LA NATURA CONVENZIONALE DELLA "COSTITUZIONE" - Sud in Europa

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LA NATURA CONVENZIONALE DELLA "COSTITUZIONE"

Archivio > Anno 2004 > Dicembre 2004

di Francesco CARUSO (Ordinario di Diritto dell'Unione europea nell'Università di Roma "Tor Vergata")
Come oramai dovrebbe essere noto a tutti, l’integrazione europea è regolata dai Trattati internazionali che hanno istituito le Comunità e l’Unione europee. Gli assetti istituzionali così come le competenze materiali delle prime e della seconda sono disciplinate dai suddetti Trattati, che sono stati emendati a più riprese. Ad esempio: il Trattato istitutivo della Comunità europea – dal febbraio 1986 al marzo 2001 – è stato profondamente rivisitato ben quattro volte; le norme del Trattato di Maastricht che istituivano e regolavano l’Unione europea dal 1992 sono state più che sensibilmente modificate dai successivi Trattati di Amsterdam e Nizza.
Proprio perché il processo di integrazione europea è regolato da Trattati, a questi ultimi evidentemente si applica il Diritto internazionale in materia di accordi internazionali. In particolare, quanto ora detto significa che per l’entrata in vigore del «Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa» si devono osservare le specifiche norme di Diritto internazionale che sono state codificate negli artt. 30 e 41 della Convenzione ad hoc conclusa a Vienna il 23 maggio 1969. Il primo dei due articoli citati in linea generale stabilisce che, se sono identiche le parti contraenti di più trattati conclusi in tempi successivi, il trattato posteriore succede a quello anteriore; se non tutte le parti contraenti del trattato anteriore sono del pari parti del trattato posteriore, la regola è che il trattato posteriore vincola solo le sue parti contraenti che avevano stipulato il trattato anteriore, quest’ultimo, invece, continua a disciplinare i rapporti fra le parti contraenti, sebbene alcune di esse abbiano stipulato sulla medesima materia un trattato successivo.
Per parte sua l’art. 41, con riferimento particolare agli accordi di modifica di trattati multilaterali, precisa che due o più parti di un simile trattato possono concludere un accordo per modificarlo soltanto nelle loro relazioni reciproche, se, beninteso, ciò è previsto dal trattato da modificare.
Se si ha ben presente quanto detto sin qui si può agevolmente comprendere perché – dopo che la c.d. Convenzione europea aveva concluso i propri lavori adottando il suo Progetto di «Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa» – sia stato necessario convocare una Conferenza intergovernativa degli Stati già membri, o in procinto di diventare tali, delle Comunità e dell’Unione europee e, naturalmente, il fatto che la conclusione del negoziato fra i rappresentanti di tali Stati sia durato non poco tempo.
Sempre se si ha ben presente quanto detto prima, si può agevolmente comprendere che, per entrare in vigore, il Trattato firmato a Roma il 29 ottobre scorso deve essere assolutamente ratificato da tutti gli Stati che lo hanno firmato. Se ciò non accadesse, questo atto rimarrebbe oggetto di studio solo per gli storici o per chi, per professione o diletto, discetta sui massimi sistemi, lasciando del tutto invariato l’attuale complesso di regole che disciplinano le Comunità e l’Unione europee.
Prima di concludere queste brevissime considerazioni, desidero esprimere un telegrafico giudizio sul Progetto di Trattato e formulare due auspici. Il giudizio: il nuovo Trattato, se entrerà in vigore, avrà soprattutto il pregio di razionalizzare in una certa misura l’esistente, “spruzzandovi” sopra qualche elemento che potrebbe rendere più agevole il modo di funzionare delle istituzioni comunitarie e dell’Unione.
Gli auspici: che tutti gli Stati ratifichino il Trattato sì da consentirne l’entrata in vigore, evitando una crisi, in sé solo politica, di cui non s’avverte affatto il bisogno se si considerano la molteplicità e la delicatezza dei problemi da risolvere; finalmente, per un congruo periodo di tempo non s’intervenga per emendarlo di nuovo.
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