LE NOVITA' IN TEMA DI CONTRATTI DI CONSUMO NELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO "ROMA I"
Archivio > Anno 2007 > Febbraio 2007
di Giuseppina PIZZOLANTE (Ricercatrice di Diritto internazionale nell'Università degli Studi di Bari)
1. La proposta di regolamento relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 15 dicembre 2005 – d’ora innanzi proposta «Roma I» – (Documento COM (2005) 650 def. del 15 dicembre 2005) prospetta una radicale modernizzazione della disposizione di cui all’art. 5 della Convenzione di Roma, recante la disciplina dei contratti conclusi dai consumatori. Tale norma, come è noto, riconosce alle parti la libertà di scelta circa la legge regolatrice del contratto, disponendo, tuttavia, che l’optio legis – in presenza di determinate circostanze, tutte indicative dell’affidamento che il consumatore ha prestato nei confronti della propria legge – non può conseguire il risultato di privare lo stesso consumatore della protezione garantitagli dalle disposizioni imperative del Paese nel quale risiede abitualmente (art. 5, par. 2). Inoltre, in caso di mancanza di scelta, il contratto è sottoposto, al sussistere delle medesime condizioni, ed in deroga al criterio del collegamento più stretto, previsto in via generale dall’art. 4, alla legge del Paese nel quale il consumatore ha la sua residenza abituale (art. 5, par. 3).
L’art. 5 della Convenzione di Roma ha dato vita nel corso della prassi applicativa ad una serie di problematiche atteso che i criteri di applicazione previsti dall’art. 5, par. 2, quali la pubblicità, la firma di un contratto, il ricevimento di un’ordinazione, non garantiscono la tutela del consumatore “mobile” ovvero del consumatore che si è recato in un paese diverso da quello nel quale risiede abitualmente per effettuarvi un acquisto o ricorrere ad un servizio e, soprattutto, non sono più adeguati allo sviluppo delle nuove tecniche di commercializzazione a distanza. Inoltre, il meccanismo sotteso alla norma agevola il frazionamento della legge applicabile a causa dell’applicazione cumulativa della legge scelta dalle parti e delle disposizioni imperative della legge di residenza abituale del consumatore.
2. In forza dell’art. 5, par. 1 della proposta «Roma I», «i contratti di consumo […] sono disciplinati dalla legge dello Stato membro nel quale il consumatore ha la residenza abituale», disposizione che si applica, secondo il par. 2, «ai contratti conclusi da una persona fisica, il consumatore, avente la residenza abituale in uno Stato membro, per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale, con un’altra persona, il professionista, che agisce nell’esercizio della sua attività professionale».
La disposizione va senz’altro apprezzata per l’evidente prevedibilità del diritto applicabile che determina e per la circostanza che essa elimina il fenomeno del depeçage. Appare subito evidente, infatti, a differenza di quanto accade per la disposizione di carattere generale in tema di obbligazioni contrattuali e per contratti specifici, quali quelli conclusi dai lavoratori e dagli intermediari, l’eliminazione del criterio di collegamento della volontà delle parti e l’inserimento di un’unica norma di conflitto consistente nell’applicazione della legge della residenza abituale del consumatore. La previsione della residenza abituale quale unico criterio di collegamento, in caso di contratti conclusi in territorio comunitario, realizza, inoltre, la coincidenza tra forum e ius. Infatti, in forza dell’art. 16 del regolamento n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in questa materia è competente, generalmente, il giudice dello Stato membro in cui il consumatore è domiciliato, il quale – alla luce della proposta «Roma I» in esame – potrà, dunque, applicare la sua legge.
Per consentire l’applicazione della norma ai contratti conclusi mediante tecniche di comunicazione a distanza, rispetto alla disposizione dell’art. 5 della Convenzione di Roma, sono state sostituite le tre condizioni richieste ai fini applicativi con il criterio dell’«attività diretta», mutuato dall’art. 15 del regolamento n. 44/2001. Dunque, ai fini dell’applicazione della disposizione, in forza dell’art. 5, par. 2, secondo comma, è richiesto che le attività del professionista si svolgano nello Stato membro in cui il consumatore ha la residenza abituale o siano dirette con qualsiasi mezzo verso tale Stato membro, con l’unica eccezione legata alla circostanza che il professionista ignori il luogo di residenza abituale del consumatore e ciò non sia imputabile ad una sua imprudenza. Conseguentemente, e sempre per tutelare il consumatore «attivo», non è più richiesto che quest’ultimo abbia compiuto gli atti necessari per la conclusione del contratto nel Paese della sua residenza abituale.
A differenza dell’art. 5 della Convenzione di Roma, quale ulteriore indice di certezza del diritto, dobbiamo segnalare che l’art. 5 della proposta «Roma I» non comprende categorie specifiche di contratti cui si applica, estendendo il suo ambito di applicazione a tutti i contratti conclusi con i consumatori, includendo quelli aventi ad oggetto beni immobili.
Infine – questa volta quale indice di un’applicazione più restrittiva –, dobbiamo sottolineare che la norma modificata si applica solo nei confronti del consumatore avente la residenza abituale in uno Stato membro. Pertanto, la residenza abituale, oltre ad essere criterio di collegamento applicabile ai contratti in esame, è anche requisito necessario per l’applicabilità della norma. Viceversa, il professionista può essere domiciliato anche al di fuori del territorio comunitario.
3. L’esclusione della scelta di legge nella materia in esame appare criticabile per una serie di ragioni. Innanzitutto, essa determina una difformità rispetto al regime accolto nelle direttive comunitarie a tutela del consumatore, in base al quale le parti hanno libertà di scelta riguardo la legge da applicare al proprio contratto purché non rechino pregiudizio allo standard normativo garantito dalla disciplina comunitaria ed il contratto presenti un legame stretto con il territorio comunitario. Il legislatore comunitario non risolve, dunque, la vexata questio del coordinamento della normativa di conflitto rispetto alla disciplina introdotta dalle direttive comunitarie in materia, che andrà disciplinata considerando la proposta «Roma I» come una sorta di lex generalis, volta alla tutela di valori classici di giustizia internazionalprivatistica, sulla quale potrà eventualmente prevalere a titolo di specialità la disciplina conflittuale posta in particolari settori per soddisfare specifici obiettivi di rilevanza più strettamente materiale; eventualmente in quanto potranno darsi dei casi nei quali tali obiettivi risulteranno già conseguibili attraverso l’ordinario operare della disciplina generale.
Ulteriore questione problematica consegue dalla scelta di limitare l’applicazione della normativa di tutela solo alle ipotesi di consumatori residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea. Ciò significa che, in tutte le ipotesi di contratti conclusi con consumatori non residenti negli Stati membri dell’Unione, si ricadrà nell’applicazione della normativa generale de-gli artt. 3 e 4 e si consentirà alle parti, questa volta, di designare la legge applicabile. Nelle ipotesi di contratti conclusi con consumatori non residenti nel territorio dell’Unione europea, opererà, conseguentemente, una norma conforme questa volta alla disciplina introdotta dalle direttive, contenuta nell’art. 3, par. 5, secondo la quale «la scelta ad opera delle parti della legge di uno Stato non membro non può recare pregiudizio all’applicazione delle disposizioni imperative del diritto comunitario che sarebbero applicabili al caso di specie».
4. L’utilizzazione del solo criterio di collegamento della residenza abituale e la conseguente impossibilità di applicare al contratto una normativa che sia ad esso più collegata o che sia più adeguata a tutelare gli interessi del consumatore è indice di scarsa flessibilità. Ad esempio, la clausola di eccezione prevista nell’art. 4, par. 2 della proposta «Roma I» – presente anche nella disciplina speciale in materia di contratti di lavoro – avrebbe sicuramente potuto superare tale limite.
Applicando esclusivamente tale criterio, invece, non si porrà più il problema di dover tener conto delle norme imperative che operano in un’ottica di favor. In base a queste norme, che sono frammenti di disposizioni alternative, oggi operanti in forza dell’art. 5, par. 2 della Convenzione di Roma, se il favor produce che la legge scelta per contratto è più favorevole per tutelare gli interessi del consumatore, non c’è motivo di applicare la minore garanzia prevista dalle norme imperative del Paese di residenza del consumatore. Questa soluzione produce degli effetti con riguardo alla categoria delle norme di applicazione necessaria, in quanto tali norme, nel nuovo meccanismo di tutela, divengono l’unica categoria di disposizioni imperative in grado di operare.
Inoltre, essa permette di superare i dubbi – sollevati soprattutto dalla dottrina tedesca – circa la possibilità di utilizzare le norme di applicazione necessaria nella materia in esame. Permangono, invece, perplessità, ai nostri fini, quanto all’impropria formulazione dell’art. 8 della proposta «Roma I» che accoglie un’interpretazione in senso classico delle norme di applicazione necessaria, definendole quali norme che avrebbero ad oggetto la salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale ed economica di uno Stato. Infatti, la prassi degli ultimi anni ha dimostrato che questa formulazione è troppo restrittiva e non ha molto senso. Le norme di applicazione necessaria, come nel caso che ci occupa, assai spesso operano nel campo dei rapporti interindividuali, non preoccupandosi di proteggere valori di tipo statale, ma limitandosi a tutelare in modo particolare alcuni valori ugualmente da rispettare ed inderogabili.
5. Come è emerso nel corso dell’analisi, la formulazione nella proposta «Roma I» della disposizione in materia di contratti conclusi dai consumatori si presta ad una serie di critiche e probabilmente sarebbe stato preferibile che il legislatore comunitario avesse adottato una soluzione differente.
È prevalsa, in particolare, la volontà di ridisegnare completamente la struttura dell’art. 5 della Convenzione di Roma, ma la scelta migliore, al fine di tutelare sufficientemente il consumatore e di garantire una maggiore coerenza della disciplina, sarebbe stata, probabilmente, quella di conservare la possibilità di scegliere la legge da applicare al contratto quantomeno in presenza di determinate misure di tutela di cui il consumatore ha indubbiamente bisogno essendo la parte meno esperta e più debole. In tali ipotesi, alla possibilità di scegliere la legge da applicare al contratto, si sarebbe potuto affiancare l’inserimento di una clausola in grado di garantire l’applicazione della norma minima comunitaria nel caso in cui tutti gli elementi di un contratto siano localizzati nella Comunità. Una clausola simile, strutturata sul modello del sopra citato art. 3, par. 5 della proposta «Roma I», poteva essere articolata nei termini seguenti: «la scelta ad opera delle parti della legge di uno Stato terzo, qualora tutti gli altri dati di fatto si riferiscono a uno o più Stati membri all’atto della conclusione del contratto, lascia impregiudicata l’applicazione delle disposizioni imperative del diritto comunitario».
Il funzionamento di una norma di questo tipo avrebbe consentito di superare i problemi relativi al rinnovamento dell’art. 5 e permesso di adottare una soluzione in grado di essere più puntualmente coordinata con la normativa settoriale comunitaria in materia di tutela del consumatore.
Inoltre, sarebbero venuti meno i problemi di coerenza con quanto disciplinato dalla norma generale in materia di obbligazioni contrattuali applicabile, nel disegno accolto dal legislatore comunitario, in tutti i casi in cui il consumatore non sia residente in territorio comunitario.
E per finire, la tutela del consumatore sarebbe stata affermata in modo più consistente, facendo prevalere la disciplina ad esso più favorevole sulla base di un raffronto materiale delle leggi richiamate, realizzando valori che l’evoluzione del diritto comunitario ha dimostrato essenziali.
L’art. 5 della Convenzione di Roma ha dato vita nel corso della prassi applicativa ad una serie di problematiche atteso che i criteri di applicazione previsti dall’art. 5, par. 2, quali la pubblicità, la firma di un contratto, il ricevimento di un’ordinazione, non garantiscono la tutela del consumatore “mobile” ovvero del consumatore che si è recato in un paese diverso da quello nel quale risiede abitualmente per effettuarvi un acquisto o ricorrere ad un servizio e, soprattutto, non sono più adeguati allo sviluppo delle nuove tecniche di commercializzazione a distanza. Inoltre, il meccanismo sotteso alla norma agevola il frazionamento della legge applicabile a causa dell’applicazione cumulativa della legge scelta dalle parti e delle disposizioni imperative della legge di residenza abituale del consumatore.
2. In forza dell’art. 5, par. 1 della proposta «Roma I», «i contratti di consumo […] sono disciplinati dalla legge dello Stato membro nel quale il consumatore ha la residenza abituale», disposizione che si applica, secondo il par. 2, «ai contratti conclusi da una persona fisica, il consumatore, avente la residenza abituale in uno Stato membro, per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale, con un’altra persona, il professionista, che agisce nell’esercizio della sua attività professionale».
La disposizione va senz’altro apprezzata per l’evidente prevedibilità del diritto applicabile che determina e per la circostanza che essa elimina il fenomeno del depeçage. Appare subito evidente, infatti, a differenza di quanto accade per la disposizione di carattere generale in tema di obbligazioni contrattuali e per contratti specifici, quali quelli conclusi dai lavoratori e dagli intermediari, l’eliminazione del criterio di collegamento della volontà delle parti e l’inserimento di un’unica norma di conflitto consistente nell’applicazione della legge della residenza abituale del consumatore. La previsione della residenza abituale quale unico criterio di collegamento, in caso di contratti conclusi in territorio comunitario, realizza, inoltre, la coincidenza tra forum e ius. Infatti, in forza dell’art. 16 del regolamento n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in questa materia è competente, generalmente, il giudice dello Stato membro in cui il consumatore è domiciliato, il quale – alla luce della proposta «Roma I» in esame – potrà, dunque, applicare la sua legge.
Per consentire l’applicazione della norma ai contratti conclusi mediante tecniche di comunicazione a distanza, rispetto alla disposizione dell’art. 5 della Convenzione di Roma, sono state sostituite le tre condizioni richieste ai fini applicativi con il criterio dell’«attività diretta», mutuato dall’art. 15 del regolamento n. 44/2001. Dunque, ai fini dell’applicazione della disposizione, in forza dell’art. 5, par. 2, secondo comma, è richiesto che le attività del professionista si svolgano nello Stato membro in cui il consumatore ha la residenza abituale o siano dirette con qualsiasi mezzo verso tale Stato membro, con l’unica eccezione legata alla circostanza che il professionista ignori il luogo di residenza abituale del consumatore e ciò non sia imputabile ad una sua imprudenza. Conseguentemente, e sempre per tutelare il consumatore «attivo», non è più richiesto che quest’ultimo abbia compiuto gli atti necessari per la conclusione del contratto nel Paese della sua residenza abituale.
A differenza dell’art. 5 della Convenzione di Roma, quale ulteriore indice di certezza del diritto, dobbiamo segnalare che l’art. 5 della proposta «Roma I» non comprende categorie specifiche di contratti cui si applica, estendendo il suo ambito di applicazione a tutti i contratti conclusi con i consumatori, includendo quelli aventi ad oggetto beni immobili.
Infine – questa volta quale indice di un’applicazione più restrittiva –, dobbiamo sottolineare che la norma modificata si applica solo nei confronti del consumatore avente la residenza abituale in uno Stato membro. Pertanto, la residenza abituale, oltre ad essere criterio di collegamento applicabile ai contratti in esame, è anche requisito necessario per l’applicabilità della norma. Viceversa, il professionista può essere domiciliato anche al di fuori del territorio comunitario.
3. L’esclusione della scelta di legge nella materia in esame appare criticabile per una serie di ragioni. Innanzitutto, essa determina una difformità rispetto al regime accolto nelle direttive comunitarie a tutela del consumatore, in base al quale le parti hanno libertà di scelta riguardo la legge da applicare al proprio contratto purché non rechino pregiudizio allo standard normativo garantito dalla disciplina comunitaria ed il contratto presenti un legame stretto con il territorio comunitario. Il legislatore comunitario non risolve, dunque, la vexata questio del coordinamento della normativa di conflitto rispetto alla disciplina introdotta dalle direttive comunitarie in materia, che andrà disciplinata considerando la proposta «Roma I» come una sorta di lex generalis, volta alla tutela di valori classici di giustizia internazionalprivatistica, sulla quale potrà eventualmente prevalere a titolo di specialità la disciplina conflittuale posta in particolari settori per soddisfare specifici obiettivi di rilevanza più strettamente materiale; eventualmente in quanto potranno darsi dei casi nei quali tali obiettivi risulteranno già conseguibili attraverso l’ordinario operare della disciplina generale.
Ulteriore questione problematica consegue dalla scelta di limitare l’applicazione della normativa di tutela solo alle ipotesi di consumatori residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea. Ciò significa che, in tutte le ipotesi di contratti conclusi con consumatori non residenti negli Stati membri dell’Unione, si ricadrà nell’applicazione della normativa generale de-gli artt. 3 e 4 e si consentirà alle parti, questa volta, di designare la legge applicabile. Nelle ipotesi di contratti conclusi con consumatori non residenti nel territorio dell’Unione europea, opererà, conseguentemente, una norma conforme questa volta alla disciplina introdotta dalle direttive, contenuta nell’art. 3, par. 5, secondo la quale «la scelta ad opera delle parti della legge di uno Stato non membro non può recare pregiudizio all’applicazione delle disposizioni imperative del diritto comunitario che sarebbero applicabili al caso di specie».
4. L’utilizzazione del solo criterio di collegamento della residenza abituale e la conseguente impossibilità di applicare al contratto una normativa che sia ad esso più collegata o che sia più adeguata a tutelare gli interessi del consumatore è indice di scarsa flessibilità. Ad esempio, la clausola di eccezione prevista nell’art. 4, par. 2 della proposta «Roma I» – presente anche nella disciplina speciale in materia di contratti di lavoro – avrebbe sicuramente potuto superare tale limite.
Applicando esclusivamente tale criterio, invece, non si porrà più il problema di dover tener conto delle norme imperative che operano in un’ottica di favor. In base a queste norme, che sono frammenti di disposizioni alternative, oggi operanti in forza dell’art. 5, par. 2 della Convenzione di Roma, se il favor produce che la legge scelta per contratto è più favorevole per tutelare gli interessi del consumatore, non c’è motivo di applicare la minore garanzia prevista dalle norme imperative del Paese di residenza del consumatore. Questa soluzione produce degli effetti con riguardo alla categoria delle norme di applicazione necessaria, in quanto tali norme, nel nuovo meccanismo di tutela, divengono l’unica categoria di disposizioni imperative in grado di operare.
Inoltre, essa permette di superare i dubbi – sollevati soprattutto dalla dottrina tedesca – circa la possibilità di utilizzare le norme di applicazione necessaria nella materia in esame. Permangono, invece, perplessità, ai nostri fini, quanto all’impropria formulazione dell’art. 8 della proposta «Roma I» che accoglie un’interpretazione in senso classico delle norme di applicazione necessaria, definendole quali norme che avrebbero ad oggetto la salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale ed economica di uno Stato. Infatti, la prassi degli ultimi anni ha dimostrato che questa formulazione è troppo restrittiva e non ha molto senso. Le norme di applicazione necessaria, come nel caso che ci occupa, assai spesso operano nel campo dei rapporti interindividuali, non preoccupandosi di proteggere valori di tipo statale, ma limitandosi a tutelare in modo particolare alcuni valori ugualmente da rispettare ed inderogabili.
5. Come è emerso nel corso dell’analisi, la formulazione nella proposta «Roma I» della disposizione in materia di contratti conclusi dai consumatori si presta ad una serie di critiche e probabilmente sarebbe stato preferibile che il legislatore comunitario avesse adottato una soluzione differente.
È prevalsa, in particolare, la volontà di ridisegnare completamente la struttura dell’art. 5 della Convenzione di Roma, ma la scelta migliore, al fine di tutelare sufficientemente il consumatore e di garantire una maggiore coerenza della disciplina, sarebbe stata, probabilmente, quella di conservare la possibilità di scegliere la legge da applicare al contratto quantomeno in presenza di determinate misure di tutela di cui il consumatore ha indubbiamente bisogno essendo la parte meno esperta e più debole. In tali ipotesi, alla possibilità di scegliere la legge da applicare al contratto, si sarebbe potuto affiancare l’inserimento di una clausola in grado di garantire l’applicazione della norma minima comunitaria nel caso in cui tutti gli elementi di un contratto siano localizzati nella Comunità. Una clausola simile, strutturata sul modello del sopra citato art. 3, par. 5 della proposta «Roma I», poteva essere articolata nei termini seguenti: «la scelta ad opera delle parti della legge di uno Stato terzo, qualora tutti gli altri dati di fatto si riferiscono a uno o più Stati membri all’atto della conclusione del contratto, lascia impregiudicata l’applicazione delle disposizioni imperative del diritto comunitario».
Il funzionamento di una norma di questo tipo avrebbe consentito di superare i problemi relativi al rinnovamento dell’art. 5 e permesso di adottare una soluzione in grado di essere più puntualmente coordinata con la normativa settoriale comunitaria in materia di tutela del consumatore.
Inoltre, sarebbero venuti meno i problemi di coerenza con quanto disciplinato dalla norma generale in materia di obbligazioni contrattuali applicabile, nel disegno accolto dal legislatore comunitario, in tutti i casi in cui il consumatore non sia residente in territorio comunitario.
E per finire, la tutela del consumatore sarebbe stata affermata in modo più consistente, facendo prevalere la disciplina ad esso più favorevole sulla base di un raffronto materiale delle leggi richiamate, realizzando valori che l’evoluzione del diritto comunitario ha dimostrato essenziali.