe comunque legittima, dato che il ricorso alla legittima autodifesa è un diritto e non un obbligo. Se, invece, la decisione fosse presa a maggioranza, l’effetto della medesima non potrebbe comunque vincolare la minoranza dissenziente, la quale ritenga di poter agire in autodifesa, individuale o collettiva. Infatti il diritto di autodifesa, essendo fondato su di un principio inderogabile, non potrebbe comunque essere inibito da una decisione della NATO o dell’Unione europea, perché tale decisione non sarebbe comunque validamente vincolante per gli Stati membri.
5. Resta dunque solo da esaminare l’ipotesi che singoli Stati membri della NATO, o dell’Unione europea, agiscano erroneamente in via individuale, facendo ricorso a misure implicanti l’uso della forza, senza autorizzazione del Consiglio di sicurezza e senza che sussistano i presupposti della legittima autodifesa.
Si tratta, ovviamente, di un fatto illecito che richiede riparazione. In particolare, se l’azione ipotizzata conduce alla distruzione di un apparato statale e all’occupazione militare di uno Stato membro delle Nazioni unite, l’illecito commesso non esime di certo le potenze occupanti dall’obbligo di chiedere al Consiglio di sicurezza di adottare le disposizioni del caso e comunque di ottemperarvi. Tali disposizioni avranno quasi necessariamente l’oggetto di vincolare le potenze occupanti alla ricostruzione dello Stato (illecitamente) occupato, con speciale riferimento all’apparato statale, e al ritiro dallo Stato medesimo non appena tale ricostruzione sia compiuta o, perlomeno, sufficientemente avviata. Sempre in considerazione dell’illecito consumato dalle potenze occupanti, la deliberazione del Consiglio di sicurezza dovrà quasi necessariamente prevedere che ogni contributo di cooperazione, da parte di altri Stati membri delle Nazioni unite, sia prestato su base volontaria e non obbligatoria. Altrettanto dicasi, dunque, per ogni contributo diretto delle Nazioni unite, della NATO e dell’Unione europea.
6. Come si vede, nello specifico settore della tutela della pace e della sicurezza, i principi moderni di separazione e distinzione fra politica estera e politica interna rimangono abbastanza validi in epoca contemporanea. Ma la situazione contemporanea appare profondamente diversa per tutti i settori della politica estera che non sono direttamente connessi con la tutela della pace e della sicurezza.
Nell’ambito dell’Unione europea, in particolare, ogni ampliamento dei poteri esterni dell’Unione in settori che, sul piano interno, appartengono alla limitata e residuale giurisdizione domestica degli Stati membri, appare come un passo ulteriore verso la creazione di un sistema completamente accentrato anche sul piano interno. Infatti la competenza di adottare misure di politica estera richiede necessariamente l’adozione di provvedimenti di attuazione sul piano interno.
Si comprende dunque agevolmente la prudenza riservata in proposito dalla nuovissima Costituzione europea la quale, da un lato, rinforza l’efficacia dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e, dall’altro, conserva comprensibilmente la regola dell’unanimità per le decisioni di politica estera che invadono i limitati e residuali settori di giurisdizione domestica degli Stati membri
Trattandosi di un professore universitario, specializzato in relazioni giuridiche internazionali nelle prestigiose Università di Georgetown e di Oxford, nonché di un uomo politico che ha retto per otto anni le sorti della massima potenza mondiale, la sua opinione mi sembra degna di essere presa nella più attenta considerazione.
Per la verità, nella veneranda Costituzione statunitense, la moderna distinzione fra politica estera e politica interna era mantenuta in modo rigorosamente dogmatico. La grande maggioranza dei poteri di politica interna sono riservati alla giurisdizione domestica degli Stati membri, mentre i poteri di politica estera, ivi comprese le connesse questioni di sicurezza e difesa, sono riservate alla giurisdizione delle autorità federali. La competenza federale esclusiva in materia di politica estera, sicurezza e difesa è mantenuta rigorosamente anche in caso di non esercizio della competenza medesima da parte delle autorità centrali, mediante un divieto costituzionale agli Stati membri di adottare comunque misure di politica estera.
Come risulta abbastanza evidente, l’attribuzione dei poteri di politica interna alle autorità locali, e dei poteri di politica estera alle autorità centrali, implica una scelta di separazione e distinzione fra i due criteri di azione. Nello stesso senso si muovono tuttora alcune Costituzioni europee di carattere meno parlamentare. Così, ad esempio, nella Costituzione francese attualmente in vigore, abbiamo sostanzialmente due esecutivi, l’uno, che fa capo al Primo ministro, essenzialmente competente in materia di politica interna, e l’altro, che fa capo al Presidente della Repubblica, essenzialmente competente in materia di politica estera. I due uomini politici possono anche coabitare, appartenendo a diverse coalizioni politiche.
2. Le cose sembrano andare molto diversamente nell’ambito del più innovativo fenomeno giuridico dell’epoca contemporanea, vale a dire nell’ambito dell’Unione europea. Infatti, da tempo, la Corte di giustizia europea ha stabilito il principio che la competenza di provvedere agli aspetti esterni ed esteri di una determinata materia spetta alla medesima autorità che è competente a provvedere agli aspetti interni e domestici di quella medesima materia (principio del parallelismo fra competenze esterne ed interne).
Così, in tutte le materie nelle quali l’Unione europea è competente a legiferare, o compiere altre manifestazioni di autorità, sul piano interno, la medesima Unione è anche competente a provvedervi sul piano esterno.
Ciò significa, evidentemente, anche che, in linea di principio, per tutte le materie nelle quali gli Stati membri dell’Unione europea sono competenti a legiferare, o compiere altre manifestazioni di autorità, sul piano interno, i medesimi Stati sono anche competenti a provvedervi sul piano esterno. Nello stesso senso sembrano muoversi i più recenti fenomeni di decentramento federalistico negli Stati membri dell’Unione europea, nell’ambito dei quali l’ampliamento delle competenze interne delle autorità locali si accompagna, in generale, ad un evidente rafforzamento della partecipazione delle medesime autorità alle corrispondenti decisioni di politica estera.
In forza del citato principio di parallelismo fra competenze interne ed esterne, risulta che l’Unione europea, essendo titolare di vastissimi poteri nella gestione delle questioni di politica interna, è dotata di amplissimi poteri nelle corrispondenti questioni di politica esterna ed estera. Si comprende pertanto perfettamente l’esigenza di rinforzare la parte applicativa di tali ultime funzioni, chiaramente emersa nella Costituzione europea, accorpando le cariche di Commissario per le relazioni esterne e di Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune nella nuova carica di Ministro degli esteri, dotato di un Servizio amministrativo specializzato, nonché di rinforzare la rappresentanza esterna dell’Unione mediante l’istituzione di un Presidente, quasi permanente, del Consiglio europeo, il quale Presidente potrebbe anche presiedere la Commissione e divenire, in tal caso, una figura analoga a quella di un Presidente, o Vice Presidente, degli Stati uniti d’America.
3. La moderna distinzione fra politica interna e politica estera conserva invece, ancora oggi, una certa validità nel settore delicatissimo della politica di tutela della pace e della sicurezza, e delle connesse questioni relative alla politica della difesa. In tali settori, peraltro, le competenze degli Stati uniti, della NATO e dell’Unione europea risultano sensibilmente limitate perché si intrecciano con le competenze del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e con le residue competenze di giurisdizione domestica degli Stati membri delle Nazioni unite.
Il principio moderno della distinzione fra politica interna e politica estera trova infatti una qualche applicazione nel sistema delle Nazioni Unite, per la politica di tutela della pace e della sicurezza. In tale sistema, infatti, lo Statuto riserva al Consiglio di sicurezza la competenza di accertare l’esistenza di una minaccia alla pace e alla sicurezza e di decidere in modo vincolante sulle misure che gli Stati membri devono adottare in proposito, misure che possono implicare o meno l’uso della forza.
Nel caso di esercizio, da parte del Consiglio di sicurezza, delle sopra ricordate competenze decisionali, tutti gli Stati membri delle Nazioni unite sono tenuti a darvi esecuzione, nonché ad astenersi da ogni misura incompatibile. Gli obblighi in questione prevalgono sulla giurisdizione domestica degli Stati stessi, provocando dunque la divaricazione in esame fra competenze esterne ed interne. Poiché tutti gli Stati membri della NATO e dell’Unione europea sono anche membri delle Nazioni unite, gli obblighi in questione si estendono a tali organismi, ciascuno naturalmente nell’ambito delle proprie competenze. Altrettanto dicasi per gli obblighi degli Stati uniti d’America, sempre in quanto membri delle Nazioni unite.
Se le misure decise dal Consiglio di sicurezza non implicano l’uso della forza, la NATO avrà minori competenze da esercitare, ma saranno di regola molto ampie le competenze dell’Unione europea. Trattandosi, in questo caso, di misure che coinvolgono quasi sempre il commercio internazionale, gli Stati membri dell’Unione europea saranno generalmente privi di competenze in proposito e le misure di attuazione dovranno, quasi necessariamente, essere disposte dall’Unione stessa. Altrettanto ovviamente avverrà nell’ambito degli Stati Uniti d’America, per i sopra ricordati principi di ripartizione di competenze locali e centrali nel sistema costituzionale statunitense.
Se le misure decise dal Consiglio di sicurezza implicano l’uso della forza, gli Stati uniti e la NATO appaiono dotati di maggiori competenze da esercitare, ma anche l’Unione europea potrà svolgere un ruolo militare nel quadro della politica comune di sicurezza e difesa. La natura di atto dovuto, propria di tali interventi, facilita necessariamente il relativo processo decisionale. Infatti, qualora la NATO e l’Unione europea non esercitassero le sopra ricordate funzioni, ciò non solleverebbe gli Stati membri di questi organismi, in quanto Stati membri delle Nazioni unite, dall’obbligo di compiere comunque le azioni richieste, anche in via individuale. Incompetenti risultano invece, comunque, gli Stati membri degli Stati uniti, non essendo membri delle Nazioni unite.
4. In caso di mancato esercizio delle sue competenze, da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, il relativo Statuto inibisce comunque agli Stati membri la facoltà di fare ricorso a misure implicanti l’uso della forza, in via individuale o collettiva, fatta eccezione per il rispetto del diritto naturale di autodifesa. Di conseguenza, nel caso in cui, pur in presenza di una minaccia per la pace e la sicurezza, il Consiglio di sicurezza non prenda provvedimenti, gli Stati membri delle Nazioni unite possono adottare misure implicanti l’uso della forza solo nell’esercizio del diritto naturale di autodifesa. Data la natura dichiarativa, e non costitutiva, di questa norma eccezionale, è agevole riconoscervi un principio di jus cogens, inderogabile.
Se uno o più membri della NATO, o dell’Unione europea, si trova nella necessità di adottare misure implicanti l’uso della forza per autodifesa, la NATO risulterà particolarmente attrezzata per fornire a tali Stati l’assistenza collettiva a cui hanno diritto nel quadro dell’Alleanza stessa. Altrettanto dovrà dirsi, tuttavia, per l’Unione europea, visti i vincoli di solidarietà ancora più stretti vigenti nel suo ambito fra gli Stati membri e viste le competenze che la medesima Unione può comunque esercitare nel quadro della politica comune di sicurezza e difesa.
La NATO e l’Unione europea potrebbero, peraltro, astenersi dal provvedere in proposito, sia perché non richiesti, sia perché, sebbene sollecitati, questi organismi non ritengano eventualmente sussistere, nel caso concreto, i presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’autodifesa, individuale o collettiva.
Come è noto, nell’ambito della NATO, queste decisioni vengono prese per consensus e, nell’ambito dell’Unione europea, mediante l’analoga procedura del voto unanime. Da un punto di vista giuridico, l’adozione di queste procedure appare appropriata e non sembra molto auspicabile la loro sostituzione con procedure di voto a maggioranza, per quanto qualificata. Per illustrare i motivi di questo giudizio sembra opportuno distinguere fra l’ipotesi in cui, nelle circostanze in esame, la NATO o l’Unione europea decidano di intervenire, ritenendo che sussistano i presupposti di fatto e di diritto della legittima autodifesa, ovvero decidano di non intervenire, non ritenendo che sussistano tali presupposti.
In ambedue i casi, ovviamente, la decisione potrà essere giuridicamente fondata o infondata, a seconda che sussistano, o meno, i presupposti di fatto e di diritto della legittima autodifesa. A differenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, infatti, né la NATO, né l’Unione europea, sono dotati del potere di accertare l’esistenza di una minaccia alla pace e alla sicurezza, presupposto questo della situazione di legittima autodifesa.
Se la NATO o l’Unione europea decidessero erroneamente che sussistono i presupposti della legittima difesa e decidessero di intervenire, coinvolgendo i propri Stati membri, la decisione si porrebbe in contrasto con un principio inderogabile. Così infatti sono state qualificate, dalla Corte internazionale di giustizia, le norme vigenti nel sistema delle Nazioni unite e relative al mantenimento della pace e della sicurezza. In caso fosse prevista una decisione a maggioranza, gli Stati membri dissenzienti non potrebbero comunque considerarsi validamente vincolati dalla decisione medesima, essendo una decisione nulla, per contrasto con norma inderogabile. In caso di decisione per consensus, o mediante voto unanime, invece, tutti gli Stati membri partecipano all’ipotizzato errore e si assumono volontariamente la relativa, eventuale, responsabilità.
Se la NATO, o l’Unione europea, decidessero erroneamente che non sussistono i presupposti della legittima difesa e decidessero di non intervenire, la decisione, se presa per consensus, o all’unanimità, sarebbe comunque legittima, dato che il ricorso alla legittima autodifesa è un diritto e non un obbligo. Se, invece, la decisione fosse presa a maggioranza, l’effetto della medesima non potrebbe comunque vincolare la minoranza dissenziente, la quale ritenga di poter agire in autodifesa, individuale o collettiva. Infatti il diritto di autodifesa, essendo fondato su di un principio inderogabile, non potrebbe comunque essere inibito da una decisione della NATO o dell’Unione europea, perché tale decisione non sarebbe comunque validamente vincolante per gli Stati membri.
5. Resta dunque solo da esaminare l’ipotesi che singoli Stati membri della NATO, o dell’Unione europea, agiscano erroneamente in via individuale, facendo ricorso a misure implicanti l’uso della forza, senza autorizzazione del Consiglio di sicurezza e senza che sussistano i presupposti della legittima autodifesa.
Si tratta, ovviamente, di un fatto illecito che richiede riparazione. In particolare, se l’azione ipotizzata conduce alla distruzione di un apparato statale e all’occupazione militare di uno Stato membro delle Nazioni unite, l’illecito commesso non esime di certo le potenze occupanti dall’obbligo di chiedere al Consiglio di sicurezza di adottare le disposizioni del caso e comunque di ottemperarvi. Tali disposizioni avranno quasi necessariamente l’oggetto di vincolare le potenze occupanti alla ricostruzione dello Stato (illecitamente) occupato, con speciale riferimento all’apparato statale, e al ritiro dallo Stato medesimo non appena tale ricostruzione sia compiuta o, perlomeno, sufficientemente avviata. Sempre in considerazione dell’illecito consumato dalle potenze occupanti, la deliberazione del Consiglio di sicurezza dovrà quasi necessariamente prevedere che ogni contributo di cooperazione, da parte di altri Stati membri delle Nazioni unite, sia prestato su base volontaria e non obbligatoria. Altrettanto dicasi, dunque, per ogni contributo diretto delle Nazioni unite, della NATO e dell’Unione europea.
6. Come si vede, nello specifico settore della tutela della pace e della sicurezza, i principi moderni di separazione e distinzione fra politica estera e politica interna rimangono abbastanza validi in epoca contemporanea. Ma la situazione contemporanea appare profondamente diversa per tutti i settori della politica estera che non sono direttamente connessi con la tutela della pace e della sicurezza.
Nell’ambito dell’Unione europea, in particolare, ogni ampliamento dei poteri esterni dell’Unione in settori che, sul piano interno, appartengono alla limitata e residuale giurisdizione domestica degli Stati membri, appare come un passo ulteriore verso la creazione di un sistema completamente accentrato anche sul piano interno. Infatti la competenza di adottare misure di politica estera richiede necessariamente l’adozione di provvedimenti di attuazione sul piano interno.
Si comprende dunque agevolmente la prudenza riservata in proposito dalla nuovissima Costituzione europea la quale, da un lato, rinforza l’efficacia dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e, dall’altro, conserva comprensibilmente la regola dell’unanimità per le decisioni di politica estera che invadono i limitati e residuali settori di giurisdizione domestica degli Stati membri