LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI E SCOMMESSE ONLINE IN UNA RECENTE PRONUNCIA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA - Sud in Europa

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LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI E SCOMMESSE ONLINE IN UNA RECENTE PRONUNCIA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Archivio > Anno 2009 > Ottobre 2009
di Ivan INGRAVALLO (Ricercatore di Diritto internazionale nell’Università degli Studi di Bari)    
La Corte di giustizia comunitaria, con una sentenza emessa dalla Grande sezione l’8 settembre 2009 (causa C-42/07, Liga portuguesa de Futebol Profissional (CA/LPFP) e Baw International Ltd/ Departamento de Jogos da Santa Casa da Misericórdia de Lisboa, non ancora pubblicata in raccolta), è tornata ad occuparsi del rapporto tra le libertà fondamentali poste dal Trattato comunitario, in particolare la libera prestazione di servizi di cui all’art. 49, e l’esercizio del gioco d’azzardo su internet (su questo tema, oltre all’ampia ricostruzione giurisprudenziale contenuta nelle conclusioni presentate dall’Avvocato generale Yves Bot il 14 ot-tobre 2008, v., tra i numerosi contributi apparsi in dottrina nel recente passato, G. M. Ruotolo, Gioco, diritto, diritto al gioco: libertà fondamentali dell’ordinamento comunitario e disciplina delle scommesse in Italia, in Studi sull’integrazione europea, 2007, p. 633 ss.; F. Mar-tines, Il gioco d'azzardo e il mercato comune: spazio di autonomia e scelte di valori nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2008, p. 849 ss.). L’elevato interesse e la delicatezza di tale vicenda sono dimostrati dalla circostanza che la sentenza sia stata emanata dalla Grande sezione e dal fatto che abbiano presentato osservazioni ben dodici Stati membri. Il settore del gioco d’azzardo, infatti, non è oggetto di regolamentazione o armonizzazione a livello comunitario ma, considerate la notevolissima quantità di risorse economiche che coinvolge e il suo carattere progressivamente transfrontaliero, anche grazie all’utilizzo di internet, occorre che l’esercizio a livello dei singoli Stati membri di tale competenza non avvenga in contrasto con le libertà previste dal Trattato CE, con particolare riferimento al diritto di stabilimento e alla libera prestazione di servizi. Per tali motivi ogni pronuncia della Corte in questa materia è attesa con trepidazione sia da parte degli Stati membri, sia dei sempre più numerosi operatori economici coinvolti nella gestione ed organizzazione di tali servizi.
La sentenza è stata originata da un ricorso in via pregiudiziale ex art. 234 TCE proposto alla Corte da parte del Tribunal de Pequena Instância Criminal di Oporto (Portogallo) nell’ambito di una controversia che ha visto contrapposte la Liga Portuguesa de Futebol Profesional (che riunisce i club calcistici portoghesi e organizza i campionati professionistici) e la Bwin International Ltd (impresa con sede a Gibilterra che offre giochi d’azzardo in internet) al Dipartimento dei giochi della Santa Casa de la Misericórdia di Lisbona, ente di rilevanza pubblica (“persona giuridica di utilità pubblica amministrativa”) le cui attività sono regolate da normative statali e i cui organi sono in gran parte nominati dalle istituzioni portoghesi. In base alla legislazione di questo Stato membro (decreto legge n. 322/1991, come modificato da ultimo dal decreto legge n. 469/1999) la Santa Casa ha l’esclusiva della gestione dei giochi d’azzardo in Portogallo e, ai sensi dell’art. 2 del successivo decreto legge n. 282/2003, tale esclusiva si estende anche ai giochi d’azzardo offerti attraverso internet. Inoltre, in base all’art. 14 del medesimo decreto legislativo, la direzione del Dipartimento dei giochi della Santa Casa ha il potere di comminare sanzioni pecuniarie nei confronti dei soggetti che esercitino abusivamente il gioco d’azzardo. E proprio un ricorso proposto dalla Liga e dalla Bwin, volto ad ottenere l’annullamento delle sanzioni loro in-flitte, ha originato la controversia principale nell’ambito della quale è stata sollevata la questione pregiudiziale, relativa al possibile contrasto tra la normativa portoghese e il diritto comunitario. La Corte, come di consueto (e nonostante una “stravagante” contestazione di ricevibilità avanzata dal Go­ver­no italiano), ha provveduto a riformulare la richiesta, nel senso di intenderla come riferita alla circostanza che l’art. 49 TCE “osti alla normativa di uno Stato membro (...) che vieti ad operatori quali la Bwin, stabiliti in altri Stati membri in cui forniscono legittimamente servizi analoghi, di proporre giochi d’azzardo tramite internet” sul proprio territorio. Anche se nelle sue conclusioni l’Avvocato generale ha proposto alla Corte di scindere due questioni – quella della possibile contrarietà della normativa portoghese alla direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998 (relativa alla procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, GUCE L 204, del 21 luglio 1998, p. 37 ss.); quella della possibile violazione dell’art. 49 TCE, ma solo con riferimento al divieto di pubblicizzare in Portogallo i giochi d’azzardo non gestiti dalla Santa Casa – la Corte non ha accolto questa impostazione, né ha fatto riferimento alla direttiva 98/34/CE, limitandosi a considerare unicamente il possibile contrasto con l’art. 49 TCE.
Non vi è dubbio, né è contestato da alcuno, incluso il Governo portoghese, che la legislazione di tale Stato comporti una restrizione alla libera prestazione di servizi. La questione è piuttosto quella di valutarne la legittimità. Una restrizione alla libera prestazione di servizi è giustificata in base al diritto comunitario quando: a) è sorretta da un motivo imperativo di interesse generale; b) è atta a conseguire lo scopo perseguito (criterio di proporzionalità); c) non eccede quanto necessario per raggiungerlo (criterio di necessarietà); d) deve avere un carattere non-discriminatorio. Nella vicenda in questione, la tutela dei consumatori e dell’ordine pubblico (contrasto alla criminalità e alle frodi) costituiscono motivi imperativi di interesse generale che giustificano l’adozione, a livello nazionale, di misure restrittive delle scommesse, ancor più nel caso di quelle effettuate on line, giacché si tratta di uno strumento che moltiplica l’offerta, la rende fruibile in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo (e da chiunque, inclusi i minori e le persone vulnerabili), incrementando enormemente i rischi di “dipendenza” dal gioco e l’ammontare delle cifre spese. La circostanza che la concessione di un diritto esclusivo fosse data ad un unico ente e che questo abbia un carattere pubblico e sia regolamentato e controllato dal potere pubblico rafforza il convincimento della Corte (così come dell’Avvocato generale) dell’obiettivo di tutelare i consumatori e l’ordine pubblico. Inoltre, come sottolineato dalla Corte, non si può escludere che la Bwin, sponsor del principale campionato calcistico professionistico portoghese, sul quale accetta scommesse, “si venga a trovare in una situazione che [le] consenta di influire direttamente o indirettamente” sul risultato delle partite, aumentando così i propri profitti.
In conclusione, con la sentenza in commento la Corte sembra seguire una linea di continuità rispetto alla propria precedente giurisprudenza, contribuendo a chiarire ulteriormente le condizioni e i presupposti affinché, in un settore non armonizzato né regolamentato a livello comunitario come quello del gioco d’azzardo, le restrizioni opposte da uno Stato membro avverso una delle libertà fondamentali del Trattato possano essere considerate legittime e non costituiscano invece uno strumento protezionistico. Indubbiamente, in un settore come quello del gioco d’azzardo non appare di agevole identificazione il confine tra l’attività volta al fine di finanziare enti di beneficenza o opere di pubblica utilità (il che non è una giustificazione oggettiva, ma contribuisce ad individuare l’esistenza di un motivo imperativo di interesse generale) e quella finalizzata alla mera raccolta di denaro da parte dello Stato volta a massimizzare i profitti (che dev’essere considerata quale attività sottoposta alle regole del mercato comunitario). Nella causa in questione, ad esempio, la Santa Casa trattiene solo il 25% dei ricavi provenienti dai diversi giochi, ripartendo la restante somma tra associazioni e istituzioni di beneficenza e pubblica utilità. La sentenza in commento non risolve quindi la questione del “confine” una volta per tutte, ma sembra indicare che tale valutazione andrà operata caso per caso; sotto questo profilo, rispetto alla stringata conclusione raggiunta dalla Corte, sarebbe probabilmente stato opportuno seguire la strada, indicata dall’Avvocato generale, di sancire che l’art. 49 TCE non osta a una normativa nazionale che individui un soggetto unico quale esclusivo responsabile della gestione dei giochi d’azzardo, a patto che esso sia controllato dallo Stato e non abbia scopi di lucro e che la normativa nazionale restrittiva delle libertà comunitarie sia giustificata dal rispetto delle quattro condizioni poc’anzi richiamate.
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