ATTESA PER IL VERDETTO EUROPEO SULL’IRAP
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di Michele ANTONUCCI (Tesoriere Camera Tributaria degli Avvocati di Bari)
È
ancora aperta la partita lussemburghese sulla legittimità dell’IRAP e,
come il recente mondiale di calcio ha insegnato, per l’esito finale
bisognerà aspettare i…calci di rigore. Per il giudizio europeo
sull’imposta regionale, infatti, i tempi si sono allungati e si dovrà
attendere quasi certamente la fine del mese di settembre o, più
probabilmente, l’inizio di ottobre per il verdetto finale della Corte di
Giustizia europea.È questa la previsione sulla quale sono pronti a
scommettere i conoscitori della Corte considerando, da un lato, i tempi
tecnici necessari all’organismo europeo per completare l’iter
procedurale che dall’intesa a maggioranza semplice tra i tredici giudici
porta alla traduzione nelle 20 lingue ufficiali dell’Unione (compresa
la lingua processuale italiana) prima di arrivare all’emanazione della
sentenza e, d’altro lato, avendo presente che il 6 ottobre scade il
mandato di sei giudici della Corte, compreso il giudice relatore
sull’IRAP, la tedesca Ninon Colneric.Difficile immaginare che un
giudizio così importante e delicato sia sottoposto a un nuovo
stravolgimento dopo aver già dovuto affrontare due udienze e il
passaggio di consegne tra due Avvocati generali, dall’inglese Francis
Geoffrey Jacobs all’austriaca Christine Stix-Hackl.Certo, la posta in
gioco è molto alta e questo spiega l’estrema cautela degli eurogiudici
nel pronunciarsi. È stato calcolato, infatti, che gli effetti di una
sentenza che sancisca l’illegittimità dell’imposta regionale sulle
attività produttive per violazione di norme di diritto comunitario
potrebbe sottrarre fino a 150 miliardi di euro dalle casse dello Stato
italiano e, comunque, la bocciatura dell’IRAP comporterebbe
l’interruzione di un gettito di 30 – 35 miliardi di euro annui.Come è
noto, la vicenda giudiziaria europea trae origine dal contenzioso
instaurato dalla Banca Popolare di Cremona contro l’Agenzia delle
Entrate Ufficio di Cremona per ottenere il rimborso dell’IRAP versata
negli anni 1998 e 1999, sostenendo, tra l’altro, l’illegittimità
dell’imposta in quanto incompatibile con l’art. 33, n.1 della Sesta
Direttiva (n. 77/388/CEE), in materia di armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile
uniforme, come modificata dalla Direttiva n. 91/680/CEE.La Commissione
Tributaria Provinciale di Cremona, investita della vertenza, ha,
pertanto, proposto alla Corte di Giustizia del Lussemburgo domanda di
pronuncia pregiudiziale (causa C-475/03), chiedendo, sostanzialmente, se
l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP, in acronimo) sia
compatibile con le disposizioni della Sesta Direttiva IVA che vietano
agli Stati dell’Unione europea di introdurre o mantenere imposte simili
all’IVA, in modo da non danneggiare il corretto funzionamento di
quest’ultima.Con decisione del 28 settembre 2004 la Corte ha rinviato il
procedimento alla Grande Sezione.Dopo la presentazione di osservazioni
scritte ed orali da parte della Banca Popolare di Cremona, del Governo
italiano e della Commissione europea, il 17 marzo 2005 l’Avvocato
generale, Francis G. Jacobs, ha presentato le sue conclusioni,
dichiarando l’illegittimità dell’IRAP in quanto, nei suoi caratteri
essenziali, uguale all’IVA e, pertanto, ricadente nel divieto della
Sesta Direttiva. In particolare, l’Avvocato generale, superando le
obiezioni del Governo italiano, tese a negare il rapporto di affinità
tra le due imposte, ha ritenuto di individuare nell’IRAP tutte le
quattro caratteristiche essenziali dell’IVA, quali elaborate dalla
giurisprudenza della Corte (e più specificatamente, dalla sentenza Dansk
Denkavit pronunciata in seduta plenaria il 31 marzo 1992) in relazione
alla definizione contenuta nell’art. 2 della Prima Direttiva (n.
67/227/CEE), e cioè: a) applicazione in modo generalizzato alle
operazioni di cessione di beni o di prestazione di servizi; b)
proporzionalità al prezzo di tali beni o servizi forniti; c)
applicazione ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione;
d) applicazione gravante sul valore aggiunto dei beni o servizi
forniti. Tuttavia, nell’affermare la sostanziale sovrapponibilità
dell’IRAP all’IVA, Francis G. Jacobs ha valutato l’impatto negativo che
una declaratoria di incompatibilità con il diritto comunitario potrebbe
avere sullo Stato italiano in termini finanziari e, considerato che la
Commissione europea, con nota del 10 marzo 1997, aveva dato
provvisoriamente all’Italia parere favorevole al progetto di
introduzione dell’IRAP , ha suggerito alla Corte di limitare nel tempo
gli effetti della sentenza, consigliando la ria-pertura della fase orale
per discutere sui criteri da seguire nello stabilire detta eventuale
limitazione. Sulla base di tali indicazioni e su richiesta di sette
Stati membri, la Corte di Giustizia, con ordinanza del 21 ottobre 2005,
ha disposto la riapertura della fase orale del procedimento, mettendo in
discussione non solo il punto in ordine alla limitazione temporale
della sentenza ma anche, nuovamente, l’analisi comparativa dell’imposta
regionale italiana con il divieto di cui alla Sesta Direttiva. Il
passaggio attraverso una nuova udienza orale, di per sé molto raro
(accade più o meno una volta l’anno su centinaia e centinaia di cause),
ha, inoltre, segnato il passaggio di testimone dall’Avvocato generale
Jacobs, in procinto di lasciare la Corte, alla collega austriaca
Christine Stix – Hackl. Dopo ulteriori osservazioni scritte ed orali,
presentate, complessivamente, da 13 Stati membri oltre che dalla Banca
Popolare di Cremona e dalla Commissione Ue, il 14 marzo 2006 sono
arrivate le nuove conclusioni dell’Avvocato generale Stix-Hackl che,
fondamentalmente, ha condiviso l’analisi del suo predecessore, ritenendo
che un’imposta come l’IRAP ricada nel divieto di cui all’art. 33, n.1
della Sesta Direttiva.Nuova bocciatura, dunque, ma in qualche modo
temperata, dato che, attraverso un responso, a tratti, abilmente
sibillino, sembra lasciare uno spiraglio di speranza per una sentenza
dagli effetti meno afflittivi per l’Italia.Il nuovo Avvocato generale,
dando per scontata la natura dell’IRAP quale descritta dal giudice
remittente (la Commissione Tributaria di Cremona), ha ripercorso le
valutazioni del collega Jacobs, condividendone largamente le
conclusioni. Tuttavia, la Stix-Hackl ha proposto una serie di ulteriori
specificazioni.In particolare, l’Avvocato generale ha ricordato che,
nella valutazione della compatibilità di un’imposta nazionale con il
sistema comunitario dell’IVA, la verifica della presenza di ciascuna
delle quattro caratteristiche essenziali di detta imposta, ai fini
dell’accertamento della violazione del divieto di cui alla Sesta
Direttiva, può essere effettuata o in modo restrittivo e strettamente
formale ovvero con approccio estensivo alla ricerca della somiglianza
sostanziale dei due tributi, sottolineando di aver aderito a
quest’ultimo sistema di analisi comparativa. Ad ogni modo, specialmente
con riferimento alla quarta caratteristica (applicazione al valore
aggiunto dei beni o servizi), la Stix-Hackl ha riconosciuto che, in
ipotesi, potrebbero essere rilevate differenze che, tuttavia, non
sarebbero importanti nel caso in cui il rapporto tra IRAP ed IVA,
calcolate in funzione di aliquote diverse, sulla stessa base imponibile,
risultasse costante per un campione rappresentativo di imprese
assoggettate ad entrambe le imposte.Pertanto, pur concludendo nel senso
che l’IRAP possiede le quattro caratteristiche essenziali dell’IVA e
ricade, pertanto, nel divieto previsto dalla Sesta Direttiva, ha
demandato al giudice nazionale l’accertamento sulla sussistenza della
predetta condizione di parallelismo, tenendo conto delle caratteristiche
dell’IRAP. A tal proposito, in sede di valutazione, ha, pure, ricordato
che le sentenze pregiudiziali di interpretazione della Corte (ex art.
234 Trattato CE) non hanno l’effetto di invalidare direttamente un
tributo nazionale, pur creando il presupposto in base al quale il
giudice remittente può dichiarare l’incompatibilità con il diritto
comunitario. Per quanto riguarda, invece, la limitazione temporale degli
effetti della sentenza, salvaguardando sia la buona fede dello Stato
italiano (valutata in base al citato parere della Commissione del 1997),
sia l’esigenza di evitare una serie di difficoltà di ordine finanziario
(nella specie, il sistema italiano di finanziamento delle spese
regionali) e considerando la delicatezza della vertenza, protrattasi a
lungo ed oggetto di grande attenzione, anche in funzione dell’incidenza
sulla futura giurisprudenza in materia, l’Avvocato Stix-Hackl ha
proposto che la sentenza produca effetti alla scadenza dell’esercizio
tributario nel corso del quale la Corte pronuncerà il verdetto (e,
dunque, presumibilmente, dall’ottobre 2006). A tale limitazione ha,
inoltre, ritenuto di porre un’eccezione a favore di tutti coloro che
abbiano avviato azioni legali dirette al rimborso dell’imposta
anteriormente al 17 marzo 2005, data di presentazione delle conclusioni
dell’Avvocato generale Jacobs, individuata quale elemento spartiacque
fra azioni avviate tempestivamente e azioni di carattere potenzialmente
speculativo. Il tutto, ad evidente discapito del diritto
costituzionalmente garantito al cittadino italiano di richiedere il
rimborso nel termine decadenziale di 48 mesi dalla data del versamento.
Con queste premesse, già oggetto di valutazioni critiche da parte
degli esperti del settore, la questione è ora rimandata ai giudici,
chiamati a trovare un’intesa sia sul dispositivo che sulla motivazione
della sentenza. Va, peraltro, detto che le conclusioni dell’Avvocato
generale, di per sé non vincolanti per la Corte, indicando solo una
possibile soluzione giuridica del caso, sono quasi sempre condivise
dagli eurogiudici.In attesa che la sentenza sia emanata e prima ancora
di procedere a tutti gli approfondimenti critici sui vari aspetti e
risvolti della vicenda (giuridici, economici, di politica tributaria, di
applicazione della sentenza da parte del giudice nazionale) va, da
ultimo, segnalato che nel calendario provvisorio della Corte nulla è
stato previsto, almeno fino al 22 settembre 2006.Insomma, per quella che
già appare come una delle più travagliate sentenze della Corte di
Giustizia europea bisognerà attendere… fino all’ultimo rigore.