L'UE RITIRA LE PREFERENZE SPECIALI CON LO SRI LANKA PER LE VIOLAZIONI DI DIRITTI UMANI
Archivio > Anno 2010 > Maggio 2010
di
Monica DEL VECCHIO (Dottoranda di ricerca in Diritto internazionale e
dell’Unione europea presso l’Università degli studi di Bari Aldo Moro)
A partire
dal 15 agosto, la Repubblica Socialista Democratica dello Sri Lanka non
potrà più beneficiare delle preferenze tariffarie note come “SPG+”
nelle relazioni commerciali con l’UE. Tale misura, adottata con
regolamento di esecuzione (UE) 143/2010, del Consiglio, del 15 febbraio
2010 (GUUE L 45 del 20 febbraio 2010), giunge al termine di un’inchiesta
della Commissione conclusasi nel dicembre del 2009 con una proposta di
“graduazione” dello Sri Lanka dalla lista dei Paesi beneficiari del
regime speciale di stimolo allo sviluppo sostenibile e al buon governo,
adottato nell’ambito del Sistema di preferenze generalizzate (SPG)
dell’UE attualmente in vigore. La sospensione delle preferenze
speciali, che avrà effetto per sei mesi, trova giustificazione nel
mancato rispetto di alcune convenzioni in materia di diritti umani,
segnatamente il Patto internazionale sui diritti civili e politici del
1966, la Convenzione contro la tortura del 1984 e la Convenzione sui
diritti del fanciullo del 1989.
L’UE adotta un sistema di preferenze generalizzate per i Paesi in via di sviluppo sin dal 1971, anno in cui le parti contraenti dell’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT) stabilirono una deroga temporanea alla clausola della nazione più favorita che aprì la strada alla concessione di un trattamento preferenziale per i Paesi in via di sviluppo (PVS). Tale deroga, poi, è diventata permanente grazie all’adozione della clausola di abilitazione nel 1979, che ha pienamente inserito il principio del “trattamento speciale e differenziato” per i PVS nel quadro delle norme che regolano il commercio internazionale. La clausola di abilitazione stabilisce che la decisione di accordare tale trattamento ai Paesi più poveri è un atto unilaterale, subordinato alla volontà dei Paesi avanzati. Tuttavia, qualora uno Stato decida di adottare uno schema di preferenze, esso deve conformarsi ai criteri di legittimità contemplati dalla clausola di abilitazione. Quest’ultima stabilisce in proposito che le preferenze debbano essere generalizzate, cioè accordate alla generalità dei Paesi in via di sviluppo; non reciproche, ovvero svincolate da ogni forma di compensazione ed infine non discriminatorie. Il mancato rispetto di queste condizioni comporta l’illegittimità del trattamento preferenziale, per contrasto con la clausola della nazione più favorita.
Il Sistema di preferenze generalizzate è essenzialmente uno strumento di politica commerciale – la base giuridica nel diritto dell’UE è costituita dall’art. 207 TFUE (già art. 133 TCE) – con lo scopo di contribuire alla crescita dei Paesi in via di sviluppo e alla loro integrazione nell’economia mondiale, attraverso l’accesso preferenziale dei loro prodotti al mercato europeo. Tale circostanza si realizza concretamente attraverso una serie di vantaggi concessi dall’UE ai PVS beneficiari, nella forma di riduzioni o esenzioni dal pagamento delle tariffe doganali all’importazione in funzione della “sensibilità” del prodotto nel mercato interno, vale a dire del suo grado di competitività rispetto ai prodotti comunitari.
A partire dal 2002, però, la CE ha utilizzato il sistema di preferenze generalizzate anche al fine di promuovere il rispetto dei diritti fondamentali, la tutela dei lavoratori e dell’ambiente, l’esercizio del buon governo e di relazioni internazionali pacifiche da parte dei PVS, in un’ottica di sviluppo più ampia, coerentemente con gli “Obiettivi di sviluppo del Millennio” lanciati dalle Nazioni Unite e con la nuova agenda commerciale del Doha Round.
L’attuale sistema di preferenze generalizzate, stabilito dal regolamento (CE) 732/2008, del Consiglio, del 22 luglio 2008 (GUUE L 211 del 6 agosto 2008) e valido fino al 31 dicembre 2011, consiste, infatti, in un regime tariffario generale, che prevede la concessione di riduzioni ed esenzioni dai dazi a tutti i Paesi beneficiari e in due regimi speciali, che accordano preferenze ulteriori (per questo denominate “SPG+”) legate al rispetto di alcuni standard normativi minimi nelle materie sopra citate. Un regime speciale è destinato a Stati in condizione di particolare arretratezza economica, elencati in una lista appositamente redatta dalle Nazioni Unite (reperibile on line sul sito www.unohrlls.org). Si tratta del “regime speciale a favore dei Paesi meno sviluppati”, che prevede un trattamento ancor più favorevole rispetto a quello accordato agli altri PVS, consistente nella sospensione dei dazi della tariffa doganale comune per tutti i prodotti da essi provenienti, eccetto le armi e le munizioni (tale iniziativa è denominata per l’appunto Everything But Arms).
L’altro regime speciale merita una maggiore attenzione, in quanto regola la concessione delle suddette preferenze “SPG+”. Il “regime speciale di incentivazione per lo sviluppo sostenibile ed il buon governo”, che comporta un margine tariffario ancor più favorevole, è destinato a Paesi che possano essere ritenuti “vulnerabili”. Detta espressione designa in sostanza tutti quei PVS che non siano classificati dalla Banca mondiale come Paesi a reddito elevato per tre anni consecutivi e le cui importazioni coperte dalle preferenze non siano rilevanti per il mercato comunitario (art. 2 del regolamento 732/2008, cit.). Per usufruire delle preferenze “SPG+”, però, i Paesi eleggibili devono ratificare e dare effettiva esecuzione ad una serie di convenzioni internazionali, ventisette in tutto, di cui sedici in materia di diritti umani e tutela dei lavoratori e undici relative a principi ambientali e di buon governo, la cui lista è contenuta nell’Allegato III al regolamento 732/2008. Questa ulteriore condizione è la chiave per la concessione delle preferenze “SPG+” ed è soggetta al controllo della Commissione, la quale lo esercita sin dal momento della presentazione dell’apposita domanda da parte del Paese candidato: quest’ultimo, quando intenda proporsi come beneficiario delle preferenze speciali, deve fornire alla Commissione «esaurienti informazioni riguardo alla ratifica delle convenzioni di cui all’allegato III, nonché alla legislazione e alle misure finalizzate all’effettiva attuazione delle disposizioni delle convenzioni» (art. 9, par. 2 del regolamento 732/2008, cit.).
Il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 2 del regolamento 732/2008 può essere riesaminato tutte le volte la Commissione o uno Stato membro ricevano informazioni tali da giustificare l’avvio di un’inchiesta. In tal caso, la Commissione, previa comunicazione al Comitato delle preferenze generalizzate, avvia in primo luogo apposite consultazioni con il Paese beneficiario interessato, che devono concludersi entro un mese. Trascorso il termine, essa può decidere di avviare l’inchiesta, nella quale deve offrire al Paese beneficiario ogni opportunità di collaborazione (artt. 17 e 18 regolamento del 732/2008). Va detto che la procedura di verifica del rispetto delle condizioni sostanziali per la concessione delle preferenze “SPG+” si basa esclusivamente sulle informazioni fornite dall’ONU, dall’OIL e dalle altre organizzazioni internazionali competenti, che il PVS beneficiario può integrare attraverso le proprie osservazioni e considerazioni, in un’ottica di dialogo e cooperazione con l’UE. Qualora a conclusione dell’inchiesta risulti una grave e sistematica violazione dei principi contenuti nelle convenzioni sui diritti umani e sulla tutela dei lavoratori, la Commissione può proporre agli Stati membri di revocare temporaneamente le preferenze speciali, per un periodo non superiore ai sei mesi, al termine del quale procedere alla revisione della misura di sospensione.
Il 14 ottobre del 2008 la Commissione ha avviato un’inchiesta per valutare l’esistenza di gravi e persistenti violazioni di diritti umani nella Repubblica dello Sri Lanka. La decisione era basata sulle informazioni contenute nei rapporti degli Special Rapporteurs delle Nazioni Unite nel Paese, nonché nei rapporti redatti da una serie di organizzazioni non governative. In aggiunta, la Commissione aveva affidato la redazione di un rapporto a tre esperti indipendenti (Hampson F., Sevón L., Wieruszewski R., The Implementation of Certain Human Rights Conventions in Sri Lanka, del 30 settembre 2009, reperibile on line sul sito ec.europa.eu/trade/). Detti organismi avevano lanciato l’allarme sulla drammatica situazione prodottasi all’interno del Paese allo scatenarsi della guerra civile tra il governo centrale e il movimento separatista delle “Tigri del Tamil” (o LTTE).
Sotto accusa era, in particolare, la legislazione di emergenza del 2005, che secondo gli osservatori internazionali non forniva le garanzie minime in materia di diritti fondamentali. In specie, le informazioni pubblicate nei vari rapporti mostravano la sistematicità di certe pratiche come le c.d. extrajudicial killings da parte delle forze di polizia nei confronti di coloro che fossero sospettati di collaborare con le LTTE, oppure le numerosissime morti “sospette”, avvenute all’interno delle carceri e giustificate come legittima difesa o come incidenti quando il detenuto reagiva all’arresto. Gli organismi internazionali mostravano, inoltre, la generalizzazione delle pratiche di tortura e di altri trattamenti disumani e degradanti nei confronti dei detenuti, così come casi di “simpatizzanti” per le LTTE privati arbitrariamente della libertà e tradotti in campi di internamento o, addirittura, scomparsi. Un simile quadro andava inserito nel contesto di una generale impunità, garantita, per l’appunto, dalla legislazione che regolava le situazioni di emergenza nazionale. Non da ultimo, diverse organizzazioni non governative avevano messo in luce il massiccio arruolamento di minori in entrambi gli schieramenti.
Prendendo atto delle informazioni contenute nei diversi rapporti, la Commissione europea ha inizialmente mantenuto un atteggiamento di dialogo con lo Sri Lanka, invitando più volte il Paese a collaborare nell’inchiesta. Di fronte al persistente rifiuto a cooperare da parte delle autorità cingalesi, la Commissione ha, dunque, proposto al Consiglio la sospensione delle preferenze speciali “SPG+”, a partire dal 15 agosto e per un periodo di sei mesi. A tale misura, adottata con il regolamento 143/2010, il governo dello Sri Lanka ha risposto accusando la Commissione di aver condotto l’inchiesta in maniera arbitraria e superficiale.
Attualmente la situazione resta piuttosto tesa. Il Commissario europeo per il Commercio, Karel De Gucht, si è augurato di poter riscontrare nelle autorità dello Sri Lanka un atteggiamento più cooperativo nei prossimi sei mesi. Sebbene lo strumento commerciale non sia il più idoneo per far fronte ad una situazione così gravemente compromessa, come quella a cui si assiste in Sri Lanka, l’esercizio della condizionalità da parte dell’UE (e dunque l’utilizzo delle stesse preferenze “SPG+”) è funzionale all’apertura di un dialogo con il Paese volto alla ricerca di un accordo sulle misure necessarie a tutelare i diritti fondamentali in maniera più effettiva. In tal senso, un primo passo è stato già compiuto lo scorso 15 marzo, quando il Commissario europeo ha incontrato il rappresentante del Ministero per gli Affari Esteri cingalese. Nella riunione si è assistito ad uno scambio di vedute preliminare ad una serie di incontri più approfonditi e – si spera – più proficui. La Commissione ha ribadito la più completa disponibilità dell’UE al dialogo con lo Sri Lanka e si è detta pronta a rivalutare la propria posizione e a ristabilire le preferenze “SPG+” qualora le circostanze volgano al meglio.
L’UE adotta un sistema di preferenze generalizzate per i Paesi in via di sviluppo sin dal 1971, anno in cui le parti contraenti dell’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT) stabilirono una deroga temporanea alla clausola della nazione più favorita che aprì la strada alla concessione di un trattamento preferenziale per i Paesi in via di sviluppo (PVS). Tale deroga, poi, è diventata permanente grazie all’adozione della clausola di abilitazione nel 1979, che ha pienamente inserito il principio del “trattamento speciale e differenziato” per i PVS nel quadro delle norme che regolano il commercio internazionale. La clausola di abilitazione stabilisce che la decisione di accordare tale trattamento ai Paesi più poveri è un atto unilaterale, subordinato alla volontà dei Paesi avanzati. Tuttavia, qualora uno Stato decida di adottare uno schema di preferenze, esso deve conformarsi ai criteri di legittimità contemplati dalla clausola di abilitazione. Quest’ultima stabilisce in proposito che le preferenze debbano essere generalizzate, cioè accordate alla generalità dei Paesi in via di sviluppo; non reciproche, ovvero svincolate da ogni forma di compensazione ed infine non discriminatorie. Il mancato rispetto di queste condizioni comporta l’illegittimità del trattamento preferenziale, per contrasto con la clausola della nazione più favorita.
Il Sistema di preferenze generalizzate è essenzialmente uno strumento di politica commerciale – la base giuridica nel diritto dell’UE è costituita dall’art. 207 TFUE (già art. 133 TCE) – con lo scopo di contribuire alla crescita dei Paesi in via di sviluppo e alla loro integrazione nell’economia mondiale, attraverso l’accesso preferenziale dei loro prodotti al mercato europeo. Tale circostanza si realizza concretamente attraverso una serie di vantaggi concessi dall’UE ai PVS beneficiari, nella forma di riduzioni o esenzioni dal pagamento delle tariffe doganali all’importazione in funzione della “sensibilità” del prodotto nel mercato interno, vale a dire del suo grado di competitività rispetto ai prodotti comunitari.
A partire dal 2002, però, la CE ha utilizzato il sistema di preferenze generalizzate anche al fine di promuovere il rispetto dei diritti fondamentali, la tutela dei lavoratori e dell’ambiente, l’esercizio del buon governo e di relazioni internazionali pacifiche da parte dei PVS, in un’ottica di sviluppo più ampia, coerentemente con gli “Obiettivi di sviluppo del Millennio” lanciati dalle Nazioni Unite e con la nuova agenda commerciale del Doha Round.
L’attuale sistema di preferenze generalizzate, stabilito dal regolamento (CE) 732/2008, del Consiglio, del 22 luglio 2008 (GUUE L 211 del 6 agosto 2008) e valido fino al 31 dicembre 2011, consiste, infatti, in un regime tariffario generale, che prevede la concessione di riduzioni ed esenzioni dai dazi a tutti i Paesi beneficiari e in due regimi speciali, che accordano preferenze ulteriori (per questo denominate “SPG+”) legate al rispetto di alcuni standard normativi minimi nelle materie sopra citate. Un regime speciale è destinato a Stati in condizione di particolare arretratezza economica, elencati in una lista appositamente redatta dalle Nazioni Unite (reperibile on line sul sito www.unohrlls.org). Si tratta del “regime speciale a favore dei Paesi meno sviluppati”, che prevede un trattamento ancor più favorevole rispetto a quello accordato agli altri PVS, consistente nella sospensione dei dazi della tariffa doganale comune per tutti i prodotti da essi provenienti, eccetto le armi e le munizioni (tale iniziativa è denominata per l’appunto Everything But Arms).
L’altro regime speciale merita una maggiore attenzione, in quanto regola la concessione delle suddette preferenze “SPG+”. Il “regime speciale di incentivazione per lo sviluppo sostenibile ed il buon governo”, che comporta un margine tariffario ancor più favorevole, è destinato a Paesi che possano essere ritenuti “vulnerabili”. Detta espressione designa in sostanza tutti quei PVS che non siano classificati dalla Banca mondiale come Paesi a reddito elevato per tre anni consecutivi e le cui importazioni coperte dalle preferenze non siano rilevanti per il mercato comunitario (art. 2 del regolamento 732/2008, cit.). Per usufruire delle preferenze “SPG+”, però, i Paesi eleggibili devono ratificare e dare effettiva esecuzione ad una serie di convenzioni internazionali, ventisette in tutto, di cui sedici in materia di diritti umani e tutela dei lavoratori e undici relative a principi ambientali e di buon governo, la cui lista è contenuta nell’Allegato III al regolamento 732/2008. Questa ulteriore condizione è la chiave per la concessione delle preferenze “SPG+” ed è soggetta al controllo della Commissione, la quale lo esercita sin dal momento della presentazione dell’apposita domanda da parte del Paese candidato: quest’ultimo, quando intenda proporsi come beneficiario delle preferenze speciali, deve fornire alla Commissione «esaurienti informazioni riguardo alla ratifica delle convenzioni di cui all’allegato III, nonché alla legislazione e alle misure finalizzate all’effettiva attuazione delle disposizioni delle convenzioni» (art. 9, par. 2 del regolamento 732/2008, cit.).
Il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 2 del regolamento 732/2008 può essere riesaminato tutte le volte la Commissione o uno Stato membro ricevano informazioni tali da giustificare l’avvio di un’inchiesta. In tal caso, la Commissione, previa comunicazione al Comitato delle preferenze generalizzate, avvia in primo luogo apposite consultazioni con il Paese beneficiario interessato, che devono concludersi entro un mese. Trascorso il termine, essa può decidere di avviare l’inchiesta, nella quale deve offrire al Paese beneficiario ogni opportunità di collaborazione (artt. 17 e 18 regolamento del 732/2008). Va detto che la procedura di verifica del rispetto delle condizioni sostanziali per la concessione delle preferenze “SPG+” si basa esclusivamente sulle informazioni fornite dall’ONU, dall’OIL e dalle altre organizzazioni internazionali competenti, che il PVS beneficiario può integrare attraverso le proprie osservazioni e considerazioni, in un’ottica di dialogo e cooperazione con l’UE. Qualora a conclusione dell’inchiesta risulti una grave e sistematica violazione dei principi contenuti nelle convenzioni sui diritti umani e sulla tutela dei lavoratori, la Commissione può proporre agli Stati membri di revocare temporaneamente le preferenze speciali, per un periodo non superiore ai sei mesi, al termine del quale procedere alla revisione della misura di sospensione.
Il 14 ottobre del 2008 la Commissione ha avviato un’inchiesta per valutare l’esistenza di gravi e persistenti violazioni di diritti umani nella Repubblica dello Sri Lanka. La decisione era basata sulle informazioni contenute nei rapporti degli Special Rapporteurs delle Nazioni Unite nel Paese, nonché nei rapporti redatti da una serie di organizzazioni non governative. In aggiunta, la Commissione aveva affidato la redazione di un rapporto a tre esperti indipendenti (Hampson F., Sevón L., Wieruszewski R., The Implementation of Certain Human Rights Conventions in Sri Lanka, del 30 settembre 2009, reperibile on line sul sito ec.europa.eu/trade/). Detti organismi avevano lanciato l’allarme sulla drammatica situazione prodottasi all’interno del Paese allo scatenarsi della guerra civile tra il governo centrale e il movimento separatista delle “Tigri del Tamil” (o LTTE).
Sotto accusa era, in particolare, la legislazione di emergenza del 2005, che secondo gli osservatori internazionali non forniva le garanzie minime in materia di diritti fondamentali. In specie, le informazioni pubblicate nei vari rapporti mostravano la sistematicità di certe pratiche come le c.d. extrajudicial killings da parte delle forze di polizia nei confronti di coloro che fossero sospettati di collaborare con le LTTE, oppure le numerosissime morti “sospette”, avvenute all’interno delle carceri e giustificate come legittima difesa o come incidenti quando il detenuto reagiva all’arresto. Gli organismi internazionali mostravano, inoltre, la generalizzazione delle pratiche di tortura e di altri trattamenti disumani e degradanti nei confronti dei detenuti, così come casi di “simpatizzanti” per le LTTE privati arbitrariamente della libertà e tradotti in campi di internamento o, addirittura, scomparsi. Un simile quadro andava inserito nel contesto di una generale impunità, garantita, per l’appunto, dalla legislazione che regolava le situazioni di emergenza nazionale. Non da ultimo, diverse organizzazioni non governative avevano messo in luce il massiccio arruolamento di minori in entrambi gli schieramenti.
Prendendo atto delle informazioni contenute nei diversi rapporti, la Commissione europea ha inizialmente mantenuto un atteggiamento di dialogo con lo Sri Lanka, invitando più volte il Paese a collaborare nell’inchiesta. Di fronte al persistente rifiuto a cooperare da parte delle autorità cingalesi, la Commissione ha, dunque, proposto al Consiglio la sospensione delle preferenze speciali “SPG+”, a partire dal 15 agosto e per un periodo di sei mesi. A tale misura, adottata con il regolamento 143/2010, il governo dello Sri Lanka ha risposto accusando la Commissione di aver condotto l’inchiesta in maniera arbitraria e superficiale.
Attualmente la situazione resta piuttosto tesa. Il Commissario europeo per il Commercio, Karel De Gucht, si è augurato di poter riscontrare nelle autorità dello Sri Lanka un atteggiamento più cooperativo nei prossimi sei mesi. Sebbene lo strumento commerciale non sia il più idoneo per far fronte ad una situazione così gravemente compromessa, come quella a cui si assiste in Sri Lanka, l’esercizio della condizionalità da parte dell’UE (e dunque l’utilizzo delle stesse preferenze “SPG+”) è funzionale all’apertura di un dialogo con il Paese volto alla ricerca di un accordo sulle misure necessarie a tutelare i diritti fondamentali in maniera più effettiva. In tal senso, un primo passo è stato già compiuto lo scorso 15 marzo, quando il Commissario europeo ha incontrato il rappresentante del Ministero per gli Affari Esteri cingalese. Nella riunione si è assistito ad uno scambio di vedute preliminare ad una serie di incontri più approfonditi e – si spera – più proficui. La Commissione ha ribadito la più completa disponibilità dell’UE al dialogo con lo Sri Lanka e si è detta pronta a rivalutare la propria posizione e a ristabilire le preferenze “SPG+” qualora le circostanze volgano al meglio.