CITTADINANZA DELL'UE, LIBERA CIRCOLAZIONE E DIRITTO DI STABILIMENTO DEI LAVORATORI TRANSFRONTALIERI
Archivio > Anno 2008 > Maggio 2008
di Egeria NALIN
La sentenza del 17 gennaio 2008 (causa C-152/05, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania) fornisce ulteriori indicazioni in materia di libertà di circolazione e diritto di stabilimento, nonché circa la ricevibilità di un ricorso per infrazione.
Come è noto, le libertà di circolazione e di stabilimento dei lavoratori dell’UE (artt. 39 e 43 TCE) e dei cittadini dell’UE in generale (art. 18 TCE) rappresentano uno dei fondamenti della Comunità europea e dell’Unione europea e non ammettono restrizioni e ostacoli, sia diretti che indiretti, da parte degli Stati, fatti salvi i limiti previsti dagli artt. 39, commi 3 e 4, 45 e 46 TCE. Da consolidata giurisprudenza della CGCE risulta, in particolare, che lo Stato può derogare alle libertà menzionate per perseguire un obiettivo di interesse generale soltanto nell’ipotesi in cui detto obiettivo non sia altrimenti raggiungibile (principio di necessità) e purché, a tale fine, esso si avvalga di mezzi idonei e non eccessivi rispetto allo scopo da raggiungere (principio di proporzionalità).
Orbene, la legge tedesca sugli aiuti alla proprietà immobiliare del 1997, così come modificata dalla legge di accompagnamento del bilancio 2004, attribuisce alle persone integralmente soggette all’imposta sul reddito un diritto all’aiuto per la costruzione o l’acquisto di un alloggio in una casa in piena proprietà situata in territorio tedesco o di un alloggio in piena proprietà situato in territorio tedesco (art. 2, n. 1), per gli anni in cui il beneficiario o un suo familiare (gratuitamente) utilizzino l’immobile a fini abitativi personali (art. 4); la stessa normativa non prevede l’attribuzione di detto aiuto in ipotesi di acquisto di beni immobili situati in un altro Stato membro, indipendentemente dalla circostanza che gli acquirenti siano in grado di ottenere un beneficio analogo dallo Stato membro di situazione dell’immobile.
La Commissione ha presentato un ricorso alla CGCE, ex art. 226 TCE, sostenendo che, nonostante si applichino a tutte le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito a prescindere dalla cittadinanza, le norme tedesche brevemente illustrate scoraggiano l’esercizio del diritto alla libera circolazione (art. 39 TCE) e allo stabilimento (art. 43 TCE) di coloro che lavorano in Germania, in quanto escludono il beneficio dell’aiuto allorché tali persone decidano di acquistare un immobile all’estero. Per la medesima ragione, secondo la Commissione, siffatta disciplina è contraria alla libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini europei (art. 18 TCE), dato che la legge tedesca relativa all’imposta sul reddito (art. 1) include anche persone economicamente non attive nella categoria delle persone fisiche integralmente soggette all’imposta sul reddito. Infatti, la norma in discorso si riferisce non solo ai cittadini tedeschi che, pur risiedendo o non essendo domiciliati abitualmente in Germania, abbiano un contratto di lavoro con una persona giuridica di diritto pubblico nazionale (ossia percepiscano uno stipendio che proviene da una cassa pubblica nazionale), bensì anche ai familiari degli stessi – che siano cittadini tedeschi, oppure che non percepiscano alcun reddito, ovvero che percepiscano redditi esclusivamente imponibili in Germania –, nonché a chi abbia il proprio domicilio o la propria residenza abituale in Germania.
La CGCE ha accolto il ricorso della Commissione, recependone le argomentazioni. In particolare, secondo la Corte, la legge in esame realizza una discriminazione tra le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito che decidano di stabilirsi in Germania acquistando un immobile in tale territorio e le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito che decidano di comprare un immobile in un altro Stato europeo.
Ricordato che le norme sulla libera circolazione si applicano a tutti coloro che ne abbiano usufruito o ne vogliano usufruire, negli Stati di origine, di residenza o di esercizio dell’attività lavorativa diversi da quello di residenza (tra le altre si vedano le recenti sentenze del 21 febbraio 2006, causa C-152/03, Ritter-Coulais, e del 18 luglio 2007, causa C-212/05, Hartmann), la Corte ha sottolineato che le disposizioni in discorso impongono agli Stati membri, anzitutto, l’obbligo di agevolare la libera circolazione e il diritto di stabilimento di cittadini di altri Stati membri nel proprio territorio, ovvero da parte dei propri cittadini e residenti verso i territori di altri Stati europei; quelle stesse norme – ha continuato la CGCE – richiedono agli Stati di astenersi dall’emanare provvedimenti che, in qualche modo, possano sfavorire o scoraggiare la fruizione di tali libertà (cfr. le sentenze del 15 settembre 2005, causa C-464/02, Commissione c. Danimarca; dell’11 settembre 2007, causa C-318/05, Com-missione c. Germania; del 26 ottobre 2006, causa C-345/05, Commissione c. Portogallo; del 18 gennaio 2007, causa C-104/06, Commissione c. Svezia).
Orbene, secondo la Corte, la normativa tedesca rappresenta un ostacolo alla libera circolazione e al diritto di stabilimento delle persone integralmente soggette all’imposta sul reddito, nella misura in cui scoraggia tale categoria di persone dall’acquistare immobili siti al di fuori del territorio tedesco. Siffatta restrizione, ha proseguito la CGCE, non può essere giustificata dalla necessità, addotta dalla Germania, di incentivare la costruzione di alloggi sul proprio territorio al fine di garantire una sufficiente offerta immobiliare: tale obiettivo può essere realizzato con strumenti alternativi ed essere ugualmente raggiunto se la persona integralmente soggetta all’imposta sul reddito sceglie di stabilire il proprio domicilio in un altro Stato europeo.
Pertanto, la normativa tedesca rende più disagevole l’esercizio dei diritti alla libera circolazione e allo stabilimento, in violazione dei richiamati principi di necessità e di proporzionalità.
La pronuncia de qua si segnala per due ordini di motivi. Invero, per un verso, essa conferma la tendenza volta a favorire la circolazione dei lavoratori transfrontalieri consentendo loro di scegliere se fissare la residenza nel territorio di uno Stato diverso da quello in cui svolgono l’attività lavorativa (sentenza Hartmann, cit., sulla quale ci permettiamo di rinviare al nostro commento "Lavoratori transfrontalieri e vantaggi sociali in due recenti pronunce della CGCE", in questo periodico, 2007, fasc. 3, reperibile on line sul sito www.sudineuropa.net). Per altro verso, la stessa sentenza afferma la comune ratio e funzione della libertà di circolazione e di soggiorno di cui gode il cittadino europeo, qualora decida di spostarsi in uno Stato diverso da quello di origine per ragioni di carattere non professionale (art. 18 TCE), e delle libertà di circolazione e stabilimento dei lavoratori transfrontalieri (artt. 39 e 43 TCE): queste ultime rappresentano, secondo la Corte, “un’espressione specifica” delle pri-me (sentenza Hartmann, cit., par. 18). Ammettendo che la conclusione raggiunta relativamente alla violazione dei diritti dei lavoratori transfrontalieri si impone anche “per quanto riguarda le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito in Germania che non sono economicamente attive (…) per identità di motivi per quanto attiene alla censura fondata sull’art. 18 CE” (sentenza Hartmann, cit., par. 30), la Corte valorizza lo status di cittadino dell’UE e i diritti a tale status connessi e conferma il passaggio – ormai consolidato – da una unione economica verso uno spazio comune europeo di libertà, sicurezza e giustizia.
Da ultimo, è opportuno ricordare altresì che, soffermandosi sulla ricevibilità del ricorso, la sentenza in esame ha fornito indicazioni sui contenuti del parere motivato e della lettera di diffida – indirizzati dalla Commissione allo Stato nell’ambito della fase precontenziosa della procedura di infrazione – e quelli del ricorso giurisdizionale, col quale si apre la successiva (eventuale) fase contenziosa.
Come è noto, l’art. 226 TCE circoscrive l’oggetto del ricorso giurisdizionale agli addebiti in precedenza direttamente contestati da parte della Commissione attraverso la lettera di diffida e il parere motivato indirizzati allo Stato; in questo modo, la norma tutela il diritto al contraddittorio di quest’ultimo, consentendogli anzitutto di fornire precisazioni e giustificazioni re-lativamente alle violazioni contestate; inoltre, essa garantisce che allo Stato sia fornito tempo sufficiente per preparare una adeguata difesa delle proprie ragioni dinanzi alla CGCE.
Orbene, nella specie, la Germania aveva contestato la ricevibilità del ricorso in esame, in quanto con tale atto la Commissione avrebbe ampliato l’oggetto dell’addebito, riferendosi a tutte le categorie di persone integralmente soggette all’imposta sul reddito, laddove nella lettera di diffida – con la quale aveva comunicato allo Stato tedesco le proprie perplessità sulla compatibilità dell’art. 2, n. 1, prima frase, della legge sul diritto all’aiuto immobiliare con gli artt. 18, 39 e 43 TCE – la Commissione si sarebbe riferita ai soli contribuenti di cittadinanza tedesca.
In proposito, la Corte ha ricordato di avere recentemente statuito (sentenza del 18 luglio 2007, causa C-490/04, Commis-sione c. Germania) che la necessaria identità di contenuti tra gli atti indicati non comporta che gli stessi debbano essere enunciati in modo perfettamente coincidente, purché le eventuali differenze nella formulazione non producano una estensione o una modifica dell’oggetto della controversia. Dunque, ha proseguito la Corte, la lettera di diffida può limitarsi a indicare in modo succinto gli addebiti contestati, mentre il parere motivato deve delineare dettagliatamente le ragioni che hanno indotto la Commissione a ritenere sussistente una violazione dei propri obblighi da parte dello Stato; tuttavia, è necessario che gli addebiti contestati nella lettera di messa in mora, per quanto succintamente descritti, siano i medesimi successivamente indicati nel parere motivato (sentenza del 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione c. Italia).
Tanto premesso, la CGCE ha respinto l’eccezione tedesca, osservando che, per un verso, già nella lettera di messa in mora la Commissione aveva fatto riferimento, attraverso il richiamo all’art. 1, n. 3 della legge sull’imposta sul reddito, alle persone non domiciliate né residenti in Germania le quali percepiscano un reddito in tale territorio pur non essendo cittadine tedesche; per altro, che, in quello stesso atto, la Commissione aveva sostenuto la contrarietà alla libertà di circolazione delle persone, sancita dal diritto comunitario agli artt. 18, 39 e 43 TCE, della normativa volta a escludere le persone praticanti la mobilità transfrontaliera dal beneficio dell’aiuto immobiliare. Pertanto, i contenuti del ricorso potevano dirsi conformi a quelli della lettera di messa in mora e del parere motivato, con i quali in precedenza la Commissione aveva contestato gli addebiti in discorso allo Stato tedesco.
Come è noto, le libertà di circolazione e di stabilimento dei lavoratori dell’UE (artt. 39 e 43 TCE) e dei cittadini dell’UE in generale (art. 18 TCE) rappresentano uno dei fondamenti della Comunità europea e dell’Unione europea e non ammettono restrizioni e ostacoli, sia diretti che indiretti, da parte degli Stati, fatti salvi i limiti previsti dagli artt. 39, commi 3 e 4, 45 e 46 TCE. Da consolidata giurisprudenza della CGCE risulta, in particolare, che lo Stato può derogare alle libertà menzionate per perseguire un obiettivo di interesse generale soltanto nell’ipotesi in cui detto obiettivo non sia altrimenti raggiungibile (principio di necessità) e purché, a tale fine, esso si avvalga di mezzi idonei e non eccessivi rispetto allo scopo da raggiungere (principio di proporzionalità).
Orbene, la legge tedesca sugli aiuti alla proprietà immobiliare del 1997, così come modificata dalla legge di accompagnamento del bilancio 2004, attribuisce alle persone integralmente soggette all’imposta sul reddito un diritto all’aiuto per la costruzione o l’acquisto di un alloggio in una casa in piena proprietà situata in territorio tedesco o di un alloggio in piena proprietà situato in territorio tedesco (art. 2, n. 1), per gli anni in cui il beneficiario o un suo familiare (gratuitamente) utilizzino l’immobile a fini abitativi personali (art. 4); la stessa normativa non prevede l’attribuzione di detto aiuto in ipotesi di acquisto di beni immobili situati in un altro Stato membro, indipendentemente dalla circostanza che gli acquirenti siano in grado di ottenere un beneficio analogo dallo Stato membro di situazione dell’immobile.
La Commissione ha presentato un ricorso alla CGCE, ex art. 226 TCE, sostenendo che, nonostante si applichino a tutte le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito a prescindere dalla cittadinanza, le norme tedesche brevemente illustrate scoraggiano l’esercizio del diritto alla libera circolazione (art. 39 TCE) e allo stabilimento (art. 43 TCE) di coloro che lavorano in Germania, in quanto escludono il beneficio dell’aiuto allorché tali persone decidano di acquistare un immobile all’estero. Per la medesima ragione, secondo la Commissione, siffatta disciplina è contraria alla libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini europei (art. 18 TCE), dato che la legge tedesca relativa all’imposta sul reddito (art. 1) include anche persone economicamente non attive nella categoria delle persone fisiche integralmente soggette all’imposta sul reddito. Infatti, la norma in discorso si riferisce non solo ai cittadini tedeschi che, pur risiedendo o non essendo domiciliati abitualmente in Germania, abbiano un contratto di lavoro con una persona giuridica di diritto pubblico nazionale (ossia percepiscano uno stipendio che proviene da una cassa pubblica nazionale), bensì anche ai familiari degli stessi – che siano cittadini tedeschi, oppure che non percepiscano alcun reddito, ovvero che percepiscano redditi esclusivamente imponibili in Germania –, nonché a chi abbia il proprio domicilio o la propria residenza abituale in Germania.
La CGCE ha accolto il ricorso della Commissione, recependone le argomentazioni. In particolare, secondo la Corte, la legge in esame realizza una discriminazione tra le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito che decidano di stabilirsi in Germania acquistando un immobile in tale territorio e le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito che decidano di comprare un immobile in un altro Stato europeo.
Ricordato che le norme sulla libera circolazione si applicano a tutti coloro che ne abbiano usufruito o ne vogliano usufruire, negli Stati di origine, di residenza o di esercizio dell’attività lavorativa diversi da quello di residenza (tra le altre si vedano le recenti sentenze del 21 febbraio 2006, causa C-152/03, Ritter-Coulais, e del 18 luglio 2007, causa C-212/05, Hartmann), la Corte ha sottolineato che le disposizioni in discorso impongono agli Stati membri, anzitutto, l’obbligo di agevolare la libera circolazione e il diritto di stabilimento di cittadini di altri Stati membri nel proprio territorio, ovvero da parte dei propri cittadini e residenti verso i territori di altri Stati europei; quelle stesse norme – ha continuato la CGCE – richiedono agli Stati di astenersi dall’emanare provvedimenti che, in qualche modo, possano sfavorire o scoraggiare la fruizione di tali libertà (cfr. le sentenze del 15 settembre 2005, causa C-464/02, Commissione c. Danimarca; dell’11 settembre 2007, causa C-318/05, Com-missione c. Germania; del 26 ottobre 2006, causa C-345/05, Commissione c. Portogallo; del 18 gennaio 2007, causa C-104/06, Commissione c. Svezia).
Orbene, secondo la Corte, la normativa tedesca rappresenta un ostacolo alla libera circolazione e al diritto di stabilimento delle persone integralmente soggette all’imposta sul reddito, nella misura in cui scoraggia tale categoria di persone dall’acquistare immobili siti al di fuori del territorio tedesco. Siffatta restrizione, ha proseguito la CGCE, non può essere giustificata dalla necessità, addotta dalla Germania, di incentivare la costruzione di alloggi sul proprio territorio al fine di garantire una sufficiente offerta immobiliare: tale obiettivo può essere realizzato con strumenti alternativi ed essere ugualmente raggiunto se la persona integralmente soggetta all’imposta sul reddito sceglie di stabilire il proprio domicilio in un altro Stato europeo.
Pertanto, la normativa tedesca rende più disagevole l’esercizio dei diritti alla libera circolazione e allo stabilimento, in violazione dei richiamati principi di necessità e di proporzionalità.
La pronuncia de qua si segnala per due ordini di motivi. Invero, per un verso, essa conferma la tendenza volta a favorire la circolazione dei lavoratori transfrontalieri consentendo loro di scegliere se fissare la residenza nel territorio di uno Stato diverso da quello in cui svolgono l’attività lavorativa (sentenza Hartmann, cit., sulla quale ci permettiamo di rinviare al nostro commento "Lavoratori transfrontalieri e vantaggi sociali in due recenti pronunce della CGCE", in questo periodico, 2007, fasc. 3, reperibile on line sul sito www.sudineuropa.net). Per altro verso, la stessa sentenza afferma la comune ratio e funzione della libertà di circolazione e di soggiorno di cui gode il cittadino europeo, qualora decida di spostarsi in uno Stato diverso da quello di origine per ragioni di carattere non professionale (art. 18 TCE), e delle libertà di circolazione e stabilimento dei lavoratori transfrontalieri (artt. 39 e 43 TCE): queste ultime rappresentano, secondo la Corte, “un’espressione specifica” delle pri-me (sentenza Hartmann, cit., par. 18). Ammettendo che la conclusione raggiunta relativamente alla violazione dei diritti dei lavoratori transfrontalieri si impone anche “per quanto riguarda le persone integralmente soggette all’imposta sul reddito in Germania che non sono economicamente attive (…) per identità di motivi per quanto attiene alla censura fondata sull’art. 18 CE” (sentenza Hartmann, cit., par. 30), la Corte valorizza lo status di cittadino dell’UE e i diritti a tale status connessi e conferma il passaggio – ormai consolidato – da una unione economica verso uno spazio comune europeo di libertà, sicurezza e giustizia.
Da ultimo, è opportuno ricordare altresì che, soffermandosi sulla ricevibilità del ricorso, la sentenza in esame ha fornito indicazioni sui contenuti del parere motivato e della lettera di diffida – indirizzati dalla Commissione allo Stato nell’ambito della fase precontenziosa della procedura di infrazione – e quelli del ricorso giurisdizionale, col quale si apre la successiva (eventuale) fase contenziosa.
Come è noto, l’art. 226 TCE circoscrive l’oggetto del ricorso giurisdizionale agli addebiti in precedenza direttamente contestati da parte della Commissione attraverso la lettera di diffida e il parere motivato indirizzati allo Stato; in questo modo, la norma tutela il diritto al contraddittorio di quest’ultimo, consentendogli anzitutto di fornire precisazioni e giustificazioni re-lativamente alle violazioni contestate; inoltre, essa garantisce che allo Stato sia fornito tempo sufficiente per preparare una adeguata difesa delle proprie ragioni dinanzi alla CGCE.
Orbene, nella specie, la Germania aveva contestato la ricevibilità del ricorso in esame, in quanto con tale atto la Commissione avrebbe ampliato l’oggetto dell’addebito, riferendosi a tutte le categorie di persone integralmente soggette all’imposta sul reddito, laddove nella lettera di diffida – con la quale aveva comunicato allo Stato tedesco le proprie perplessità sulla compatibilità dell’art. 2, n. 1, prima frase, della legge sul diritto all’aiuto immobiliare con gli artt. 18, 39 e 43 TCE – la Commissione si sarebbe riferita ai soli contribuenti di cittadinanza tedesca.
In proposito, la Corte ha ricordato di avere recentemente statuito (sentenza del 18 luglio 2007, causa C-490/04, Commis-sione c. Germania) che la necessaria identità di contenuti tra gli atti indicati non comporta che gli stessi debbano essere enunciati in modo perfettamente coincidente, purché le eventuali differenze nella formulazione non producano una estensione o una modifica dell’oggetto della controversia. Dunque, ha proseguito la Corte, la lettera di diffida può limitarsi a indicare in modo succinto gli addebiti contestati, mentre il parere motivato deve delineare dettagliatamente le ragioni che hanno indotto la Commissione a ritenere sussistente una violazione dei propri obblighi da parte dello Stato; tuttavia, è necessario che gli addebiti contestati nella lettera di messa in mora, per quanto succintamente descritti, siano i medesimi successivamente indicati nel parere motivato (sentenza del 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione c. Italia).
Tanto premesso, la CGCE ha respinto l’eccezione tedesca, osservando che, per un verso, già nella lettera di messa in mora la Commissione aveva fatto riferimento, attraverso il richiamo all’art. 1, n. 3 della legge sull’imposta sul reddito, alle persone non domiciliate né residenti in Germania le quali percepiscano un reddito in tale territorio pur non essendo cittadine tedesche; per altro, che, in quello stesso atto, la Commissione aveva sostenuto la contrarietà alla libertà di circolazione delle persone, sancita dal diritto comunitario agli artt. 18, 39 e 43 TCE, della normativa volta a escludere le persone praticanti la mobilità transfrontaliera dal beneficio dell’aiuto immobiliare. Pertanto, i contenuti del ricorso potevano dirsi conformi a quelli della lettera di messa in mora e del parere motivato, con i quali in precedenza la Commissione aveva contestato gli addebiti in discorso allo Stato tedesco.