UNA NUOVA PRIMAVERA PER L'EUROPA?
Archivio > Anno 2006 > Febbraio 2006
di Ennio TRIGGIANI
Si
può uscire dal “congelamento” del Trattato costituzionale come si sta
per uscire dall’inverno? Può finalmente una “nuova primavera
dell’Europa” essere all’ordine del giorno dei Governi e degli Stati
dell’Unione?
La necessità di rompere il silenzio politico sceso sul processo di integrazione negli ultimi mesi è stata sollecitata autorevolmente nell’incontro di Dresda dei sette Capi di Stato dei Paesi membri firmatari del documento “Uniti per l’Europa”, tenutosi il 4 e 5 febbraio scorsi. In quella occasione il nostro Presidente Azeglio Ciampi ha affermato che “sospendere il percorso di approvazione del Trattato - negoziato e sottoscritto da tutti i Paesi membri - sarebbe iniquo nei riguardi dei 14 Stati che lo hanno già ratificato, contrario all'impegno assunto dai 25 Governi con la firma apposta in calce a quel testo. Auspico che da questo nostro incontro scaturisca un appello alla prosecuzione dell'iter di ratifica da parte dei Paesi che ancora non si sono pronunciati. Quale che sia il punto d'arrivo del percorso, soltanto dopo che sarà stata udita la voce di tutti, si potranno decidere le sorti del Trattato costituzionale; stabilire le vie per far avanzare il processo di unificazione politica dell'Europa. Al contempo, per restituire fiducia ai cittadini, occorre porre in essere iniziative che imprimano nuovo dinamismo all'Unione Europea. Ne richiamo alcune: - as-sicurare la presenza di una efficace politica estera europea e parlare con una sola voce in ambito internazionale; - rafforzare gli strumenti europei di sicurezza interni ed esterni, di fronte al terrorismo internazionale, al moltiplicarsi delle aree di crisi, alla diffusione delle armi di distruzione di massa; - rafforzare l'Unione Economica e Monetaria, attraverso politiche economiche e sociali coordinate degli Stati membri, volte a promuovere la crescita, la competitività e l'inclusione sociale; - completare il mercato interno, assicurando anche la mobilità di capitale e lavoro; - far fronte congiuntamente alle emergenze energetiche, sanitarie, ambientali; - sviluppare le straordinarie potenzialità della scienza e della tecnologia europee; - promuovere una politica della cultura europea e la sua diffusione nel mondo e favorire la mobilità di docenti e studenti; - promuovere l'insegnamento, nelle scuole di ogni livello, della storia, dei valori e delle istituzioni europee”.
L’autorevole monito di Ciampi, oltre a fissare un’agenda estremamente significativa per l’attività dell’Unione nell’immediato futuro, contiene implicitamente un messaggio molto chiaro: l’Europa non può permettersi il lusso di assistere “beatamente” (si fa per dire) alla finestra l’evolversi della situazione politica internazionale dai risvolti estremamente delicati e pericolosi. La vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi, la determinazione dell’Iran nel perseguire il proprio armamento nucleare (nonostante la minaccia di sanzioni internazionali), la sollecitazione del fanatismo religioso islamico derivato dalla pubblicazioni di vignette satiriche in Danimarca, il persistente caotico groviglio politico-militare in Irak sono solo alcuni dei problemi che rendono tesissima la situazione internazionale.
Di fronte a questo preoccupante quadro il governo di Bush, sempre più incapace di districarsi dalle sabbie mobili irakene ed anche per questo malvisto da un numero crescente di popoli e Stati, sembra purtroppo inidoneo a fornire risposte politiche adeguate se non con la minaccia della forza; la Russia non appare ancora in grado di assumere nuovamente, anche se su presupposti diversi, una leadership internazionale; la Cina appare per ora più impegnata a governare la propria crescita economica e, allo stato, preferisce leggere le relazioni internazionali in chiave prevalentemente economica.
Resta l’Europa. Una Europa che si presenta con un più elevato grado di solidarietà sociale esportato anche all’esterno attraverso un contributo economico allo sviluppo di gran lunga più consistente rispetto ai suoi concorrenti industrializzati. Una Europa che presenta quale propria identità la costruzione e l’ampliamento di un progetto di pace nel corso di sei decenni. Una Europa che lotta con maggiore coerenza per una più alta qualità della vita ed una più incisiva tutela dell’ambiente. Una Europa ancora capace di promuovere innovazione tecnologica e sperimentazione scientifica ma con una sufficiente dote di precauzione. Una Europa che fonda il proprio progetto sul rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali, lasciando fuori chi non è ad esso omogeneo, e che costituisce l’ideale terreno di verifica della possibile convivenza e contaminazione di popoli e culture diversi. Una Europa, per tutte queste ragioni, credibile e responsabile. Una Europa, infine, che è in grado di costituire il punto di riferimento ideale ed istituzionale per milioni di giovani i quali - grazie ai viaggi a basso costo, all’Erasmus, ad internet, alla musica - non hanno più il senso del confine ma devono trasformare questo sentimento in una precisa identità politica.
Se collocata in questo complessivo contesto appare incredibile l’attualità delle parole scritte da Altiero Spinelli nel lontano 1941 nel Manifesto di Ventotene: “bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici ed americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione in attesa di un più lontano avvenire in cui” (riprendendo aspirazioni kantiane) “diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”.
Ma l’Europa di Stati ancora legati alla miopia degli interessi individuali, ancora condizionati da logiche culturali progressivamente superate, ancora appesantiti da illusorie velleità egemoniche non potrà mai essere in grado di giocare un ruolo da protagonista nelle vicende mondiali. Questo ruolo può invece essere svolto dall’Unione Europea solo se essa sarà in grado presto di riprendere il proprio cammino verso un assetto costituzionale ed una dimensione politica. Il che significa trovare luoghi istituzionali nei quali regolare l’accordo, se possibile, ma anche il disaccordo per consentire comunque di agire unitariamente e farlo con rapida incisività.
Un grande scrittore ed opinionista americano, Jeremy Rifkin, sostiene che “una nuova generazione di europei porta su di sé le speranze del mondo e ciò conferisce ai popoli d’Europa una responsabilità molto speciale, come quella che i nostri padri fondatori devono aver avvertito duecento anni fa, quando da ogni angolo del pianeta si guardava all’America come a un faro di speranza. Mi auguro che la nostra fiducia non vada delusa”. Attrezziamoci per ripagare questa fiducia.
La necessità di rompere il silenzio politico sceso sul processo di integrazione negli ultimi mesi è stata sollecitata autorevolmente nell’incontro di Dresda dei sette Capi di Stato dei Paesi membri firmatari del documento “Uniti per l’Europa”, tenutosi il 4 e 5 febbraio scorsi. In quella occasione il nostro Presidente Azeglio Ciampi ha affermato che “sospendere il percorso di approvazione del Trattato - negoziato e sottoscritto da tutti i Paesi membri - sarebbe iniquo nei riguardi dei 14 Stati che lo hanno già ratificato, contrario all'impegno assunto dai 25 Governi con la firma apposta in calce a quel testo. Auspico che da questo nostro incontro scaturisca un appello alla prosecuzione dell'iter di ratifica da parte dei Paesi che ancora non si sono pronunciati. Quale che sia il punto d'arrivo del percorso, soltanto dopo che sarà stata udita la voce di tutti, si potranno decidere le sorti del Trattato costituzionale; stabilire le vie per far avanzare il processo di unificazione politica dell'Europa. Al contempo, per restituire fiducia ai cittadini, occorre porre in essere iniziative che imprimano nuovo dinamismo all'Unione Europea. Ne richiamo alcune: - as-sicurare la presenza di una efficace politica estera europea e parlare con una sola voce in ambito internazionale; - rafforzare gli strumenti europei di sicurezza interni ed esterni, di fronte al terrorismo internazionale, al moltiplicarsi delle aree di crisi, alla diffusione delle armi di distruzione di massa; - rafforzare l'Unione Economica e Monetaria, attraverso politiche economiche e sociali coordinate degli Stati membri, volte a promuovere la crescita, la competitività e l'inclusione sociale; - completare il mercato interno, assicurando anche la mobilità di capitale e lavoro; - far fronte congiuntamente alle emergenze energetiche, sanitarie, ambientali; - sviluppare le straordinarie potenzialità della scienza e della tecnologia europee; - promuovere una politica della cultura europea e la sua diffusione nel mondo e favorire la mobilità di docenti e studenti; - promuovere l'insegnamento, nelle scuole di ogni livello, della storia, dei valori e delle istituzioni europee”.
L’autorevole monito di Ciampi, oltre a fissare un’agenda estremamente significativa per l’attività dell’Unione nell’immediato futuro, contiene implicitamente un messaggio molto chiaro: l’Europa non può permettersi il lusso di assistere “beatamente” (si fa per dire) alla finestra l’evolversi della situazione politica internazionale dai risvolti estremamente delicati e pericolosi. La vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi, la determinazione dell’Iran nel perseguire il proprio armamento nucleare (nonostante la minaccia di sanzioni internazionali), la sollecitazione del fanatismo religioso islamico derivato dalla pubblicazioni di vignette satiriche in Danimarca, il persistente caotico groviglio politico-militare in Irak sono solo alcuni dei problemi che rendono tesissima la situazione internazionale.
Di fronte a questo preoccupante quadro il governo di Bush, sempre più incapace di districarsi dalle sabbie mobili irakene ed anche per questo malvisto da un numero crescente di popoli e Stati, sembra purtroppo inidoneo a fornire risposte politiche adeguate se non con la minaccia della forza; la Russia non appare ancora in grado di assumere nuovamente, anche se su presupposti diversi, una leadership internazionale; la Cina appare per ora più impegnata a governare la propria crescita economica e, allo stato, preferisce leggere le relazioni internazionali in chiave prevalentemente economica.
Resta l’Europa. Una Europa che si presenta con un più elevato grado di solidarietà sociale esportato anche all’esterno attraverso un contributo economico allo sviluppo di gran lunga più consistente rispetto ai suoi concorrenti industrializzati. Una Europa che presenta quale propria identità la costruzione e l’ampliamento di un progetto di pace nel corso di sei decenni. Una Europa che lotta con maggiore coerenza per una più alta qualità della vita ed una più incisiva tutela dell’ambiente. Una Europa ancora capace di promuovere innovazione tecnologica e sperimentazione scientifica ma con una sufficiente dote di precauzione. Una Europa che fonda il proprio progetto sul rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali, lasciando fuori chi non è ad esso omogeneo, e che costituisce l’ideale terreno di verifica della possibile convivenza e contaminazione di popoli e culture diversi. Una Europa, per tutte queste ragioni, credibile e responsabile. Una Europa, infine, che è in grado di costituire il punto di riferimento ideale ed istituzionale per milioni di giovani i quali - grazie ai viaggi a basso costo, all’Erasmus, ad internet, alla musica - non hanno più il senso del confine ma devono trasformare questo sentimento in una precisa identità politica.
Se collocata in questo complessivo contesto appare incredibile l’attualità delle parole scritte da Altiero Spinelli nel lontano 1941 nel Manifesto di Ventotene: “bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici ed americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione in attesa di un più lontano avvenire in cui” (riprendendo aspirazioni kantiane) “diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”.
Ma l’Europa di Stati ancora legati alla miopia degli interessi individuali, ancora condizionati da logiche culturali progressivamente superate, ancora appesantiti da illusorie velleità egemoniche non potrà mai essere in grado di giocare un ruolo da protagonista nelle vicende mondiali. Questo ruolo può invece essere svolto dall’Unione Europea solo se essa sarà in grado presto di riprendere il proprio cammino verso un assetto costituzionale ed una dimensione politica. Il che significa trovare luoghi istituzionali nei quali regolare l’accordo, se possibile, ma anche il disaccordo per consentire comunque di agire unitariamente e farlo con rapida incisività.
Un grande scrittore ed opinionista americano, Jeremy Rifkin, sostiene che “una nuova generazione di europei porta su di sé le speranze del mondo e ciò conferisce ai popoli d’Europa una responsabilità molto speciale, come quella che i nostri padri fondatori devono aver avvertito duecento anni fa, quando da ogni angolo del pianeta si guardava all’America come a un faro di speranza. Mi auguro che la nostra fiducia non vada delusa”. Attrezziamoci per ripagare questa fiducia.