SUL SIGNIFICATO "STORICO" DELLA COSTITUZIONE EUROPEA
Archivio > Anno 2004 > Dicembre 2004
La
Costituzione firmata a Roma dai Capi di Stato e di governo il 29
ottobre scorso cambia davvero il carattere dell’Unione europea? Sul
piano istituzionale, le modifiche non sono incisive come molti avrebbero
sperato. Non a caso si parla di “trattato” costituzionale.
Tuttavia, non si trattava di scegliere tra un super-Stato e il ritorno alla sovranità nazionale. Dal 1950, ad ogni passaggio dell’integrazione europea ha corrisposto una differente architettura della cooperazione, in cui l’aspetto sovranazionale delle prime istituzioni europee, quali la Comunità del carbone e dell’acciaio o la abortita Comunità di Difesa, ha conosciuto sempre forme di compromesso con quello intergovernativo. Anche i Trattati di Maastricht (1992) e Amsterdam (1998), su cui si basa la presente Costituzione, non ne erano esenti. Eppure nel tempo la Comunità europea ha aumentato le proprie competenze e si è allargata.
Per il solo fatto di unificare i precedenti trattati, offrire un unico testo giuridico, razionalizzare l’architettura dell’Unione, includere i Diritti fondamentali dei cittadini, questo testo segna una novità reale. Ma è anche un simbolo, e innanzitutto sotto questa luce bisogna considerarlo. La Costituzione europea è il simbolo dell’unificazione del continente Europa.
Qui sta il vero significato “storico” e politico della Costituzione, e qui risiedono anche i suoi limiti. L’allargamento da quindici a venticinque paesi non è una semplice estensione dell’Unione Europea a qualche paese in più; non è comparabile col passaggio dai Sei ai Nove o ai Dodici o ai Quindici. Non solo perché integrare dieci paesi è molto più complicato di tre alla volta, come in passato. Non è solo una questione numerica ma qualitativa. Perché l’allargamento a Venticinque supera e chiude la vicenda della prima e della seconda guerra mondiale, la guerra fredda e la spaccatura del continente. L’UE unifica il continente, e pone perciò interrogativi sulla posizione ibrida della Russia e della Turchia. L’unificazione dell’Europa trasforma l’Unione da un’organizzazione dei paesi europeo-occidentali – ossia parte di un’alleanza transatlantica con gli Stati Uniti – in un’unità politica con principi ambiziosi. Era adeguato all’unificazione continentale l’impianto istituzionale dell’Europa a Quindici, sostanzialmente salvaguardato? Sono troppe le materie da decidere all’unanimità? La grande novità non sta tanto nelle procedure, ma nelle politiche previste: il mercato unico viene derubricato da fine in sé, a strumento della piena occupazione e dell’aumento dei redditi, coi quali la Banca centrale deve ora conciliare la stabilità monetaria. Piena occupazione, lotta contro l’esclusione sociale, protezione sociale adeguata: le istituzioni previste saranno adeguate a questi compiti enormi e persino rivoluzionari? Le risposte non possono stare tutte nella Costituzione.
L’unificazione del continente pone le premesse per affrontare quei nodi sociali e culturali che il confronto tra capitalismo e socialismo reale ha lasciato irrisolti, ma apre grandi rischi sulla salvaguardia dei livelli di democrazia e benessere acquisiti anche grazie a quello scontro. Il preambolo pone l’ “unità nella diversità” come valore culturale fondante dell’Unione. Però la concorrenza fiscale tra gli Stati che si è già in-staurata potrebbe trasformare la diversità in conflittualità e inficiare i meccanismi decisionali.
Il contenuto reale della Costituzione, al di là di ogni formula giuridica, sarà perciò definito dalle politiche sociali ed economiche che si attueranno. Ciò significa che la politica dovrà cercare di riappropriarsi dell’alta amministrazione, che l’Unione ha progressivamente sottratto agli Stati per prevenire conflitti irresolubili e il ritorno alla guerra, riaffacciatasi nei Balcani negli anni novanta, come strumento di soluzione dei conflitti. Quanto più forte e coerente sarà l’azione dei cittadini verso la democrazia e il pluralismo, tanto più efficace potrà essere l’azione del Parlamento europeo.
La nuova Costituzione aumenta i poteri del Parlamento europeo, estende le materie di sua competenza e prevede un maggior coordinamento tra parlamenti nazionali e parlamento europeo. Il Protocollo n. 2 in appendice al Trattato costruisce un ponte più stabile tra Stati ed Unione, che bisognerà rafforzare. Il Parlamento di Strasburgo ha già fatto sentire la propria voce sulla designazione dei membri della Commissione guidata dal portoghese Barroso. È un segnale non trascurabile: si è creato un nuovo spazio per la politica. Ma i rischi che ad appropriarsene siano coloro che rifiutano le diversità esistono e bisogna che le forze democratiche si sbrighino.
Nei prossimi due anni, tra 2004 e 2006, Stati e cittadini europei saranno chiamati alla ratifica. Sarà un periodo importante per capire quale valore sappiamo dare alla nostra doppia cittadinanza.
Tuttavia, non si trattava di scegliere tra un super-Stato e il ritorno alla sovranità nazionale. Dal 1950, ad ogni passaggio dell’integrazione europea ha corrisposto una differente architettura della cooperazione, in cui l’aspetto sovranazionale delle prime istituzioni europee, quali la Comunità del carbone e dell’acciaio o la abortita Comunità di Difesa, ha conosciuto sempre forme di compromesso con quello intergovernativo. Anche i Trattati di Maastricht (1992) e Amsterdam (1998), su cui si basa la presente Costituzione, non ne erano esenti. Eppure nel tempo la Comunità europea ha aumentato le proprie competenze e si è allargata.
Per il solo fatto di unificare i precedenti trattati, offrire un unico testo giuridico, razionalizzare l’architettura dell’Unione, includere i Diritti fondamentali dei cittadini, questo testo segna una novità reale. Ma è anche un simbolo, e innanzitutto sotto questa luce bisogna considerarlo. La Costituzione europea è il simbolo dell’unificazione del continente Europa.
Qui sta il vero significato “storico” e politico della Costituzione, e qui risiedono anche i suoi limiti. L’allargamento da quindici a venticinque paesi non è una semplice estensione dell’Unione Europea a qualche paese in più; non è comparabile col passaggio dai Sei ai Nove o ai Dodici o ai Quindici. Non solo perché integrare dieci paesi è molto più complicato di tre alla volta, come in passato. Non è solo una questione numerica ma qualitativa. Perché l’allargamento a Venticinque supera e chiude la vicenda della prima e della seconda guerra mondiale, la guerra fredda e la spaccatura del continente. L’UE unifica il continente, e pone perciò interrogativi sulla posizione ibrida della Russia e della Turchia. L’unificazione dell’Europa trasforma l’Unione da un’organizzazione dei paesi europeo-occidentali – ossia parte di un’alleanza transatlantica con gli Stati Uniti – in un’unità politica con principi ambiziosi. Era adeguato all’unificazione continentale l’impianto istituzionale dell’Europa a Quindici, sostanzialmente salvaguardato? Sono troppe le materie da decidere all’unanimità? La grande novità non sta tanto nelle procedure, ma nelle politiche previste: il mercato unico viene derubricato da fine in sé, a strumento della piena occupazione e dell’aumento dei redditi, coi quali la Banca centrale deve ora conciliare la stabilità monetaria. Piena occupazione, lotta contro l’esclusione sociale, protezione sociale adeguata: le istituzioni previste saranno adeguate a questi compiti enormi e persino rivoluzionari? Le risposte non possono stare tutte nella Costituzione.
L’unificazione del continente pone le premesse per affrontare quei nodi sociali e culturali che il confronto tra capitalismo e socialismo reale ha lasciato irrisolti, ma apre grandi rischi sulla salvaguardia dei livelli di democrazia e benessere acquisiti anche grazie a quello scontro. Il preambolo pone l’ “unità nella diversità” come valore culturale fondante dell’Unione. Però la concorrenza fiscale tra gli Stati che si è già in-staurata potrebbe trasformare la diversità in conflittualità e inficiare i meccanismi decisionali.
Il contenuto reale della Costituzione, al di là di ogni formula giuridica, sarà perciò definito dalle politiche sociali ed economiche che si attueranno. Ciò significa che la politica dovrà cercare di riappropriarsi dell’alta amministrazione, che l’Unione ha progressivamente sottratto agli Stati per prevenire conflitti irresolubili e il ritorno alla guerra, riaffacciatasi nei Balcani negli anni novanta, come strumento di soluzione dei conflitti. Quanto più forte e coerente sarà l’azione dei cittadini verso la democrazia e il pluralismo, tanto più efficace potrà essere l’azione del Parlamento europeo.
La nuova Costituzione aumenta i poteri del Parlamento europeo, estende le materie di sua competenza e prevede un maggior coordinamento tra parlamenti nazionali e parlamento europeo. Il Protocollo n. 2 in appendice al Trattato costruisce un ponte più stabile tra Stati ed Unione, che bisognerà rafforzare. Il Parlamento di Strasburgo ha già fatto sentire la propria voce sulla designazione dei membri della Commissione guidata dal portoghese Barroso. È un segnale non trascurabile: si è creato un nuovo spazio per la politica. Ma i rischi che ad appropriarsene siano coloro che rifiutano le diversità esistono e bisogna che le forze democratiche si sbrighino.
Nei prossimi due anni, tra 2004 e 2006, Stati e cittadini europei saranno chiamati alla ratifica. Sarà un periodo importante per capire quale valore sappiamo dare alla nostra doppia cittadinanza.