IL CONSIGLIO COSTITUZIONALE FRANCESE SI PRONUNCIA SUI RAPPORTI TRA COSTITUZIONE EUROPEA, CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI E DIRITTO INTERNO
Archivio > Anno 2005 > Febbraio 2005
Tra
le politiche dell’Unione Europea che interessano più direttamente il
Mezzogiorno, quella euromediterranea viene oggi considerata a torto meno
rilevante rispetto a quelle per la coesione economica e sociale e per
l’agricoltura. La ragione va ricollegata alle più congrue dotazioni
finanziarie destinate al riequilibrio della crescita regionale ed alla
salvaguardia delle produzioni agroalimentari, che rappresentano
indubbiamente due temi nei quali le regioni meridionali sono tuttora in
grave ritardo rispetto al resto dell’Europa.
Se invece lo sguardo spazia oltre il contingente, è fuor di dubbio che il Mezzogiorno non possa trascurare in alcun modo gli scenari della cooperazione euromediterranea, che lo coinvolgono sotto ogni profilo: politico, economico, geografico, sociale, culturale.
Sono scenari che già oggi andrebbero assai più e meglio vissuti, se non altro per la contiguità geografica tra i territori interessati. Se ne può misurare il valore guardando ai rapporti – non certo esaltanti – che intercorrono fra le sponde meridionali dell’Adriatico ed alle conseguenti, modeste iniziative comuni, che la povertà del mercato balcanico non incoraggia ma il disinteresse dell’imprenditoria pugliese scoraggia ancor più.
Perché mai, siamo in tanti a chiederci, un mercato alle porte di casa, pur non esaltante per situazione e prospettive, deve essere lasciato in mano ad altri? Non è certo questa la posizione delle altre regioni adriatiche italiane e balcaniche, che intrecciano sempre nuovi rapporti reciprocamente cercati e costruiti.
Se poi lo sguardo va al Mediterraneo, il discorso non cambia, se è vero – come è vero – che nessuno contesta al Mezzogiorno il suo “naturale ruolo di molo proteso verso l’area Sud”. Perfetto, ma perché essere solo molo altrui e non anche nostro?
Perché mai – ecco un’altra forte analogia fra Adriatico e Mediterraneo – le nostre coste debbono essere visitate dai gommoni dei disperati mentre il più importante traffico mercantile viaggia lungo rotte diverse?
Conviene dunque cogliere al volo la decisione della Commissione Europea di considerare il 2005 “anno del Mediterraneo” ed approfondire la questione, per accorgersi che le aperture offerte dalla politica euromediterranea, oggi apparentemente secondaria, sono destinate ad essere sempre più importanti, fino a diventare probabilmente anche le più ricche di risorse, quando (a partire dal 2013) i maggiori finanziamenti per agricoltura e coesione economica saranno divenuti inevitabile appannaggio dei Partner approdati per ultimi nell’UE.
Perché proprio il 2005? Anzitutto per rammentare che sono trascorsi dieci anni da quel Vertice che a Barcellona rilanciò le politiche di cooperazione euromediterranea ma anche per stimolare nuovi passi in avanti, in vista dell’ormai non lontano traguardo del 2010, fissato come limite entro il quale i 35 Paesi interessati dovranno realizzare la più vasta e popolosa area di libero scambio di persone e di merci nel mondo.
Il “processo di Barcellona” ha vissuto finora l’alternanza delle attenzioni che viene di solito riservata alle questioni che non appassionano nella stessa misura tutti gli interlocutori. Ma se si può comprendere il disinteresse della Finlandia e della Svezia, non altrettanto è comprensibile che Grecia e Spagna dedichino alla questione mediterranea più attenzione concreta di quell’Italia che invece – per bocca di ministri e governatori del sud – continua a sottolineare “vocazioni” che restano troppo spesso sulla carta.
Quanta attenzione rivolge la Puglia alle iniziative della Comunità delle Università Mediterranee, presieduta con impegno lungimirante da Luigi Ambrosi, e dell’Istituto di alti studi agronomici mediterranei, diretto con grande apertura e professionalità da Cosimo Lacirignola, che non tutti sanno ancora aver sede proprio a Bari? E pensare che del ruolo del Mediterraneo come “risorsa” per uno sviluppo della Puglia legato alle sue potenzialità “endogene” si parlava già nel primo schema di sviluppo regionale che io stesso ebbi la soddisfazione di redigere nell’ormai tanto lontano 1969.
Del resto, anche le solenni decisioni del Vertice di Barcellona non hanno prodotto grandi risultati complessivi. Del rilancio del “processo di Barcellona” va dato dunque ampio merito all’intelligenza politica del Parlamento Europeo il cui messaggio è stato felicemente accolto da tutti i Parlamenti nazionali ed ha portato alla nascita dell’Assemblea Parlamentare Euromediter-ranea, l’APEM.
La compongono 240 membri, 120 appartenenti ai Parlamenti europei (45 al Parlamento europeo e 75 ai 25 Parlamenti nazionali) e 120 appartenenti ai Parlamenti di tutti (tranne ancora per poco la Libia) i Paesi mediterranei, compresa l’Autorità Palestinese.
La nascita dell'Assemblea è stata proclamata dal Forum parlamentare euromediterraneo, riunito a Napoli per la sua quinta edizione, ed è stata seguita dalla decisione della Sesta Conferenza ministeriale euromediterranea (Napoli, 2-3 dicembre 2003) di includere la nuova istituzione tra i soggetti del nuovo Partenariato euromediterraneo.
Altri due soggetti sono stati individuati nella “Fondazione Euromediterranea per il dialogo fra cultura e civiltà”, che ha trovato sede ad Alessandria d’Egitto, e nella trasformazione in Banca per lo sviluppo euromediterraneo (filiale specializzata della BEI) del preesistente Fondo Euro-Mediterraneo d’Investimento e Partenariato (FEMIP).
L'Assemblea rappresenta dunque la naturale evoluzione del Forum, costituito in attuazione della Dichiarazione di Barcellona (1995), quale luogo di cooperazione tra le Assemblee parlamentari tra i Paesi aderenti al Partenariato euromediterraneo.
Il recente allargamento dell’UE ha segnato il passaggio di Cipro e Malta dal gruppo mediterraneo a quello europeo, allungando l’elenco dei Paesi UE interessati al dialogo, che si sviluppa lungo tre direttrici a suo tempo indicate come essenziali: la cooperazione politica, quella economica e quella culturale.
La prima riunione dell'Assemblea è stata ospitata dal Parlamento greco il 22 e 23 marzo 2004. Il successivo 21 settembre, durante la seconda sessione plenaria svoltasi a Bruxelles, anche l’APEM si è articolata in tre Commissioni legate a quei temi. Al Presidente della Commissione per gli Affari Europei del Senato, Mario Greco, è stata affidata la presidenza della Commissione “per la promozione della qualità della vita, degli scambi umani e della cultura”, che ha tenuto la sua prima riunione il 31 gennaio a Roma. Oggetto delle due giornate di lavoro – che hanno visto anche la presenza del vice Presidente della Commissione UE, Franco Frattini, sono stati i temi dell'immigrazione e della cultura.
Nella complessa vicenda euromediterranea, fatta di squilibri economici, divergenze politiche, migrazioni incontrollate, integralismi religiosi, è proprio il “fil rouge” della cultura la chiave di volta di quella migliore comprensione reciproca che genera la pacificazione e consente di costruire politiche di cooperazione economica e di partenariato più efficaci. Lo ha riaffermato il sen. Greco aprendo i lavori di una sessione che ha posto opportunamente l’accento sul valore del dialogo fra le culture, destinato a svilupparsi non tanto nelle pur importanti sedi accademiche quanto nel confronto quotidiano determinato soprattutto dalle migrazioni; un fenomeno che vede milioni di sventurati costretti a trasferirsi, non solo per ragioni economiche ma purtroppo anche di persecuzione razziale e religiosa, dal sud al nord mediterraneo ma anche fra Paesi della stessa sponda meridionale.
Gli hanno dato ragione i numerosi parlamentari europei ed africani intervenuti all’audizione del vice Presidente Frattini, per il quale “il dialogo fra le culture facilita le scelte, attraverso la comprensione delle diversità, che vanno considerate un autentico valore aggiunto destinato ad arricchire i rapporti reciproci”.
La cultura del dialogo potrà aiutare Paesi d’immigrazione e di emigrazione a promuovere prima di tutto migliori condizioni socio-economiche nelle regioni economicamente più deboli e non solo iniziative idonee di accoglienza e poi di integrazione in quello di ingresso. Lo ricorda anche il recentissimo “Libro Verde sulle migrazioni economiche” pubblicato dalla Commissione Europea. Parlare di migrazioni programmate non dovrebbe essere eresia.
Quanto costa l’immigrazione clandestina ai Paesi che perdono risorse umane, magari dopo averle anche formate? Era un interrogativo che più volte si è posto anche per il Mezzogiorno ed al quale la vecchia Repubblica Democratica Tedesca aveva pragmaticamente risposto facendosi pagare un tanto a cranio le autorizzazione a passare dall’est all’ovest? E quanto costa anche ai Paesi che acquisiscono gli immigrati, persino quando si tratta di accoglienze temporanee e di rimpatri forzosi?
E ancora: chi l’ha detto che non debbano essere considerate “migrazioni” anche quelle di ritorno – ancor più dolorose quando sono forzate – e che gli immigrati debbano subire l’alea continua della congiuntura sfavorevole e la pena delle disumane code annuali per i visti?
Le migrazioni rendono più acuto l’impatto fra culture. Fa bene il sen. Greco ad affermare che il dialogo interculturale deve svilupparsi su livelli plurimi aiutando a comprendere anche le “diversità” rappresentate dall’analfabetismo, dal sesso e dalla discriminazione religiosa e razziale. È incredibile che tutto ciò accada nella culla delle tre grandi religioni che riconoscono lo stesso Dio. Ma anche attraverso il dialogo fra le religioni va recuperata l’aspirazione ad una integrazione aperta e rispettosa dell’altro.
Gioveranno all’evoluzione del dialogo due obbiettivi che la Commissione culturale si propone di conseguire a tempi ravvicinati: la redazione di una “Carta dei valori comuni del Mediterraneo” e la nascita di una “Università degli studi mediterranei”, che abbia come discipline d’insegnamento tutte quelle destinate alla conoscenza più completa delle peculiarità di quest’area, sulle quali – sovente comuni al nord come al sud – le situazioni comuni sono più numerose di quanto si immagini.
Se ne riparlerà alla prossima assemblea generale dell’APEM in programma al Cairo il 12 marzo e successivamente al Vertice europeo di fine anno, che dovrà fare il punto sui progressi che quest’anno la “questione mediterranea” avrà sperabilmente registrato.
Se invece lo sguardo spazia oltre il contingente, è fuor di dubbio che il Mezzogiorno non possa trascurare in alcun modo gli scenari della cooperazione euromediterranea, che lo coinvolgono sotto ogni profilo: politico, economico, geografico, sociale, culturale.
Sono scenari che già oggi andrebbero assai più e meglio vissuti, se non altro per la contiguità geografica tra i territori interessati. Se ne può misurare il valore guardando ai rapporti – non certo esaltanti – che intercorrono fra le sponde meridionali dell’Adriatico ed alle conseguenti, modeste iniziative comuni, che la povertà del mercato balcanico non incoraggia ma il disinteresse dell’imprenditoria pugliese scoraggia ancor più.
Perché mai, siamo in tanti a chiederci, un mercato alle porte di casa, pur non esaltante per situazione e prospettive, deve essere lasciato in mano ad altri? Non è certo questa la posizione delle altre regioni adriatiche italiane e balcaniche, che intrecciano sempre nuovi rapporti reciprocamente cercati e costruiti.
Se poi lo sguardo va al Mediterraneo, il discorso non cambia, se è vero – come è vero – che nessuno contesta al Mezzogiorno il suo “naturale ruolo di molo proteso verso l’area Sud”. Perfetto, ma perché essere solo molo altrui e non anche nostro?
Perché mai – ecco un’altra forte analogia fra Adriatico e Mediterraneo – le nostre coste debbono essere visitate dai gommoni dei disperati mentre il più importante traffico mercantile viaggia lungo rotte diverse?
Conviene dunque cogliere al volo la decisione della Commissione Europea di considerare il 2005 “anno del Mediterraneo” ed approfondire la questione, per accorgersi che le aperture offerte dalla politica euromediterranea, oggi apparentemente secondaria, sono destinate ad essere sempre più importanti, fino a diventare probabilmente anche le più ricche di risorse, quando (a partire dal 2013) i maggiori finanziamenti per agricoltura e coesione economica saranno divenuti inevitabile appannaggio dei Partner approdati per ultimi nell’UE.
Perché proprio il 2005? Anzitutto per rammentare che sono trascorsi dieci anni da quel Vertice che a Barcellona rilanciò le politiche di cooperazione euromediterranea ma anche per stimolare nuovi passi in avanti, in vista dell’ormai non lontano traguardo del 2010, fissato come limite entro il quale i 35 Paesi interessati dovranno realizzare la più vasta e popolosa area di libero scambio di persone e di merci nel mondo.
Il “processo di Barcellona” ha vissuto finora l’alternanza delle attenzioni che viene di solito riservata alle questioni che non appassionano nella stessa misura tutti gli interlocutori. Ma se si può comprendere il disinteresse della Finlandia e della Svezia, non altrettanto è comprensibile che Grecia e Spagna dedichino alla questione mediterranea più attenzione concreta di quell’Italia che invece – per bocca di ministri e governatori del sud – continua a sottolineare “vocazioni” che restano troppo spesso sulla carta.
Quanta attenzione rivolge la Puglia alle iniziative della Comunità delle Università Mediterranee, presieduta con impegno lungimirante da Luigi Ambrosi, e dell’Istituto di alti studi agronomici mediterranei, diretto con grande apertura e professionalità da Cosimo Lacirignola, che non tutti sanno ancora aver sede proprio a Bari? E pensare che del ruolo del Mediterraneo come “risorsa” per uno sviluppo della Puglia legato alle sue potenzialità “endogene” si parlava già nel primo schema di sviluppo regionale che io stesso ebbi la soddisfazione di redigere nell’ormai tanto lontano 1969.
Del resto, anche le solenni decisioni del Vertice di Barcellona non hanno prodotto grandi risultati complessivi. Del rilancio del “processo di Barcellona” va dato dunque ampio merito all’intelligenza politica del Parlamento Europeo il cui messaggio è stato felicemente accolto da tutti i Parlamenti nazionali ed ha portato alla nascita dell’Assemblea Parlamentare Euromediter-ranea, l’APEM.
La compongono 240 membri, 120 appartenenti ai Parlamenti europei (45 al Parlamento europeo e 75 ai 25 Parlamenti nazionali) e 120 appartenenti ai Parlamenti di tutti (tranne ancora per poco la Libia) i Paesi mediterranei, compresa l’Autorità Palestinese.
La nascita dell'Assemblea è stata proclamata dal Forum parlamentare euromediterraneo, riunito a Napoli per la sua quinta edizione, ed è stata seguita dalla decisione della Sesta Conferenza ministeriale euromediterranea (Napoli, 2-3 dicembre 2003) di includere la nuova istituzione tra i soggetti del nuovo Partenariato euromediterraneo.
Altri due soggetti sono stati individuati nella “Fondazione Euromediterranea per il dialogo fra cultura e civiltà”, che ha trovato sede ad Alessandria d’Egitto, e nella trasformazione in Banca per lo sviluppo euromediterraneo (filiale specializzata della BEI) del preesistente Fondo Euro-Mediterraneo d’Investimento e Partenariato (FEMIP).
L'Assemblea rappresenta dunque la naturale evoluzione del Forum, costituito in attuazione della Dichiarazione di Barcellona (1995), quale luogo di cooperazione tra le Assemblee parlamentari tra i Paesi aderenti al Partenariato euromediterraneo.
Il recente allargamento dell’UE ha segnato il passaggio di Cipro e Malta dal gruppo mediterraneo a quello europeo, allungando l’elenco dei Paesi UE interessati al dialogo, che si sviluppa lungo tre direttrici a suo tempo indicate come essenziali: la cooperazione politica, quella economica e quella culturale.
La prima riunione dell'Assemblea è stata ospitata dal Parlamento greco il 22 e 23 marzo 2004. Il successivo 21 settembre, durante la seconda sessione plenaria svoltasi a Bruxelles, anche l’APEM si è articolata in tre Commissioni legate a quei temi. Al Presidente della Commissione per gli Affari Europei del Senato, Mario Greco, è stata affidata la presidenza della Commissione “per la promozione della qualità della vita, degli scambi umani e della cultura”, che ha tenuto la sua prima riunione il 31 gennaio a Roma. Oggetto delle due giornate di lavoro – che hanno visto anche la presenza del vice Presidente della Commissione UE, Franco Frattini, sono stati i temi dell'immigrazione e della cultura.
Nella complessa vicenda euromediterranea, fatta di squilibri economici, divergenze politiche, migrazioni incontrollate, integralismi religiosi, è proprio il “fil rouge” della cultura la chiave di volta di quella migliore comprensione reciproca che genera la pacificazione e consente di costruire politiche di cooperazione economica e di partenariato più efficaci. Lo ha riaffermato il sen. Greco aprendo i lavori di una sessione che ha posto opportunamente l’accento sul valore del dialogo fra le culture, destinato a svilupparsi non tanto nelle pur importanti sedi accademiche quanto nel confronto quotidiano determinato soprattutto dalle migrazioni; un fenomeno che vede milioni di sventurati costretti a trasferirsi, non solo per ragioni economiche ma purtroppo anche di persecuzione razziale e religiosa, dal sud al nord mediterraneo ma anche fra Paesi della stessa sponda meridionale.
Gli hanno dato ragione i numerosi parlamentari europei ed africani intervenuti all’audizione del vice Presidente Frattini, per il quale “il dialogo fra le culture facilita le scelte, attraverso la comprensione delle diversità, che vanno considerate un autentico valore aggiunto destinato ad arricchire i rapporti reciproci”.
La cultura del dialogo potrà aiutare Paesi d’immigrazione e di emigrazione a promuovere prima di tutto migliori condizioni socio-economiche nelle regioni economicamente più deboli e non solo iniziative idonee di accoglienza e poi di integrazione in quello di ingresso. Lo ricorda anche il recentissimo “Libro Verde sulle migrazioni economiche” pubblicato dalla Commissione Europea. Parlare di migrazioni programmate non dovrebbe essere eresia.
Quanto costa l’immigrazione clandestina ai Paesi che perdono risorse umane, magari dopo averle anche formate? Era un interrogativo che più volte si è posto anche per il Mezzogiorno ed al quale la vecchia Repubblica Democratica Tedesca aveva pragmaticamente risposto facendosi pagare un tanto a cranio le autorizzazione a passare dall’est all’ovest? E quanto costa anche ai Paesi che acquisiscono gli immigrati, persino quando si tratta di accoglienze temporanee e di rimpatri forzosi?
E ancora: chi l’ha detto che non debbano essere considerate “migrazioni” anche quelle di ritorno – ancor più dolorose quando sono forzate – e che gli immigrati debbano subire l’alea continua della congiuntura sfavorevole e la pena delle disumane code annuali per i visti?
Le migrazioni rendono più acuto l’impatto fra culture. Fa bene il sen. Greco ad affermare che il dialogo interculturale deve svilupparsi su livelli plurimi aiutando a comprendere anche le “diversità” rappresentate dall’analfabetismo, dal sesso e dalla discriminazione religiosa e razziale. È incredibile che tutto ciò accada nella culla delle tre grandi religioni che riconoscono lo stesso Dio. Ma anche attraverso il dialogo fra le religioni va recuperata l’aspirazione ad una integrazione aperta e rispettosa dell’altro.
Gioveranno all’evoluzione del dialogo due obbiettivi che la Commissione culturale si propone di conseguire a tempi ravvicinati: la redazione di una “Carta dei valori comuni del Mediterraneo” e la nascita di una “Università degli studi mediterranei”, che abbia come discipline d’insegnamento tutte quelle destinate alla conoscenza più completa delle peculiarità di quest’area, sulle quali – sovente comuni al nord come al sud – le situazioni comuni sono più numerose di quanto si immagini.
Se ne riparlerà alla prossima assemblea generale dell’APEM in programma al Cairo il 12 marzo e successivamente al Vertice europeo di fine anno, che dovrà fare il punto sui progressi che quest’anno la “questione mediterranea” avrà sperabilmente registrato.