L'UNIONE EUROPEA E LA QUESTIONE PALESTINESE
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La
risoluzione del conflitto arabo israeliano costituisce, ormai da
decenni, una priorità fondamentale a livello internazionale per la
stabilizzazione e lo sviluppo della regione medio orientale. A partire
dallo scoppio della Intifada, nel settembre 2000, i territori
palestinesi del West Bank e della Striscia di Gaza vivono, infatti, in
uno stato di costante agitazione politica con effetti fortemente
destabilizzanti al loro interno e sui territori vicini. Incursioni
militari, attentati terroristici ed eccidi di massa hanno coinvolto lo
Stato di Israele e l’Autorità palestinese in una spirale di violenza
senza fine che, oltre ad avere avuto ampie ripercussioni sul
perseguimento della pace, ha portato ad un grave declino della economia
palestinese. Lo stato di perenne conflitto in cui le popolazioni sono
costrette a vivere e le conseguenti limitazioni alla circolazione di
beni e persone hanno avuto quale tragico effetto la caduta dei livelli
di occupazione, il collasso degli investimenti e la distruzione delle
infrastrutture.
Come sempre accade nei casi di conflitti di lunga durata il problema di portare a buon termine i negoziati di pace si intreccia in maniera significativa con l’esigenza di garantire la ricostruzione politica, istituzionale ed economica dei territori maggiormente colpiti.
Per tale ragione, la Road Map, stipulata nell’aprile 2003 dallo Stato israeliano e dalla Autorità Palestinese con il patrocinio della Comunità internazionale, pone quale tappa fondamentale per la risoluzione definitiva del conflitto la costituzione, entro il 2005, di uno Stato palestinese indipendente, democratico e vitale in grado di vivere in pace e sicurezza con Israele e gli altri vicini. Questo intento, confermato nel Summit di Aqaba nel giugno 2003, ha conosciuto finora alcune importanti realizzazioni quali l’entrata in vigore, nel 2002, della Legge Fondamentale e della Legge sulla indipendenza del giudiziario e la pubblicazione, per la prima volta nel 2003, del bilancio adottato dal Consiglio legislativo palestinese.
Ciononostante, la strada intrapresa appare ancora lunga e ricca di incognite anche se si auspica che le recenti elezioni in Palestina, che fanno seguito alle elezioni svoltesi nel 1996, e la formazione del Governo di unità nazionale in Israele possano aprire uno spiraglio per la conclusione di un conflitto che da ormai molto tempo sembra insolubile.
In tale fondamentale questione di politica internazionale, l’Unione europea si è posta in linea con la comunità internazionale sostenendo le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in merito al riconoscimento ai territori palestinesi dello status di territori occupati e alla complessa questione di Gerusalemme.
La Comunità europea ha espresso, per la prima volta, la sua posizione al riguardo nella Dichiarazione di Venezia del 13 giugno 1980 in cui veniva riconosciuto il diritto all’esistenza ed alla sicurezza di tutti gli Stati nella regione, incluso Israele, e alla giustizia per tutte le popolazioni, compreso il riconoscimento dei diritti legittimi della popolazione palestinese. Nove anni più tardi, con la Dichiarazione di Berlino del 24 marzo 1999, l’Unione europea ha promosso l’idea di uno Stato palestinese vitale affermando la sua convinzione che la creazione di un sovrano Stato palestinese democratico e pacifico sarebbe stata la migliore garanzia per la sicurezza di Israele. Con la Dichiarazione di Siviglia del 22 giugno 2002 l’Unione si è spinta ancora oltre, indicando quale obiettivi prioritari la fine della occupazione israeliana e la creazione dello Stato sovrano palestinese secondo i confini del 1967 con minime correzioni stabilite dalle parti mediante l’esclusivo ricorso ai negoziati.
Queste Dichiarazioni mostrano le fasi della evoluzione della politica dell’Unione con riguardo a tale fondamentale questione di politica estera e pongono quale priorità precipua la nascita di uno Stato palestinese democratico ed affidabile. Soltanto su questa base è, infatti, possibile costruire le premesse per la realizzazione del processo di pace ossia l’esistenza di due Stati indipendenti e sovrani che vogliano vivere in pace con i loro vicini secondo gli auspici del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Le misure intraprese dell’Unione europea nel perseguimento di tale ambizioso obiettivo si pongono in maniera trasversale toccando i diversi aspetti della costituzione democratica dello Stato palestinese e della ricostruzione della sua sfera economica.
Per quel che riguarda gli aspetti di costruzione e di riforma costituzionale, l’Unione europea partecipa, insieme a Stati Uniti, Federazione Russa, Nazioni Unite, Norvegia, Giappone, Canada, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, alla International Task Force on Palestinian Reform, creata nel luglio 2002, con l’obiettivo di monitorare e sostenere le riforme civili in Palestina. La Task Force agisce attraverso sette Gruppi di sostegno alle riforme che si occupano rispettivamente del settore elettorale, della affidabilità finanziaria, della riforma giudiziaria, del processo legislativo, delle economie di mercato, dei governi locali, della pubblica amministrazione e della riforma del servizio civile. Ma non solo, l’Unione europea fornisce anche programmi di assistenza tecnica. In particolare, al fine di rafforzare il rispetto dello stato di diritto nel West Bank e nella Striscia di Gaza, la Commissione europea ha lanciato, nel 2003, un programma per la modernizzazione del sistema giudiziario palestinese stanziando sette milioni di euro per rafforzare le istituzioni giudiziarie create con la legge fondamentale del 2002.
Per quel che riguarda gli aspetti di ricostruzione politica ed economica va subito ricordato come l’Autorità palestinese abbia partecipato, già nel 1995, alla Conferenza di Barcellona con la quale l’Unione europea ha dato vita al Partenariato euro mediterraneo al fine di rafforzare il dialogo politico, lo sviluppo della cooperazione economica e finanziaria, l’integrazione sociale, culturale ed umana in vista della creazione, entro il 2010, di un’area di libero scambio fra gli Stati bagnati dal mediterraneo. Il 24 febbraio 1997, i palestinesi sono stati integrati nel Processo di Barcellona grazie alla conclusione dell’Interim Association Agreement on Trade and Cooperation che si pone l’obiettivo di approfondire il dialogo fra l’Unione europea e l’Autorità palestinese, stabilire le condizioni per la progressiva liberalizzazione commerciale, sostenere lo sviluppo di relazioni economiche e sociali, contribuire allo sviluppo economico e sociale del West Bank e della Striscia di Gaza ed incoraggiare la cooperazione regionale sulla base dei reciproci interessi. In tale ambito, l’Autorità palestinese beneficia del Programma MEDA che offre misure di sostegno economiche e finanziarie. L’Accordo prevede anche l’istituzione di una Commissione congiunta per il commercio e la cooperazione che avrebbe dovuto incontrarsi una volta all’anno. Purtroppo questa cadenza non è stata finora rispettata a causa delle violenze in corso nella zona che non hanno permesso l’attuazione di molte parti dell’accordo di associazione in questione.
L’aiuto dell’Unione europea verso la popolazione palestinese si è realizzato, nel corso degli anni, anche attraverso altri strumenti di intervento. L’Unione europea collabora, ad esempio, con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi nel vicino oriente con la quale ha concluso una convenzione al fine di portare aventi iniziative in materia di salute ed istruzione. Gli interventi di carattere umanitario, effettuati attraverso l’Ufficio per gli aiuti umanitari europeo (ECHO), si sono, inoltre, moltiplicati nel corso degli ultimi anni a causa dell’incalzare degli effetti nefasti dell’Intifada.
Nel complesso le iniziative intraprese dall’Unione europea nei territori palestinesi sono riconducibili ad interventi di carattere umanitario e di cooperazione allo sviluppo. Essi, quindi, traggono la loro legittimazione dalle disposizioni dei trattati comunitari in materia di promozione e rispetto dei diritti dell’uomo. In maniera speculare, la mancanza di un più incisivo ruolo politico dal parte dell’Unione europea nel processo di pace sembra rispecchiare le debolezze del processo di integrazione europea in materia di politica estera dove le posizioni dei singoli Stati membri spesso prevalgono sulla elaborazione di una posizione comune.
Negli ultimi anni, si è più volte posta in luce la necessità che l’Unione disponga di una voce forte e credibile sulla scena internazionale al fine di attuare i suoi obiettivi di pace. Probabilmente il processo di risoluzione del conflitto arabo israeliano potrebbe trarre da questa voce un importante impulso per una sua definitiva realizzazione.
Come sempre accade nei casi di conflitti di lunga durata il problema di portare a buon termine i negoziati di pace si intreccia in maniera significativa con l’esigenza di garantire la ricostruzione politica, istituzionale ed economica dei territori maggiormente colpiti.
Per tale ragione, la Road Map, stipulata nell’aprile 2003 dallo Stato israeliano e dalla Autorità Palestinese con il patrocinio della Comunità internazionale, pone quale tappa fondamentale per la risoluzione definitiva del conflitto la costituzione, entro il 2005, di uno Stato palestinese indipendente, democratico e vitale in grado di vivere in pace e sicurezza con Israele e gli altri vicini. Questo intento, confermato nel Summit di Aqaba nel giugno 2003, ha conosciuto finora alcune importanti realizzazioni quali l’entrata in vigore, nel 2002, della Legge Fondamentale e della Legge sulla indipendenza del giudiziario e la pubblicazione, per la prima volta nel 2003, del bilancio adottato dal Consiglio legislativo palestinese.
Ciononostante, la strada intrapresa appare ancora lunga e ricca di incognite anche se si auspica che le recenti elezioni in Palestina, che fanno seguito alle elezioni svoltesi nel 1996, e la formazione del Governo di unità nazionale in Israele possano aprire uno spiraglio per la conclusione di un conflitto che da ormai molto tempo sembra insolubile.
In tale fondamentale questione di politica internazionale, l’Unione europea si è posta in linea con la comunità internazionale sostenendo le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in merito al riconoscimento ai territori palestinesi dello status di territori occupati e alla complessa questione di Gerusalemme.
La Comunità europea ha espresso, per la prima volta, la sua posizione al riguardo nella Dichiarazione di Venezia del 13 giugno 1980 in cui veniva riconosciuto il diritto all’esistenza ed alla sicurezza di tutti gli Stati nella regione, incluso Israele, e alla giustizia per tutte le popolazioni, compreso il riconoscimento dei diritti legittimi della popolazione palestinese. Nove anni più tardi, con la Dichiarazione di Berlino del 24 marzo 1999, l’Unione europea ha promosso l’idea di uno Stato palestinese vitale affermando la sua convinzione che la creazione di un sovrano Stato palestinese democratico e pacifico sarebbe stata la migliore garanzia per la sicurezza di Israele. Con la Dichiarazione di Siviglia del 22 giugno 2002 l’Unione si è spinta ancora oltre, indicando quale obiettivi prioritari la fine della occupazione israeliana e la creazione dello Stato sovrano palestinese secondo i confini del 1967 con minime correzioni stabilite dalle parti mediante l’esclusivo ricorso ai negoziati.
Queste Dichiarazioni mostrano le fasi della evoluzione della politica dell’Unione con riguardo a tale fondamentale questione di politica estera e pongono quale priorità precipua la nascita di uno Stato palestinese democratico ed affidabile. Soltanto su questa base è, infatti, possibile costruire le premesse per la realizzazione del processo di pace ossia l’esistenza di due Stati indipendenti e sovrani che vogliano vivere in pace con i loro vicini secondo gli auspici del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Le misure intraprese dell’Unione europea nel perseguimento di tale ambizioso obiettivo si pongono in maniera trasversale toccando i diversi aspetti della costituzione democratica dello Stato palestinese e della ricostruzione della sua sfera economica.
Per quel che riguarda gli aspetti di costruzione e di riforma costituzionale, l’Unione europea partecipa, insieme a Stati Uniti, Federazione Russa, Nazioni Unite, Norvegia, Giappone, Canada, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, alla International Task Force on Palestinian Reform, creata nel luglio 2002, con l’obiettivo di monitorare e sostenere le riforme civili in Palestina. La Task Force agisce attraverso sette Gruppi di sostegno alle riforme che si occupano rispettivamente del settore elettorale, della affidabilità finanziaria, della riforma giudiziaria, del processo legislativo, delle economie di mercato, dei governi locali, della pubblica amministrazione e della riforma del servizio civile. Ma non solo, l’Unione europea fornisce anche programmi di assistenza tecnica. In particolare, al fine di rafforzare il rispetto dello stato di diritto nel West Bank e nella Striscia di Gaza, la Commissione europea ha lanciato, nel 2003, un programma per la modernizzazione del sistema giudiziario palestinese stanziando sette milioni di euro per rafforzare le istituzioni giudiziarie create con la legge fondamentale del 2002.
Per quel che riguarda gli aspetti di ricostruzione politica ed economica va subito ricordato come l’Autorità palestinese abbia partecipato, già nel 1995, alla Conferenza di Barcellona con la quale l’Unione europea ha dato vita al Partenariato euro mediterraneo al fine di rafforzare il dialogo politico, lo sviluppo della cooperazione economica e finanziaria, l’integrazione sociale, culturale ed umana in vista della creazione, entro il 2010, di un’area di libero scambio fra gli Stati bagnati dal mediterraneo. Il 24 febbraio 1997, i palestinesi sono stati integrati nel Processo di Barcellona grazie alla conclusione dell’Interim Association Agreement on Trade and Cooperation che si pone l’obiettivo di approfondire il dialogo fra l’Unione europea e l’Autorità palestinese, stabilire le condizioni per la progressiva liberalizzazione commerciale, sostenere lo sviluppo di relazioni economiche e sociali, contribuire allo sviluppo economico e sociale del West Bank e della Striscia di Gaza ed incoraggiare la cooperazione regionale sulla base dei reciproci interessi. In tale ambito, l’Autorità palestinese beneficia del Programma MEDA che offre misure di sostegno economiche e finanziarie. L’Accordo prevede anche l’istituzione di una Commissione congiunta per il commercio e la cooperazione che avrebbe dovuto incontrarsi una volta all’anno. Purtroppo questa cadenza non è stata finora rispettata a causa delle violenze in corso nella zona che non hanno permesso l’attuazione di molte parti dell’accordo di associazione in questione.
L’aiuto dell’Unione europea verso la popolazione palestinese si è realizzato, nel corso degli anni, anche attraverso altri strumenti di intervento. L’Unione europea collabora, ad esempio, con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi nel vicino oriente con la quale ha concluso una convenzione al fine di portare aventi iniziative in materia di salute ed istruzione. Gli interventi di carattere umanitario, effettuati attraverso l’Ufficio per gli aiuti umanitari europeo (ECHO), si sono, inoltre, moltiplicati nel corso degli ultimi anni a causa dell’incalzare degli effetti nefasti dell’Intifada.
Nel complesso le iniziative intraprese dall’Unione europea nei territori palestinesi sono riconducibili ad interventi di carattere umanitario e di cooperazione allo sviluppo. Essi, quindi, traggono la loro legittimazione dalle disposizioni dei trattati comunitari in materia di promozione e rispetto dei diritti dell’uomo. In maniera speculare, la mancanza di un più incisivo ruolo politico dal parte dell’Unione europea nel processo di pace sembra rispecchiare le debolezze del processo di integrazione europea in materia di politica estera dove le posizioni dei singoli Stati membri spesso prevalgono sulla elaborazione di una posizione comune.
Negli ultimi anni, si è più volte posta in luce la necessità che l’Unione disponga di una voce forte e credibile sulla scena internazionale al fine di attuare i suoi obiettivi di pace. Probabilmente il processo di risoluzione del conflitto arabo israeliano potrebbe trarre da questa voce un importante impulso per una sua definitiva realizzazione.