IL RAFFORZAMENTO DELLA LEGITTIMAZIONE DEMOCRATICA DELL'UNIONE: IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA' (*)
Archivio > Anno 2010 > Maggio 2010
di Micaela FALCONE
Il
processo di integrazione europea, che ha recentemente compiuto un
importante passo in avanti con l’entrata in vigore del Trattato di
Lisbona (1° dicembre 2009), persegue un progetto di unificazione
politica affidato alla sinergia tra Istituzioni comunitarie e Stati
membri. Il modello di democrazia rappresentativa su cui si fonda è
espressione di una società pluralistica tesa a consolidare la dimensione
europea attraverso la legittimazione democratica delle proprie
istituzioni e il corretto bilanciamento tra i diversi livelli di
governo.
In questa prospettiva il principio di sussidiarietà rappresenta il fattore di equilibrio alla base dell’ordinamento giuridico dell’Unione, preposto ad orientare il rapporto tra le strutture decisionali comunitarie e nazionali, queste ultime a loro volta articolate in Enti regionali e locali con poteri normativi. Questo principio, sancito dall’articolo 5 del nuovo Trattato sull’Unione europea (TUE), costituisce criterio di allocazione dell’esercizio delle competenze concorrenti tra i diversi livelli di governo, legittimando o comprimendo l’iniziativa comunitaria rispetto a quella degli Stati membri a seconda della idoneità dell’azione nazionale e della eventuale maggiore efficacia, per dimensioni ed effetti, di un intervento dell’Unione. La sua formulazione mira a salvaguardare l’ambito di operatività degli Stati membri e, allineandosi alle crescenti istanze di democratizzazione dei processi decisionali, privilegia l’intervento del livello di governo più vicino ai cittadini. Questa scelta di valore rappresenta il punto di forza della sussidiarietà e smentisce l’iniziale lettura svalutativa del principio stesso, al quale era stata attribuita una valenza meramente efficientistica per la asserita mancanza della forza precettiva necessaria a bilanciare coordinamento e differenziazione (A. D’Atena, Dimensione e problemi sulla sussidiarietà, in G. De Martin (a cura di), Sussidiarietà e Democrazia, esperienze a confronto e prospettive, Padova, 2008, p. 30 s.).
È ormai opinione condivisa che nell’ordinamento europeo, caratterizzato dall’interazione di una pluralità di livelli di governo, la sussidiarietà consente di “privilegiare un equilibrio multistabile e flessibile delle strutture decisionali, piuttosto che un assetto fondato su relazioni formalizzate e gerarchizzate” e contribuisce a valorizzare la dimensione garantista e democratica dell’azione dell’Unione operando come “fattore di potenziamento di una legittimazione dal basso del processo politico” (v. P. Ridola, Sussidiarietà e democrazia, in G. De Martin, op. cit. p. 27 s.).
In tale veste, l’applicazione di questo principio rappresenta l’efficace strumento per una “organica collaborazione dei diversi soggetti pubblici (sussidiarietà verticale) e privati (orizzontale)” che, integrando le tre principali espressioni della cittadinanza (locale, statale ed europea) nella logica sussidiaria, concorre a delineare “dinamiche realmente partecipative ai vari livelli tali da sviluppare istituzioni democratiche nel senso più ‘pieno’ del termine” (E. Triggiani, La cittadinanza europea per la “utopia” sovranazionale, in Studi sull’integrazione europea, 2006, p. 468 s.).
Difatti, la tendenza a garantire un’adeguata rappresentatività e legittimità democratica delle istituzioni europee è indispensabile per ridurre il c.d. deficit democratico ascritto al sistema decisionale europeo e, contestualmente, estendere i diritti connessi alla cittadinanza europea. Questo obiettivo impone di implementare la partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica dell’UE, sia direttamente che rafforzando il ruolo e le attribuzioni degli organi che direttamente li rappresentano, ovvero il Parlamento europeo ed i Parlamenti nazionali.
Quanto al coinvolgimento diretto dei cittadini europei la novità più interessante introdotta dal Trattato di Lisbona riguarda l’iniziativa popolare (articolo 11 TUE) che consente loro di suggerire direttamente alla Commissione una proposta normativa sulle materie nelle quali ritengono necessario un atto legislativo dell’Unione (in merito la Commissione europea ha elaborato recentemente una proposta di regolamento sulle relative procedure e condizioni di esercizio (COM (2010) 119 def.), per la quale si rimanda all’approfondimento di I. Ingravallo, in questo periodico).
Anche la rappresentatività del Parlamento europeo viene consolidata dal Trattato di Lisbona che, elevando la procedura di codecisione a procedura legislativa ordinaria, ha associato il Parlamento al Consiglio nell’esercizio del potere normativo. Tuttavia sarebbe stato più efficace, in termini di “condivisione democratica” del potere legislativo, attribuire al PE, accanto al diritto di veto, anche il potere di orientare l’azione dell’UE in base alle proprie determinazioni, possibilità che gli è preclusa in assenza di accordo con il Consiglio.
Decisamente di più ampia portata sono le attribuzioni conferite ai Parlamenti degli Stati membri, divenuti titolari di un rapporto diretto con l’Unione. Il Trattato di Lisbona, infatti, ereditando l’impostazione della Convenzione nella redazione del Trattato Costituzionale, ha accresciuto il ruolo dei Parlamenti nazionali attraverso la formale previsione di una partecipazione attiva alla realizzazione del buon funzionamento dell’Unione. Questa partecipazione si concretizza, sotto diversi profili, nell’ambito delle disposizioni di cui all’art. 12 TUE, completate da ulteriori norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e dai Protocolli n. 1 sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’UE e n. 2 sull’applicazione del principi di sussidiarietà e proporzionalità, allegati al Trattato stesso.
Di particolare rilievo quest’ultimo Protocollo, che disciplina la partecipazione dei Parlamenti nazionali nell’esercizio del controllo della conformità dei progetti normativi comunitari al principio di sussidiarietà, modificando significativamente le disposizioni del previgente Protocollo n. 30 allegato al TCE anche rispetto alle integrazioni previste dai lavori della Convenzione.
Secondo la nuova disciplina, la Commissione europea è difatti tenuta a trasmettere le proprie proposte normative ai Parlamenti nazionali per consentire loro un controllo politico ex ante, ovvero anteriore all’adozione dell’atto, esperibile entro otto settimane dalla ricezione attraverso un parere motivato che esprima osservazioni utili a migliorare l’elaborazione delle politiche comunitarie ed in grado di determinare, a seconda del numero delle risposte trasmesse, il riesame della proposta iniziale. La funzione interdittiva esercitata dai Parlamenti nazionali non consente però di imporre la revoca della proposta da parte della Commissione, alla quale infatti è riconosciuta, all’esito dell’eventuale riesame, la facoltà di mantenere inalterato il progetto, opportunamente corredato da relativa motivazione. Tuttavia, anche in questa ipotesi, i pareri contrari espressi dalle assemblee nazionali non rimangono improduttivi di effetti. Difatti, le obiezioni provenienti da almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali hanno il potere di indirizzare l’operato dei rispettivi governi in sede di Consiglio, nel momento in cui, avviata la procedura di codecisione, quest’ultimo in veste di legislatore comunitario (insieme al Parlamento europeo) è chiamato a “tenere particolarmente conto delle ragioni espresse e condivise dalla maggioranza dei Parlamenti nazionali oltre che del parere motivato della Commissione” (art. 7 Protocollo n. 2). Questo consente di interrompere definitivamente la procedura legislativa entro la prima lettura qualora la maggioranza del 55% dei membri del Consiglio o la maggioranza dei voti espressi dal Parlamento europeo condividano la asserita violazione del principio di sussidiarietà.
Questo sistema di blocco rappresenta l’elemento di novità principale introdotto dal Trattato di Lisbona. Esso evidenzia come il rapporto dei Parlamenti nazionali con le Istituzioni comunitarie sia “diretto” nella fase di iniziativa ma limitato al controllo sulla sussidiarietà ed “indiretto”, ma esteso anche al merito delle proposte, nella fase di adozione dell’atto durante la quale è possibile rivolgere atti di indirizzo ai rispettivi governi.
Ulteriore forma di controllo, immutata rispetto alle previsioni della Costituzione europea, consiste nella possibilità attribuita ai Parlamenti nazionali (per il tramite dei rispettivi governi, attraverso un passaggio indiretto foriero in dottrina di qualche perplessità) e al Comitato delle regioni di adire la Corte di giustizia per effettuare una verifica giurisdizionale ex post in caso di presunta violazione del principio in esame.
La previsione di queste nuove e definite attribuzioni in capo ai Parlamenti nazionali consente loro, per la prima volta, di esercitare una concreta influenza sulla legislazione europea e di assumere un ruolo autonomo e distinto da quello dei rispettivi governi nazionali. Esso si traduce, da un lato, nella maggiore democratizzazione del funzionamento dell’UE attraverso la possibilità dei parlamenti nazionali di far valere direttamente gli interessi dei cittadini dei singoli Stati membri bilanciando (in sede di Consiglio) l’operato dei rispettivi governi; dall’altro, in una accresciuta legittimazione del sistema comunitario, stante l’apertura del processo normativo a soggetti esterni al sistema stesso, quali le assemblee nazionali (C. Morviducci, Il ruolo dei Parlamenti nazionali nel nuovo Trattato, in questa rivista, 1/2008, p. 23, nonché E. Triggiani, Gli equilibri politici interistituzionali dopo la riforma di Lisbona, in Studi sull’integrazione europea, 2010, p. 27 s.)
L’obiettivo di avvicinare l’Unione ai propri cittadini viene così perseguito attraverso una modalità certamente efficace in termini di democratizzazione dei processi decisionali ma non propriamente allineata all’impostazione dell’ordinamento europeo nel suo complesso. È stato evidenziato, infatti, in materia di sussidiarietà, che le nuove prerogative dei Parlamenti nazionali non solo potrebbero generare conflitti sul piano politico con il Parlamento europeo (C. Morviducci, op. cit.) ma anche depotenziarne - e delegittimarne - il ruolo stesso, creando pregiudizio all’interesse dei cittadini europei da esso complessivamente rappresentati (U. Draetta, Elementi di diritto dell’Unione europea, V ed., Milano, 2009, p. 90).
Del resto, il ruolo acquisito dai parlamenti nazionali rappresenta un ulteriore riscontro alla sovranità statale che potrebbe di fatto alterare gli equilibri istituzionali preesistenti producendo l’effetto di comprimere l’azione dell’Unione in ragione dell’accresciuta influenza degli Stati membri sul suo operato. Ne deriverebbe una attenuazione del potere di iniziativa della Commissione riscontrabile sia nella diminuzione delle proposte normative presentate dalla stessa che nell’incremento del numero delle proposte oggetto di riesame.
Non bisogna dimenticare, in proposito, che la procedura di verifica sulla sussidiarietà è stata attivata in anticipo della Commissione che, nonostante la mancata ratifica del Trattato costituzionale, già a partire dal settembre 2006 ha avviato un dialogo costruttivo con le Istituzioni nazionali, trasmettendo loro le nuove proposte legislative e ricevendone osservazioni. Pertanto, prima ancora che la procedura stessa acquistasse veste formale, è stato possibile rilevarne un primo positivo funzionamento sulla base dei dati riferiti nelle Relazioni sull’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità che la Commissione ha presentato annualmente a Consiglio e Parlamento europeo (come previsto dell’abrogato Protocollo n. 30 allegato al TCE).
In particolare, nella relazione del settembre 2009, la Commissione ha evidenziato che, rispetto al 2006, il numero di pareri è raddoppiato ogni anno, passando dai 53 presentati nel 2006, ai 115 presentati nel 2007 e ai 200 pervenuti nel 2008. Questo dato evidenzia non solo il progressivo adattamento delle istituzioni nazionali alla nuova procedura ma soprattutto la volontà di un coinvolgimento attivo nella fase ascendente di formazione del diritto comunitario. Le osservazioni presentate hanno tenuto conto anche delle valutazioni di impatto (stilate dai servizi della Commissione e supervisionate da un apposito Comitato creato nel novembre 2006) che consentono una analisi più approfondita e trasparente delle ripercussioni economiche, sociali ed ambientali delle nuove proposte normative (COM (2009)504 def. del 25.9.2009).
Più nel dettaglio, la Commissione ha ricevuto nel 2007 pareri da 25 Parlamenti nazionali, relativi ad 86 testi, tra i quali la proposta sulla nuove misure di intervento per la protezione del suolo, la proposta riguardante la sicurezza delle infrastrutture stradali, quella sulla riforma del mercato ortofrutticolo ed il Libro verde sul tabacco. Numerosi inoltre, i pareri formulati sulla decisione quadro del Consiglio relativa alla lotta contro il terrorismo (15° Relazione della Commissione sulla sussidiarietà, COM(2008)586 def. del 26.9.2008).
Nel 2008 gli interventi dei Parlamenti nazionali hanno riguardato 135 testi, tra i quali maggiore attenzione è stata rivolta alle proposte sull’assistenza sanitaria transfrontaliera, sulle verifiche dello stato di salute della politica agricola comune ed al pacchetto su energia e clima, nonché alla strategia politica annuale per il 2009 (COM (2009) 343 def. del 7.7.2009).
Considerando che l’interesse espresso dai pareri inviati alla Commissione spesso non converge sui medesimi testi, un limite all’efficacia dell’intervento parlamentare potrebbe ravvisarsi nella mancata previsione di specifiche forme di coordinamento delle assemblee nazionali nella fase di redazione dei rispettivi pareri motivati. Questi ultimi devono, infatti, essere presentati individualmente da ciascun Parlamento, in antitesi con il meccanismo di intervento che richiede un esercizio collettivo delle relative obiezioni affinchè si ottenga la eventuale modifica. Sotto questo profilo potrà assumere crescente utilità la funzione di raccordo svolta dalla COSAC (Conferenza delle Commissioni per gli affari europei e comunitari dei Parlamenti dell’Unione europea, istituita a Parigi nel 1989 come forum di cooperazione interparlamentare) che, in considerazione dell’attività già svolta, sembra essere il contesto appropriato per gli scambi politici sulla sussidiarietà. A partire dal 2006 essa ha infatti avviato dei progetti pilota per simulare le procedure proposte nel trattato di Lisbona. In particolare sono state esaminate le proposte relative alla modifica del regolamento concernente la legislazione e la giurisdizione in materia di divorzio (2006), la modifica della direttiva relativa alla realizzazione del mercato interno dei servizi postali comunitari (2007), la decisione sulla lotta al terrorismo (2008), la direttiva sulla parità di trattamento al di fuori del mondo del lavoro (2008), le norme di qualità e sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti (2009). Nel novembre 2008, sulla base dell’esperienza acquisita, la COSAC ha proposto un elenco di indicazioni utili alla gestione della fase normativa ascendente a livello parlamentare fondate sullo scambio di informazioni sulla sussidiarietà e sul coordinamento del modo di procedere nei diversi momenti della valutazione, soprattutto nel caso in cui vengano riscontrate violazioni della sussidiarietà o difetti di competenza a legiferare da parte delle istituzioni dell’Unione.
Un aspetto di rilievo attiene, infine, al ruolo delle autonomie locali, che non appare particolarmente valorizzato nel Trattato di riforma, nonostante l’esplicita indicazione, tra gli obiettivi del Trattato, del rispetto per il sistema delle autonomie locali e regionali (articolo 4, par. 2 TUE) ed un nuovo riferimento alla dimensione regionale nella definizione del principio di sussidiarietà (art. 5 TUE). Nell’ambito del controllo ex ante sulla sussidiarietà l’intervento delle Regioni è invero piuttosto limitato poichè soggiace alla consultazione (peraltro non obbligatoria) da parte dei rispettivi Parlamenti nazionali ed è riservato ai Parlamenti regionali con poteri legislativi (art. 6 del Protocollo n. 2, cit.), ove invece sarebbe stato opportuno includere nelle consultazioni anche gli Enti locali (in argomento v. E. Triggiani, La Riforma di Lisbona, Bari, 2008, p. 37). Pertanto il coinvolgimento delle istanze regionali è rimesso agli ordinamenti interni dei singoli Stati, risultando così mediato e scarsamente incisivo sul piano europeo. Nell’ambito del controllo ex post, inoltre, la possibilità di adire la Corte di giustizia è riconosciuta solo al Comitato delle Regioni, esclusivamente avverso atti legislativi per l’adozione dei quali è richiesta la sua consultazione. La rappresentanza degli interessi regionali avrebbe meritato maggiore attenzione per dare voce, sul piano europeo, a quei livelli di governo che non solo esprimono più da vicino le esigenze della collettività e le peculiarità delle realtà locali ma sono anche i primi ad essere chiamati a dare attuazione al diritto comunitario. Non deve dimenticarsi, però, che una efficace attuazione del principio di sussidiarietà, nella complessa prospettiva di un governo multilivello, deve prendere avvio principalmente sul piano nazionale nell’ambito della struttura interna di ciascuno Stato membro. Difatti, come emerso in occasione di un seminario sull’implementazione del principio di sussidiarietà svoltosi nell’ambito del Comitato delle Regioni il 19 maggio 2008, solo attraverso adeguate forme di cooperazione tra organi centrali e regionali è possibile valorizzare il ruolo delle Regioni e, di conseguenza, garantire la corretta attuazione del diritto europeo, che sempre più spesso oltrepassa il riparto delle competenze interne agli Stati.
(*) Il presente studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 “Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale processo di integrazione”. Responsabile nazionale, prof. Ennio Triggiani (PROT. 2007ETKBLF).
In questa prospettiva il principio di sussidiarietà rappresenta il fattore di equilibrio alla base dell’ordinamento giuridico dell’Unione, preposto ad orientare il rapporto tra le strutture decisionali comunitarie e nazionali, queste ultime a loro volta articolate in Enti regionali e locali con poteri normativi. Questo principio, sancito dall’articolo 5 del nuovo Trattato sull’Unione europea (TUE), costituisce criterio di allocazione dell’esercizio delle competenze concorrenti tra i diversi livelli di governo, legittimando o comprimendo l’iniziativa comunitaria rispetto a quella degli Stati membri a seconda della idoneità dell’azione nazionale e della eventuale maggiore efficacia, per dimensioni ed effetti, di un intervento dell’Unione. La sua formulazione mira a salvaguardare l’ambito di operatività degli Stati membri e, allineandosi alle crescenti istanze di democratizzazione dei processi decisionali, privilegia l’intervento del livello di governo più vicino ai cittadini. Questa scelta di valore rappresenta il punto di forza della sussidiarietà e smentisce l’iniziale lettura svalutativa del principio stesso, al quale era stata attribuita una valenza meramente efficientistica per la asserita mancanza della forza precettiva necessaria a bilanciare coordinamento e differenziazione (A. D’Atena, Dimensione e problemi sulla sussidiarietà, in G. De Martin (a cura di), Sussidiarietà e Democrazia, esperienze a confronto e prospettive, Padova, 2008, p. 30 s.).
È ormai opinione condivisa che nell’ordinamento europeo, caratterizzato dall’interazione di una pluralità di livelli di governo, la sussidiarietà consente di “privilegiare un equilibrio multistabile e flessibile delle strutture decisionali, piuttosto che un assetto fondato su relazioni formalizzate e gerarchizzate” e contribuisce a valorizzare la dimensione garantista e democratica dell’azione dell’Unione operando come “fattore di potenziamento di una legittimazione dal basso del processo politico” (v. P. Ridola, Sussidiarietà e democrazia, in G. De Martin, op. cit. p. 27 s.).
In tale veste, l’applicazione di questo principio rappresenta l’efficace strumento per una “organica collaborazione dei diversi soggetti pubblici (sussidiarietà verticale) e privati (orizzontale)” che, integrando le tre principali espressioni della cittadinanza (locale, statale ed europea) nella logica sussidiaria, concorre a delineare “dinamiche realmente partecipative ai vari livelli tali da sviluppare istituzioni democratiche nel senso più ‘pieno’ del termine” (E. Triggiani, La cittadinanza europea per la “utopia” sovranazionale, in Studi sull’integrazione europea, 2006, p. 468 s.).
Difatti, la tendenza a garantire un’adeguata rappresentatività e legittimità democratica delle istituzioni europee è indispensabile per ridurre il c.d. deficit democratico ascritto al sistema decisionale europeo e, contestualmente, estendere i diritti connessi alla cittadinanza europea. Questo obiettivo impone di implementare la partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica dell’UE, sia direttamente che rafforzando il ruolo e le attribuzioni degli organi che direttamente li rappresentano, ovvero il Parlamento europeo ed i Parlamenti nazionali.
Quanto al coinvolgimento diretto dei cittadini europei la novità più interessante introdotta dal Trattato di Lisbona riguarda l’iniziativa popolare (articolo 11 TUE) che consente loro di suggerire direttamente alla Commissione una proposta normativa sulle materie nelle quali ritengono necessario un atto legislativo dell’Unione (in merito la Commissione europea ha elaborato recentemente una proposta di regolamento sulle relative procedure e condizioni di esercizio (COM (2010) 119 def.), per la quale si rimanda all’approfondimento di I. Ingravallo, in questo periodico).
Anche la rappresentatività del Parlamento europeo viene consolidata dal Trattato di Lisbona che, elevando la procedura di codecisione a procedura legislativa ordinaria, ha associato il Parlamento al Consiglio nell’esercizio del potere normativo. Tuttavia sarebbe stato più efficace, in termini di “condivisione democratica” del potere legislativo, attribuire al PE, accanto al diritto di veto, anche il potere di orientare l’azione dell’UE in base alle proprie determinazioni, possibilità che gli è preclusa in assenza di accordo con il Consiglio.
Decisamente di più ampia portata sono le attribuzioni conferite ai Parlamenti degli Stati membri, divenuti titolari di un rapporto diretto con l’Unione. Il Trattato di Lisbona, infatti, ereditando l’impostazione della Convenzione nella redazione del Trattato Costituzionale, ha accresciuto il ruolo dei Parlamenti nazionali attraverso la formale previsione di una partecipazione attiva alla realizzazione del buon funzionamento dell’Unione. Questa partecipazione si concretizza, sotto diversi profili, nell’ambito delle disposizioni di cui all’art. 12 TUE, completate da ulteriori norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e dai Protocolli n. 1 sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’UE e n. 2 sull’applicazione del principi di sussidiarietà e proporzionalità, allegati al Trattato stesso.
Di particolare rilievo quest’ultimo Protocollo, che disciplina la partecipazione dei Parlamenti nazionali nell’esercizio del controllo della conformità dei progetti normativi comunitari al principio di sussidiarietà, modificando significativamente le disposizioni del previgente Protocollo n. 30 allegato al TCE anche rispetto alle integrazioni previste dai lavori della Convenzione.
Secondo la nuova disciplina, la Commissione europea è difatti tenuta a trasmettere le proprie proposte normative ai Parlamenti nazionali per consentire loro un controllo politico ex ante, ovvero anteriore all’adozione dell’atto, esperibile entro otto settimane dalla ricezione attraverso un parere motivato che esprima osservazioni utili a migliorare l’elaborazione delle politiche comunitarie ed in grado di determinare, a seconda del numero delle risposte trasmesse, il riesame della proposta iniziale. La funzione interdittiva esercitata dai Parlamenti nazionali non consente però di imporre la revoca della proposta da parte della Commissione, alla quale infatti è riconosciuta, all’esito dell’eventuale riesame, la facoltà di mantenere inalterato il progetto, opportunamente corredato da relativa motivazione. Tuttavia, anche in questa ipotesi, i pareri contrari espressi dalle assemblee nazionali non rimangono improduttivi di effetti. Difatti, le obiezioni provenienti da almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali hanno il potere di indirizzare l’operato dei rispettivi governi in sede di Consiglio, nel momento in cui, avviata la procedura di codecisione, quest’ultimo in veste di legislatore comunitario (insieme al Parlamento europeo) è chiamato a “tenere particolarmente conto delle ragioni espresse e condivise dalla maggioranza dei Parlamenti nazionali oltre che del parere motivato della Commissione” (art. 7 Protocollo n. 2). Questo consente di interrompere definitivamente la procedura legislativa entro la prima lettura qualora la maggioranza del 55% dei membri del Consiglio o la maggioranza dei voti espressi dal Parlamento europeo condividano la asserita violazione del principio di sussidiarietà.
Questo sistema di blocco rappresenta l’elemento di novità principale introdotto dal Trattato di Lisbona. Esso evidenzia come il rapporto dei Parlamenti nazionali con le Istituzioni comunitarie sia “diretto” nella fase di iniziativa ma limitato al controllo sulla sussidiarietà ed “indiretto”, ma esteso anche al merito delle proposte, nella fase di adozione dell’atto durante la quale è possibile rivolgere atti di indirizzo ai rispettivi governi.
Ulteriore forma di controllo, immutata rispetto alle previsioni della Costituzione europea, consiste nella possibilità attribuita ai Parlamenti nazionali (per il tramite dei rispettivi governi, attraverso un passaggio indiretto foriero in dottrina di qualche perplessità) e al Comitato delle regioni di adire la Corte di giustizia per effettuare una verifica giurisdizionale ex post in caso di presunta violazione del principio in esame.
La previsione di queste nuove e definite attribuzioni in capo ai Parlamenti nazionali consente loro, per la prima volta, di esercitare una concreta influenza sulla legislazione europea e di assumere un ruolo autonomo e distinto da quello dei rispettivi governi nazionali. Esso si traduce, da un lato, nella maggiore democratizzazione del funzionamento dell’UE attraverso la possibilità dei parlamenti nazionali di far valere direttamente gli interessi dei cittadini dei singoli Stati membri bilanciando (in sede di Consiglio) l’operato dei rispettivi governi; dall’altro, in una accresciuta legittimazione del sistema comunitario, stante l’apertura del processo normativo a soggetti esterni al sistema stesso, quali le assemblee nazionali (C. Morviducci, Il ruolo dei Parlamenti nazionali nel nuovo Trattato, in questa rivista, 1/2008, p. 23, nonché E. Triggiani, Gli equilibri politici interistituzionali dopo la riforma di Lisbona, in Studi sull’integrazione europea, 2010, p. 27 s.)
L’obiettivo di avvicinare l’Unione ai propri cittadini viene così perseguito attraverso una modalità certamente efficace in termini di democratizzazione dei processi decisionali ma non propriamente allineata all’impostazione dell’ordinamento europeo nel suo complesso. È stato evidenziato, infatti, in materia di sussidiarietà, che le nuove prerogative dei Parlamenti nazionali non solo potrebbero generare conflitti sul piano politico con il Parlamento europeo (C. Morviducci, op. cit.) ma anche depotenziarne - e delegittimarne - il ruolo stesso, creando pregiudizio all’interesse dei cittadini europei da esso complessivamente rappresentati (U. Draetta, Elementi di diritto dell’Unione europea, V ed., Milano, 2009, p. 90).
Del resto, il ruolo acquisito dai parlamenti nazionali rappresenta un ulteriore riscontro alla sovranità statale che potrebbe di fatto alterare gli equilibri istituzionali preesistenti producendo l’effetto di comprimere l’azione dell’Unione in ragione dell’accresciuta influenza degli Stati membri sul suo operato. Ne deriverebbe una attenuazione del potere di iniziativa della Commissione riscontrabile sia nella diminuzione delle proposte normative presentate dalla stessa che nell’incremento del numero delle proposte oggetto di riesame.
Non bisogna dimenticare, in proposito, che la procedura di verifica sulla sussidiarietà è stata attivata in anticipo della Commissione che, nonostante la mancata ratifica del Trattato costituzionale, già a partire dal settembre 2006 ha avviato un dialogo costruttivo con le Istituzioni nazionali, trasmettendo loro le nuove proposte legislative e ricevendone osservazioni. Pertanto, prima ancora che la procedura stessa acquistasse veste formale, è stato possibile rilevarne un primo positivo funzionamento sulla base dei dati riferiti nelle Relazioni sull’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità che la Commissione ha presentato annualmente a Consiglio e Parlamento europeo (come previsto dell’abrogato Protocollo n. 30 allegato al TCE).
In particolare, nella relazione del settembre 2009, la Commissione ha evidenziato che, rispetto al 2006, il numero di pareri è raddoppiato ogni anno, passando dai 53 presentati nel 2006, ai 115 presentati nel 2007 e ai 200 pervenuti nel 2008. Questo dato evidenzia non solo il progressivo adattamento delle istituzioni nazionali alla nuova procedura ma soprattutto la volontà di un coinvolgimento attivo nella fase ascendente di formazione del diritto comunitario. Le osservazioni presentate hanno tenuto conto anche delle valutazioni di impatto (stilate dai servizi della Commissione e supervisionate da un apposito Comitato creato nel novembre 2006) che consentono una analisi più approfondita e trasparente delle ripercussioni economiche, sociali ed ambientali delle nuove proposte normative (COM (2009)504 def. del 25.9.2009).
Più nel dettaglio, la Commissione ha ricevuto nel 2007 pareri da 25 Parlamenti nazionali, relativi ad 86 testi, tra i quali la proposta sulla nuove misure di intervento per la protezione del suolo, la proposta riguardante la sicurezza delle infrastrutture stradali, quella sulla riforma del mercato ortofrutticolo ed il Libro verde sul tabacco. Numerosi inoltre, i pareri formulati sulla decisione quadro del Consiglio relativa alla lotta contro il terrorismo (15° Relazione della Commissione sulla sussidiarietà, COM(2008)586 def. del 26.9.2008).
Nel 2008 gli interventi dei Parlamenti nazionali hanno riguardato 135 testi, tra i quali maggiore attenzione è stata rivolta alle proposte sull’assistenza sanitaria transfrontaliera, sulle verifiche dello stato di salute della politica agricola comune ed al pacchetto su energia e clima, nonché alla strategia politica annuale per il 2009 (COM (2009) 343 def. del 7.7.2009).
Considerando che l’interesse espresso dai pareri inviati alla Commissione spesso non converge sui medesimi testi, un limite all’efficacia dell’intervento parlamentare potrebbe ravvisarsi nella mancata previsione di specifiche forme di coordinamento delle assemblee nazionali nella fase di redazione dei rispettivi pareri motivati. Questi ultimi devono, infatti, essere presentati individualmente da ciascun Parlamento, in antitesi con il meccanismo di intervento che richiede un esercizio collettivo delle relative obiezioni affinchè si ottenga la eventuale modifica. Sotto questo profilo potrà assumere crescente utilità la funzione di raccordo svolta dalla COSAC (Conferenza delle Commissioni per gli affari europei e comunitari dei Parlamenti dell’Unione europea, istituita a Parigi nel 1989 come forum di cooperazione interparlamentare) che, in considerazione dell’attività già svolta, sembra essere il contesto appropriato per gli scambi politici sulla sussidiarietà. A partire dal 2006 essa ha infatti avviato dei progetti pilota per simulare le procedure proposte nel trattato di Lisbona. In particolare sono state esaminate le proposte relative alla modifica del regolamento concernente la legislazione e la giurisdizione in materia di divorzio (2006), la modifica della direttiva relativa alla realizzazione del mercato interno dei servizi postali comunitari (2007), la decisione sulla lotta al terrorismo (2008), la direttiva sulla parità di trattamento al di fuori del mondo del lavoro (2008), le norme di qualità e sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti (2009). Nel novembre 2008, sulla base dell’esperienza acquisita, la COSAC ha proposto un elenco di indicazioni utili alla gestione della fase normativa ascendente a livello parlamentare fondate sullo scambio di informazioni sulla sussidiarietà e sul coordinamento del modo di procedere nei diversi momenti della valutazione, soprattutto nel caso in cui vengano riscontrate violazioni della sussidiarietà o difetti di competenza a legiferare da parte delle istituzioni dell’Unione.
Un aspetto di rilievo attiene, infine, al ruolo delle autonomie locali, che non appare particolarmente valorizzato nel Trattato di riforma, nonostante l’esplicita indicazione, tra gli obiettivi del Trattato, del rispetto per il sistema delle autonomie locali e regionali (articolo 4, par. 2 TUE) ed un nuovo riferimento alla dimensione regionale nella definizione del principio di sussidiarietà (art. 5 TUE). Nell’ambito del controllo ex ante sulla sussidiarietà l’intervento delle Regioni è invero piuttosto limitato poichè soggiace alla consultazione (peraltro non obbligatoria) da parte dei rispettivi Parlamenti nazionali ed è riservato ai Parlamenti regionali con poteri legislativi (art. 6 del Protocollo n. 2, cit.), ove invece sarebbe stato opportuno includere nelle consultazioni anche gli Enti locali (in argomento v. E. Triggiani, La Riforma di Lisbona, Bari, 2008, p. 37). Pertanto il coinvolgimento delle istanze regionali è rimesso agli ordinamenti interni dei singoli Stati, risultando così mediato e scarsamente incisivo sul piano europeo. Nell’ambito del controllo ex post, inoltre, la possibilità di adire la Corte di giustizia è riconosciuta solo al Comitato delle Regioni, esclusivamente avverso atti legislativi per l’adozione dei quali è richiesta la sua consultazione. La rappresentanza degli interessi regionali avrebbe meritato maggiore attenzione per dare voce, sul piano europeo, a quei livelli di governo che non solo esprimono più da vicino le esigenze della collettività e le peculiarità delle realtà locali ma sono anche i primi ad essere chiamati a dare attuazione al diritto comunitario. Non deve dimenticarsi, però, che una efficace attuazione del principio di sussidiarietà, nella complessa prospettiva di un governo multilivello, deve prendere avvio principalmente sul piano nazionale nell’ambito della struttura interna di ciascuno Stato membro. Difatti, come emerso in occasione di un seminario sull’implementazione del principio di sussidiarietà svoltosi nell’ambito del Comitato delle Regioni il 19 maggio 2008, solo attraverso adeguate forme di cooperazione tra organi centrali e regionali è possibile valorizzare il ruolo delle Regioni e, di conseguenza, garantire la corretta attuazione del diritto europeo, che sempre più spesso oltrepassa il riparto delle competenze interne agli Stati.
(*) Il presente studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 “Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale processo di integrazione”. Responsabile nazionale, prof. Ennio Triggiani (PROT. 2007ETKBLF).