CREDERE NELL'EUROPA E BATTERSI PER LA COSTITUZIONE
Archivio > Anno 2004 > Marzo 2004
di Giuseppe VALERIO (Segretario generale AICCRE Puglia)
Siamo in un momento difficile nella costruzione dell’Europa dei popoli.
Già dire popoli vuol dire superare l’empasse in cui si sono “cacciati” i governi dei 25 paesi costituenti.
Dire popoli significa parlamento e dire parlamento significa elezioni e rappresentanza degli elettori. Dire popoli ed elezioni significa riconoscere una base comune, una legge fondamentale, una Costituzione.
Il tentativo - per noi è solo l’inizio di ciò che intendiamo per Europa - è stato e rimane quello di consentire il superamento delle ormai decine di trattati comunitari e bilaterali che formano il tessuto e la trama su cui poggia l’edificio europeo.
Il problema è che se tutto dovesse rimanere così come è oggi tempi duri e difficili si affacciano all’orizzonte della “nuova Europa”, quella allargata che si formerà il prossimo 1° Maggio.
Allargare, allargare, allargare è stato il motto, per altro condiviso dai parlamenti nazionali o dai referendum popolari, per avere una platea di oltre 400 milioni di persone. Ma a fianco all’allargamento c’era e c’è bisogno di un secondo pilastro, vale a dire le regole di funzionamento del sistema che non può passare se non attraverso la legge primaria per la formazione di un qualsiasi “nuovo” ordinamento statuale: appunto la Costituzione.
Il risvolto, tutto negativo, di questa situazione poco piacevole è che si ristagni in una grande zona di libero mercato senza arte né parte sia in politica estera, sia in quella di difesa, sia in quella della rappresentanza per “voce sola” negli organismi internazionali o nelle sedi dove la forza economica – e l’euro ne è la rappresentazione più evidente – deve avere corrispondenza in quella politica.
Chiediamo: come si può “governare” efficientemente ed efficacemente un “agglomerato” di 25 Paesi, ciascuno dei quali ha il diritto di veto? Occorre una regola da cui far scaturire tutte le altre: la Costituzione, appunto.
Diversamente saremo costretti a subire la nascita di direttori o mini unioni di due o più Paesi su argomenti specifici che nulla aggiungono all’efficienza europea e molto sottraggono all’autorevolezza della rappresentatività della stessa.
E L’Italia?
Nel numero precedente abbiamo espresso un’opinione sull’azione italiana nel semestre di nostra presidenza. Oggi, però, non possiamo non osservare che c’è una novità nel panorama europeo. Le quattro potenze, per popolazione ed economia, Francia, Germania, Gran Bretagna ed Italia, si stanno restringendo alle prime tre.
Ci sono alcune questioni, a parte la spaccatura ormai in via di superamento sull’Iraq: la missione congiunta dei tre in Iran per la rinuncia alle armi nucleari; l’incontro a Berlino dei tre in dicembre; riunioni regolari programmate ogni sei settimane; nuovo summit il 18 febbraio prossimo dei capi di governo.
Queste intese si raggiungono fuori dalle regole dell’Unione. Certo non si può impedirlo, ma nemmeno farle passare senza fiatare.
Allora è giunto il momento per l’Italia – e ricordiamo di essere uno dei sei paesi fondatori dell’Europa – di lanciare una forte offensiva diplomatica per la Costituzione e le regole comunitarie.
Sempre che si creda veramente nella costruzione di un’Europa politica più unita e più forte!
Già dire popoli vuol dire superare l’empasse in cui si sono “cacciati” i governi dei 25 paesi costituenti.
Dire popoli significa parlamento e dire parlamento significa elezioni e rappresentanza degli elettori. Dire popoli ed elezioni significa riconoscere una base comune, una legge fondamentale, una Costituzione.
Il tentativo - per noi è solo l’inizio di ciò che intendiamo per Europa - è stato e rimane quello di consentire il superamento delle ormai decine di trattati comunitari e bilaterali che formano il tessuto e la trama su cui poggia l’edificio europeo.
Il problema è che se tutto dovesse rimanere così come è oggi tempi duri e difficili si affacciano all’orizzonte della “nuova Europa”, quella allargata che si formerà il prossimo 1° Maggio.
Allargare, allargare, allargare è stato il motto, per altro condiviso dai parlamenti nazionali o dai referendum popolari, per avere una platea di oltre 400 milioni di persone. Ma a fianco all’allargamento c’era e c’è bisogno di un secondo pilastro, vale a dire le regole di funzionamento del sistema che non può passare se non attraverso la legge primaria per la formazione di un qualsiasi “nuovo” ordinamento statuale: appunto la Costituzione.
Il risvolto, tutto negativo, di questa situazione poco piacevole è che si ristagni in una grande zona di libero mercato senza arte né parte sia in politica estera, sia in quella di difesa, sia in quella della rappresentanza per “voce sola” negli organismi internazionali o nelle sedi dove la forza economica – e l’euro ne è la rappresentazione più evidente – deve avere corrispondenza in quella politica.
Chiediamo: come si può “governare” efficientemente ed efficacemente un “agglomerato” di 25 Paesi, ciascuno dei quali ha il diritto di veto? Occorre una regola da cui far scaturire tutte le altre: la Costituzione, appunto.
Diversamente saremo costretti a subire la nascita di direttori o mini unioni di due o più Paesi su argomenti specifici che nulla aggiungono all’efficienza europea e molto sottraggono all’autorevolezza della rappresentatività della stessa.
E L’Italia?
Nel numero precedente abbiamo espresso un’opinione sull’azione italiana nel semestre di nostra presidenza. Oggi, però, non possiamo non osservare che c’è una novità nel panorama europeo. Le quattro potenze, per popolazione ed economia, Francia, Germania, Gran Bretagna ed Italia, si stanno restringendo alle prime tre.
Ci sono alcune questioni, a parte la spaccatura ormai in via di superamento sull’Iraq: la missione congiunta dei tre in Iran per la rinuncia alle armi nucleari; l’incontro a Berlino dei tre in dicembre; riunioni regolari programmate ogni sei settimane; nuovo summit il 18 febbraio prossimo dei capi di governo.
Queste intese si raggiungono fuori dalle regole dell’Unione. Certo non si può impedirlo, ma nemmeno farle passare senza fiatare.
Allora è giunto il momento per l’Italia – e ricordiamo di essere uno dei sei paesi fondatori dell’Europa – di lanciare una forte offensiva diplomatica per la Costituzione e le regole comunitarie.
Sempre che si creda veramente nella costruzione di un’Europa politica più unita e più forte!