I PROVVEDIMENTI CAUTELARI DEL GIUDICE COMUNITARIO
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Il
Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia delle Comunità europee
possono adottare dei provvedimenti cautelari una volta che un privato,
un’istituzione comunitaria o uno Stato membro abbia proposto ad uno di
essi un ricorso, in base alle disposizioni del Trattato istitutivo della
Comunità europea (di seguito “Trattato CE”; v. sui provvedimenti
cautelari C. Morviducci, Le misure cautelari nel processo comunitario,
Padova, 2004).
I provvedimenti cautelari sono indicati agli artt. 242 e 243 del Trattato CE, e consistono, rispettivamente, nella sospensione degli effetti dell’atto impugnato, poiché il ricorso principale non ha effetto sospensivo degli effetti dell’atto contro cui è diretto, e in ogni altro provvedimento che il giudice comunitario ritenga opportuno adottare, come un provvedimento conservativo o anche la condanna al pagamento in via provvisoria di una parte dell’indennizzo richiesto nell’ambito di un ricorso per responsabilità extracontrattuale, proposto contro una o più istituzioni comunitarie (v. ordinanza Antonissen c. Commissione e Consiglio del 29 gennaio 1997, causa C-393/96 P (R)).
L’istanza per ottenere un provvedimento cautelare va quindi proposta quando è stato già proposto il ricorso principale al Tribunale o alla Corte, oppure nel momento in cui esso viene proposto (l’istanza va però proposta con atto separato: artt. 83 Reg. Proc. Corte e 104 Reg. Proc. Tribunale).
Per “provvedimenti cautelari del giudice comunitario” devono intendersi però anche quelle misure che il giudice nazionale adotta quando agisce in veste di “giudice comunitario di diritto comune”, secondo una formula utilizzata dal Tribunale di primo grado nella sentenza Tetra Pak Rausing SA c. Commissione del 10 luglio 1990, (causa T-51/89, punto 42), ossia quando, tra l’altro, tale organo giudica della legittimità di un provvedimento nazionale di esecuzione di un atto adottato dalle istituzioni comunitarie, oppure quando è chiamato a disapplicare una norma del diritto nazionale in contrasto con il diritto comunitario. In entrambi i casi, viene fatta valere dinanzi al giudice nazionale la violazione di una norma comunitaria al cui rispetto il ricorrente ha, invece, interesse, tanto da richiedere a detto giudice l’adozione di provvedimenti cautelari.
La funzione dei provvedimenti cautelari è di evitare che la durata del procedimento principale pregiudichi gli interessi delle parti. In tal senso, essi costituiscono un elemento essenziale del diritto a una protezione giurisdizionale effettiva sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, corrispondente ora all’art. II-47 del “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” (in GUUE 2004, C 310, p. 1). Secondo tale disposizione “[o]gni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.
Il riconoscimento di tale diritto come diritto fondamentale dimostra l’assoluta centralità, nell’ordinamento comunitario, del principio di legalità, stabilito all’art. 220 del Trattato CE, ai sensi del quale il Tribunale e la Corte di giustizia “assicurano, nell’ambito delle rispettive competenze, il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del presente trattato”; ad essi va ora aggiunto il Tribunale per la funzione pubblica dell’Unione europea, istituito nel 2004 con decisione del Consiglio (in GUUE 2004, L 333, p. 7) in forza del secondo comma dell’art. 220 CE, ai sensi del quale “al Tribunale di primo grado possono inoltre essere affiancate, alle condizioni di cui all’articolo 225A, camere giurisdizionali incaricate di esercitare, in taluni settori specifici, competenze giurisdizionali previste dal presente trattato”.
La portata del principio di legalità per l’ordinamento comunitario è stata chiarita dalla Corte di giustizia nell’importante sentenza Parti écologiste Les Verts c. Parlamento europeo del 23 aprile 1986 (causa 294/83), per cui la Comunità europea “è una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno parte, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla Carta costituzionale di base costituita dal trattato” (punto 23).
Pertanto, il giudice comunitario fa rispettare il Trattato CE sia quando interviene nei confronti delle altre istituzioni della Comunità, sia quando agisce nei confronti degli Stati membri. Nell’uno e nell’altro caso, detto giudice può adottare provvedimenti cautelari.
Più precisamente, nell’ambito di ricorsi presentati contro atti di istituzioni comunitarie, il Tribunale e la Corte di giustizia possono adottare dei provvedimenti volti a paralizzarne gli effetti o a impedire comunque che gli interessi del ricorrente vengano pregiudicati, qualora riscontrino la probabile giustificazione, in fatto e in diritto della misura cautelare richiesta, ossia il fumus boni juris, e la possibilità che si verifichi un danno grave e irreparabile per il ricorrente nel tempo necessario all’adozione del provvedimento con cui si definisce il ricorso principale, ossia il periculum in mora.
Per quanto riguarda gli aspetti processuali dei provvedimenti cautelari adottabili dal Tribunale di primo grado e dalla Corte, gli effetti di tali provvedimenti sono inevitabilmente provvisori, nel senso che essi non possono pregiudicare la decisione della causa principale (v. art. 86, quarto comma Reg. Proc. Corte e art. 107, quarto comma Reg. Proc. Tribunale. Entrambi disponibili nell’ultima versione aggiornata al sito www.curia.eu.int). Inoltre, le ordinanze con cui il Tribunale adotta tali provvedimenti sono impugnabili mediante appello davanti alla Corte di giustizia (ma solo dalle parti del procedimento: art. 57, secondo comma del Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia, in GUUE 2001 L 180, come modificato, da ultimo, con decisione del Consiglio del 3 ottobre 2005 in GUUE 2005 L 266 p. 60). Esse sono anche modificabili o revocabili in corso di causa per un sopravvenuto mutamento delle circostanze (artt. 87 Reg. Proc. Corte e 108 Reg. Proc. Trib.). La revoca e la modifica possono essere disposte anche d’ufficio dal giudice che ha concesso il provvedimento qualora a tal fine la controparte non sia stata ascoltata (art. 84 par. 2 secondo comma Reg. Proc. Corte e art. 105 par. 2 secondo comma Reg. Proc. Trib.).
Anche il giudice nazionale può adottare misure cautelari in grado di incidere sugli effetti di un atto delle istituzioni comunitarie, normalmente un regolamento, ma solo quando gli viene richiesto di dichiarare l’invalidità riflessa di un provvedimento nazionale di esecuzione di un atto comunitario. In altri termini, se il ricorrente ritiene che tale atto comunitario sia invalido, qualora di tale atto comunitario esista un provvedimento di esecuzione adottato dalle autorità nazionali, il ricorrente potrà impugnare questo provvedimento, se-condo le regole procedurali del diritto nazionale, chiedendo che ne venga dichiarata l’illegittimità perché adottato per dare applicazione a un atto comunitario invalido, e potrà chiedere al giudice nazionale in questa sede l’adozione di ogni provvedimento cautelare necessario alla tutela dei propri interessi.
In una tale ipotesi, la Corte di giustizia ha precisato che il giudice nazionale può concedere questi provvedimenti, solo se a) nutre “gravi dubbi” sulla validità dell’atto comunitario a monte, e propone alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale di validità di tale atto ai sensi dell’art. 234 CE, qualora non l’abbia già fatto (fumus boni juris); b) ricorrono gli estremi dell’urgenza nel senso che i provvedimenti provvisori sono necessari per evitare un danno grave e irreparabile al ricorrente (periculum in mora); inoltre, il giudice nazionale deve c) valutare anche l’interesse della Comunità a che gli effetti degli atti delle proprie istituzioni non siano del tutto pregiudicati in difetto di una loro applicazione immediata, e nella valutazione di questi tre elementi il giudice nazionale deve d) rispettare le pronunce della Corte di giustizia o del Tribunale di primo grado in ordine alla legittimità del regolamento, o dell’atto comunitario a monte, o l’ordinanza in sede di procedimento sommario diretta alla concessione, sul piano comunitario, di provvedimenti provvisori analoghi (v. sentenze della Corte Zuckerfabrik del 21 febbraio 1991, cause riunite C-143/88 e C-92/89, punto 23; Atlanta del 9 novembre 1995, causa C-465/93, punti 32 e ss.; Krüger del 17 luglio 1997, causa C-334/95, punto 47).
Quanto ai provvedimenti cautelari diretti nei confronti degli Stati membri il cui comportamento appaia contrario al diritto comunitario, questi possono anzitutto essere adottati da parte della Corte di giustizia nell’ambito di una procedura di infrazione ai sensi degli artt. 226 e ss. CE. In tale contesto, la Corte può chiedere allo Stato membro la cessazione di ogni comportamento contrario al diritto comunitario, dopo essere stata adita dalla Commissione o da un altro Stato membro. In questo caso, i provvedimenti cautelari si dimostrano particolarmente efficaci per ottenere dagli Stati il rispetto del diritto comunitario.
Infine, quanto al giudice nazionale, questo potrà adottare in via cautelare ogni provvedimento necessario ad impedire che una norma nazionale o un atto di un’autorità del proprio Stato pregiudichi i diritti del ricorrente derivanti dal diritto comunitario. In particolare, nell’importante sentenza Factortame del 19 giugno 1990 la Corte di giustizia decise una questione pregiudiziale sollevata dalla “House of Lords”, e ribadì l’importanza della tutela cautelare per i singoli nei procedimenti dinanzi al giudice nazionale, quando tale giudice sia chiamato a decidere una controversia regolata dal diritto comunitario, come appunto quella dinanzi al giudice rinviante, nella quale veniva fatta valere la contrarietà di alcune disposizioni di una legge britannica ad alcune norme comunitarie, tra cui il fondamentale principio di non discriminazione in base alla nazionalità contenuto nell’art. 12 CE. La Corte affermò che “la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe […] ridotta se una norma di diritto nazionale potesse impedire al giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario.
Ne consegue che in una situazione del genere il giudice è tenuto a disapplicare la norma di diritto nazionale che sola osti alla concessione di provvedimenti provvisori” (causa C-213/89, punto 21).
I provvedimenti cautelari sono indicati agli artt. 242 e 243 del Trattato CE, e consistono, rispettivamente, nella sospensione degli effetti dell’atto impugnato, poiché il ricorso principale non ha effetto sospensivo degli effetti dell’atto contro cui è diretto, e in ogni altro provvedimento che il giudice comunitario ritenga opportuno adottare, come un provvedimento conservativo o anche la condanna al pagamento in via provvisoria di una parte dell’indennizzo richiesto nell’ambito di un ricorso per responsabilità extracontrattuale, proposto contro una o più istituzioni comunitarie (v. ordinanza Antonissen c. Commissione e Consiglio del 29 gennaio 1997, causa C-393/96 P (R)).
L’istanza per ottenere un provvedimento cautelare va quindi proposta quando è stato già proposto il ricorso principale al Tribunale o alla Corte, oppure nel momento in cui esso viene proposto (l’istanza va però proposta con atto separato: artt. 83 Reg. Proc. Corte e 104 Reg. Proc. Tribunale).
Per “provvedimenti cautelari del giudice comunitario” devono intendersi però anche quelle misure che il giudice nazionale adotta quando agisce in veste di “giudice comunitario di diritto comune”, secondo una formula utilizzata dal Tribunale di primo grado nella sentenza Tetra Pak Rausing SA c. Commissione del 10 luglio 1990, (causa T-51/89, punto 42), ossia quando, tra l’altro, tale organo giudica della legittimità di un provvedimento nazionale di esecuzione di un atto adottato dalle istituzioni comunitarie, oppure quando è chiamato a disapplicare una norma del diritto nazionale in contrasto con il diritto comunitario. In entrambi i casi, viene fatta valere dinanzi al giudice nazionale la violazione di una norma comunitaria al cui rispetto il ricorrente ha, invece, interesse, tanto da richiedere a detto giudice l’adozione di provvedimenti cautelari.
La funzione dei provvedimenti cautelari è di evitare che la durata del procedimento principale pregiudichi gli interessi delle parti. In tal senso, essi costituiscono un elemento essenziale del diritto a una protezione giurisdizionale effettiva sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, corrispondente ora all’art. II-47 del “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” (in GUUE 2004, C 310, p. 1). Secondo tale disposizione “[o]gni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.
Il riconoscimento di tale diritto come diritto fondamentale dimostra l’assoluta centralità, nell’ordinamento comunitario, del principio di legalità, stabilito all’art. 220 del Trattato CE, ai sensi del quale il Tribunale e la Corte di giustizia “assicurano, nell’ambito delle rispettive competenze, il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del presente trattato”; ad essi va ora aggiunto il Tribunale per la funzione pubblica dell’Unione europea, istituito nel 2004 con decisione del Consiglio (in GUUE 2004, L 333, p. 7) in forza del secondo comma dell’art. 220 CE, ai sensi del quale “al Tribunale di primo grado possono inoltre essere affiancate, alle condizioni di cui all’articolo 225A, camere giurisdizionali incaricate di esercitare, in taluni settori specifici, competenze giurisdizionali previste dal presente trattato”.
La portata del principio di legalità per l’ordinamento comunitario è stata chiarita dalla Corte di giustizia nell’importante sentenza Parti écologiste Les Verts c. Parlamento europeo del 23 aprile 1986 (causa 294/83), per cui la Comunità europea “è una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno parte, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla Carta costituzionale di base costituita dal trattato” (punto 23).
Pertanto, il giudice comunitario fa rispettare il Trattato CE sia quando interviene nei confronti delle altre istituzioni della Comunità, sia quando agisce nei confronti degli Stati membri. Nell’uno e nell’altro caso, detto giudice può adottare provvedimenti cautelari.
Più precisamente, nell’ambito di ricorsi presentati contro atti di istituzioni comunitarie, il Tribunale e la Corte di giustizia possono adottare dei provvedimenti volti a paralizzarne gli effetti o a impedire comunque che gli interessi del ricorrente vengano pregiudicati, qualora riscontrino la probabile giustificazione, in fatto e in diritto della misura cautelare richiesta, ossia il fumus boni juris, e la possibilità che si verifichi un danno grave e irreparabile per il ricorrente nel tempo necessario all’adozione del provvedimento con cui si definisce il ricorso principale, ossia il periculum in mora.
Per quanto riguarda gli aspetti processuali dei provvedimenti cautelari adottabili dal Tribunale di primo grado e dalla Corte, gli effetti di tali provvedimenti sono inevitabilmente provvisori, nel senso che essi non possono pregiudicare la decisione della causa principale (v. art. 86, quarto comma Reg. Proc. Corte e art. 107, quarto comma Reg. Proc. Tribunale. Entrambi disponibili nell’ultima versione aggiornata al sito www.curia.eu.int). Inoltre, le ordinanze con cui il Tribunale adotta tali provvedimenti sono impugnabili mediante appello davanti alla Corte di giustizia (ma solo dalle parti del procedimento: art. 57, secondo comma del Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia, in GUUE 2001 L 180, come modificato, da ultimo, con decisione del Consiglio del 3 ottobre 2005 in GUUE 2005 L 266 p. 60). Esse sono anche modificabili o revocabili in corso di causa per un sopravvenuto mutamento delle circostanze (artt. 87 Reg. Proc. Corte e 108 Reg. Proc. Trib.). La revoca e la modifica possono essere disposte anche d’ufficio dal giudice che ha concesso il provvedimento qualora a tal fine la controparte non sia stata ascoltata (art. 84 par. 2 secondo comma Reg. Proc. Corte e art. 105 par. 2 secondo comma Reg. Proc. Trib.).
Anche il giudice nazionale può adottare misure cautelari in grado di incidere sugli effetti di un atto delle istituzioni comunitarie, normalmente un regolamento, ma solo quando gli viene richiesto di dichiarare l’invalidità riflessa di un provvedimento nazionale di esecuzione di un atto comunitario. In altri termini, se il ricorrente ritiene che tale atto comunitario sia invalido, qualora di tale atto comunitario esista un provvedimento di esecuzione adottato dalle autorità nazionali, il ricorrente potrà impugnare questo provvedimento, se-condo le regole procedurali del diritto nazionale, chiedendo che ne venga dichiarata l’illegittimità perché adottato per dare applicazione a un atto comunitario invalido, e potrà chiedere al giudice nazionale in questa sede l’adozione di ogni provvedimento cautelare necessario alla tutela dei propri interessi.
In una tale ipotesi, la Corte di giustizia ha precisato che il giudice nazionale può concedere questi provvedimenti, solo se a) nutre “gravi dubbi” sulla validità dell’atto comunitario a monte, e propone alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale di validità di tale atto ai sensi dell’art. 234 CE, qualora non l’abbia già fatto (fumus boni juris); b) ricorrono gli estremi dell’urgenza nel senso che i provvedimenti provvisori sono necessari per evitare un danno grave e irreparabile al ricorrente (periculum in mora); inoltre, il giudice nazionale deve c) valutare anche l’interesse della Comunità a che gli effetti degli atti delle proprie istituzioni non siano del tutto pregiudicati in difetto di una loro applicazione immediata, e nella valutazione di questi tre elementi il giudice nazionale deve d) rispettare le pronunce della Corte di giustizia o del Tribunale di primo grado in ordine alla legittimità del regolamento, o dell’atto comunitario a monte, o l’ordinanza in sede di procedimento sommario diretta alla concessione, sul piano comunitario, di provvedimenti provvisori analoghi (v. sentenze della Corte Zuckerfabrik del 21 febbraio 1991, cause riunite C-143/88 e C-92/89, punto 23; Atlanta del 9 novembre 1995, causa C-465/93, punti 32 e ss.; Krüger del 17 luglio 1997, causa C-334/95, punto 47).
Quanto ai provvedimenti cautelari diretti nei confronti degli Stati membri il cui comportamento appaia contrario al diritto comunitario, questi possono anzitutto essere adottati da parte della Corte di giustizia nell’ambito di una procedura di infrazione ai sensi degli artt. 226 e ss. CE. In tale contesto, la Corte può chiedere allo Stato membro la cessazione di ogni comportamento contrario al diritto comunitario, dopo essere stata adita dalla Commissione o da un altro Stato membro. In questo caso, i provvedimenti cautelari si dimostrano particolarmente efficaci per ottenere dagli Stati il rispetto del diritto comunitario.
Infine, quanto al giudice nazionale, questo potrà adottare in via cautelare ogni provvedimento necessario ad impedire che una norma nazionale o un atto di un’autorità del proprio Stato pregiudichi i diritti del ricorrente derivanti dal diritto comunitario. In particolare, nell’importante sentenza Factortame del 19 giugno 1990 la Corte di giustizia decise una questione pregiudiziale sollevata dalla “House of Lords”, e ribadì l’importanza della tutela cautelare per i singoli nei procedimenti dinanzi al giudice nazionale, quando tale giudice sia chiamato a decidere una controversia regolata dal diritto comunitario, come appunto quella dinanzi al giudice rinviante, nella quale veniva fatta valere la contrarietà di alcune disposizioni di una legge britannica ad alcune norme comunitarie, tra cui il fondamentale principio di non discriminazione in base alla nazionalità contenuto nell’art. 12 CE. La Corte affermò che “la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe […] ridotta se una norma di diritto nazionale potesse impedire al giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario.
Ne consegue che in una situazione del genere il giudice è tenuto a disapplicare la norma di diritto nazionale che sola osti alla concessione di provvedimenti provvisori” (causa C-213/89, punto 21).