PARTE LA NUOVA CORTE PENALE INTERNAZIONALE PER REPRIMERE I GENOCIDI
Archivio > Anno 2002 > Giugno 2002
di Donatella DEL VESCOVO
Finalmente
non solo speranza ma realtà: a dare più sostanza e concretezza alla
giurisdizione internazionale a partire dall'11 aprile ha aperto i
battenti la nuova Corte penale. L’organismo, si ricorda, nacque nel 1998
a seguito della Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite; dopo soli
quattro anni quindi, anticipando la più ottimistica delle previsioni, la
sua istituzione è stata ratificata col minimo dei voti (60) necessari
affinché la nuova Corte potesse iniziare ad operare. Tuttavia il
funzionamento a pieno regime si avrà dopo la riunione a New York dei
Paesi aderenti prevista per la fine dell’estate.
La Corte avrà carattere permanente e come sede L'Aja. Non farà parte delle Nazioni Unite, ma risponderà direttamente ai Paesi che ne hanno ratificato lo Statuto. Sarà costituita da 18 giudici, ma è previsto che il presidente ne possa chiedere l'aumento. Le candidature al posto di giudice della Corte possono essere avanzate da qualsiasi Stato abbia ratificato lo Statuto che disciplina il funzionamento del Tribunale. Dovrà comunque essere assicurata un' equa rappresentanza non solo geografica ma anche dei principali ordinamenti giuri-dici del mondo.
Per quanto concerne le aree di intervento la competenza è circoscritta ai crimini più gravi, che rappresentano un motivo di allarme per tutta la comunità internazionale. In questa direzione va la possibilità di intervento della Corte in materia di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e di aggressione. Lo Statuto istitutivo della Corte, che in Italia è stato ratificato nei 1999 con la legge n. 232, traccia anche un identikit dei singoli reati.
Per crimini contro l'umanità, per esempio, vengono intesi, tra l'altro, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la tortura, la sparizione forzata delle persone, l'apartheid, e per crimini di guerra la deportazione, il trasferimento e la cattura di ostaggi ma anche gli attacchi deliberati contro le popolazioni civili. Impossibile sull'onda di queste considerazioni non sentire l'eco delle guerre civili dal Kosovo alla Bosnia e al Ruanda oppure le ripercussioni delle polemiche sull'interventismo a senso unico dell'Occidente.
La speranza è che la Corte possa conquistarsi sul campo un'autorevolezza tale da poter rappresentare un punto di riferimento per il diritto penale internazionale.
La Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale a condizione che uno Stato membro segnali al procuratore una situazione nella quale uno o più crimini siano stati commessi. L'altra condizione di procedibilità è rappresentata dalla segnalazione del Consiglio di sicurezza. Qualsiasi persona, indipendentemente dalla sua posizione o carica militare e istituzionale, potrà essere processata, a patto che i tribunali nazionali non decidano di procedere in maniera autonoma.
Un punto che potrebbe rivelarsi particolarmente delicato è relativo alla dichiarazione di improcedibilità pronunciata dalla Corte stessa quando uno Stato ha già condotto indagini sul caso e lo ha poi archiviato. Lo Statuto precisa che la Corte potrà procedere ugualmente nel caso in cui la decisione di non attivare l'azione penale da parte dello Stato rappresenti il risultato di un rifiuto o dell'incapacità dello Stato di procedere correttamente. In questo caso entreranno in gioco considerazioni di carattere politico che potrebbero fondare l'accusa di copertura da parte dello Stato interessato nei confronti degli imputati.
Lo Statuto, che ripercorre esplicitamente i principi del diritto penale di stampo occidentale, riafferma come naturale l'individualità della responsabilità penale, ma sottolinea come in alcuni casi vi sia una parificazione sostanziale tra commissione diretta del fatto criminale e incitamento alla commissione del delitto stesso. Caso di scuola, in questo senso, è quello del genocidio. Viene poi precisato che, vista la natura particolare dei crimini perseguiti dalla Corte, non è previsto alcun limite di prescrizione.
Nutrito l'elenco della cause di esclusione dalla responsabilità penale. Tra queste l'adozione di un comportamento sotto minaccia di morte o di un grave pericolo (da valutare co-munque sempre in rapporto al danno provocato) oppure per difesa di se stessi, di un'altra persona oppure, in caso di guerra, di beni necessari alla sopravvivenza.
Non esiste un obbligo di esercizio da parte del procuratore, che assieme alla Presidenza e agli organi relativi ai vari gradi di giudizio (è prevista una sezione preliminare, una di primo grado e una di appello) costituisce la struttura ordinamentale. Dovrà essere l'ufficio stesso della procura a vagliare invece se, per caso, un'azione giudiziaria nel caso particolare non potrebbe rappresentare un danno per la giustizia.
Alla fine del percorso processuale che lo Statuto disciplina nel dettaglio può essere previ-sta una condanna alla detenzione che non potrà comunque essere superiore a 30 anni, ma nel caso dei crimini più gravi è previsto anche l'ergastolo. In aggiunta alla reclusione potranno poi scattare anche un'ammenda (che va ad alimentare un Fondo per le vittime dei reati di competenza della Corte) e la confisca dei beni e del profitto del reato.
Un'ultima annotazione che si intreccia anche alle polemiche che hanno accompagnato mesi fa la decisione dell'Italia di prendere tempo, prima di fare entrare in vigore il mandato di cattura europeo: la Corte può chiedere l'arresto di una persona ricercata che si trovi an-che sul territorio di uno Stato che non abbia ratificato lo Statuto; gli Stati parte risponderanno poi alla richiesta con il livello di garanzia previsto da proprio ordinamento nazionale.
La Corte avrà carattere permanente e come sede L'Aja. Non farà parte delle Nazioni Unite, ma risponderà direttamente ai Paesi che ne hanno ratificato lo Statuto. Sarà costituita da 18 giudici, ma è previsto che il presidente ne possa chiedere l'aumento. Le candidature al posto di giudice della Corte possono essere avanzate da qualsiasi Stato abbia ratificato lo Statuto che disciplina il funzionamento del Tribunale. Dovrà comunque essere assicurata un' equa rappresentanza non solo geografica ma anche dei principali ordinamenti giuri-dici del mondo.
Per quanto concerne le aree di intervento la competenza è circoscritta ai crimini più gravi, che rappresentano un motivo di allarme per tutta la comunità internazionale. In questa direzione va la possibilità di intervento della Corte in materia di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e di aggressione. Lo Statuto istitutivo della Corte, che in Italia è stato ratificato nei 1999 con la legge n. 232, traccia anche un identikit dei singoli reati.
Per crimini contro l'umanità, per esempio, vengono intesi, tra l'altro, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la tortura, la sparizione forzata delle persone, l'apartheid, e per crimini di guerra la deportazione, il trasferimento e la cattura di ostaggi ma anche gli attacchi deliberati contro le popolazioni civili. Impossibile sull'onda di queste considerazioni non sentire l'eco delle guerre civili dal Kosovo alla Bosnia e al Ruanda oppure le ripercussioni delle polemiche sull'interventismo a senso unico dell'Occidente.
La speranza è che la Corte possa conquistarsi sul campo un'autorevolezza tale da poter rappresentare un punto di riferimento per il diritto penale internazionale.
La Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale a condizione che uno Stato membro segnali al procuratore una situazione nella quale uno o più crimini siano stati commessi. L'altra condizione di procedibilità è rappresentata dalla segnalazione del Consiglio di sicurezza. Qualsiasi persona, indipendentemente dalla sua posizione o carica militare e istituzionale, potrà essere processata, a patto che i tribunali nazionali non decidano di procedere in maniera autonoma.
Un punto che potrebbe rivelarsi particolarmente delicato è relativo alla dichiarazione di improcedibilità pronunciata dalla Corte stessa quando uno Stato ha già condotto indagini sul caso e lo ha poi archiviato. Lo Statuto precisa che la Corte potrà procedere ugualmente nel caso in cui la decisione di non attivare l'azione penale da parte dello Stato rappresenti il risultato di un rifiuto o dell'incapacità dello Stato di procedere correttamente. In questo caso entreranno in gioco considerazioni di carattere politico che potrebbero fondare l'accusa di copertura da parte dello Stato interessato nei confronti degli imputati.
Lo Statuto, che ripercorre esplicitamente i principi del diritto penale di stampo occidentale, riafferma come naturale l'individualità della responsabilità penale, ma sottolinea come in alcuni casi vi sia una parificazione sostanziale tra commissione diretta del fatto criminale e incitamento alla commissione del delitto stesso. Caso di scuola, in questo senso, è quello del genocidio. Viene poi precisato che, vista la natura particolare dei crimini perseguiti dalla Corte, non è previsto alcun limite di prescrizione.
Nutrito l'elenco della cause di esclusione dalla responsabilità penale. Tra queste l'adozione di un comportamento sotto minaccia di morte o di un grave pericolo (da valutare co-munque sempre in rapporto al danno provocato) oppure per difesa di se stessi, di un'altra persona oppure, in caso di guerra, di beni necessari alla sopravvivenza.
Non esiste un obbligo di esercizio da parte del procuratore, che assieme alla Presidenza e agli organi relativi ai vari gradi di giudizio (è prevista una sezione preliminare, una di primo grado e una di appello) costituisce la struttura ordinamentale. Dovrà essere l'ufficio stesso della procura a vagliare invece se, per caso, un'azione giudiziaria nel caso particolare non potrebbe rappresentare un danno per la giustizia.
Alla fine del percorso processuale che lo Statuto disciplina nel dettaglio può essere previ-sta una condanna alla detenzione che non potrà comunque essere superiore a 30 anni, ma nel caso dei crimini più gravi è previsto anche l'ergastolo. In aggiunta alla reclusione potranno poi scattare anche un'ammenda (che va ad alimentare un Fondo per le vittime dei reati di competenza della Corte) e la confisca dei beni e del profitto del reato.
Un'ultima annotazione che si intreccia anche alle polemiche che hanno accompagnato mesi fa la decisione dell'Italia di prendere tempo, prima di fare entrare in vigore il mandato di cattura europeo: la Corte può chiedere l'arresto di una persona ricercata che si trovi an-che sul territorio di uno Stato che non abbia ratificato lo Statuto; gli Stati parte risponderanno poi alla richiesta con il livello di garanzia previsto da proprio ordinamento nazionale.