IL SISTEMA DELLE FONTI DELL'UNIONE NEL NUOVO TRATTATO DI RIFORMA
Archivio > Anno 2008 > Febbraio 2008
di Enzo CANNIZZARO (Ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università di Roma “La Sapienza”)
1.
La sistemazione del sistema delle fonti è un tema ormai classico nel
diritto dell’integrazione europea. Da tempo ormai si avverte l’esigenza
di provvedere ad una razionalizzazione del sistema, e di chiarire il
funzionamento dei classici criteri della successione temporale, della
specialità e della gerarchia, che sono correntemente applicati negli
ordinamenti statali. È avvertita inoltre l’esigenza di stabilire i
criteri di coordinamento fra fonti dell’Unione e fonti della Comunità.
Una aspettativa in questo senso si era già prodotta in relazione ai lavori di redazione del Trattato costituzionale, che aveva fra i suoi compiti quello di semplificare e razionalizzare il sistema normativo dell’Unione. Come è noto, infatti, il Trattato costituzionale introduceva la figura della legge europea e stabiliva una procedura legislativa ordinaria.
Al di là del carattere simbolico di tali innovazioni, esse non erano parse ai primi commentatori di portata tale da ingenerare un cambiamento significativo rispetto all’assetto attuale.
Innanzitutto, la semplificazione del sistema era più apparente che reale. L’introduzione della categoria della legge europea non escludeva affatto l’esistenza di fonti atipiche che, anzi, emergevano in continuazione nella lettura del Trattato, senza che fossero sempre chiari i loro rapporti con la figura generale della legge. Anche l’unificazione del procedimento legislativo era più apparente che reale, dato che al procedimento ordinario si accompagnava una miriade di procedimenti speciali atti a svuotare di gran parte di significato l’idea stessa dell’unicità del procedimento di formazione di atti secondari. Al di là di qualche modifica formale, inoltre, il Trattato costituzionale non provvedeva ad un coordinamento fra fonti della politica estera e fonti delle politiche materiali dell’Unione. Le due categorie di fonti restavano anzi sottoposte ad un regime giuridico ben diverso. Il coordinamento fra esse era assicurato da strumenti di incerto effetto giuridico.
2. Il Trattato di riforma recepisce sostanzialmente le soluzioni del Trattato costituzionale. Come è noto, tuttavia, a differenza del Trattato costituzionale, imperniato sull’idea di concentrare in un documento unitario la normativa primaria, il nuovo Trattato di riforma consiste di due strumenti convenzionali, il Trattato sull’Unione e il Trattato sul funzionamento dell’Unione. Di conseguenza, disposizioni sulle fonti sono contenute sia nell’uno che nell’altro strumento. Questa scelta contribuisce peraltro ad incrementare le difficoltà di ricostruzione di un sistema organico e unitario delle fonti dell’Unione.
Questa difficoltà si avverte innanzitutto nel definire l’assetto delle fonti di politica estera, disciplinate dal Trattato sull’Unione, e il loro rapporto con le fonti relative alle altre politiche dell’Unione, disciplinate soprattutto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione.
In proposito, il nuovo Trattato sembra innanzitutto mantenere il regime di stretta separazione fra il sistema delle fonti della politica estera e quello delle altre fonti dell’integrazione europea. Difatti, l’art. 25 ter del Trattato sull’Unione prevede che: “L’attuazione della politica estera e di sicurezza comune lascia impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l’esercizio delle competenze dell’Unione di cui agli articoli da 2 B a 2 E del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. L’attuazione delle politiche previste in tali articoli lascia parimenti impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l’esercizio delle competenze dell’Unione a titolo del presente capo”. Tale separazione peraltro non è facilmente compatibile con l’idea di una azione esterna coordinata, prevista dagli articoli 10 A, n. 3 del Trattato sull’Unione e 188 A del Trattato sul funzionamento dell’Unione. Dato infatti che gli scopi dell’azione esterna dell’Unione, previsti dalla parte V del Trattato sul funzionamento dell’Unione, rinviano genericamente agli scopi dell’azione esterna dell’Unione, previsti all’art. 10 A del Trattato UE, è assai difficile perseguirli senza pregiudicare l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni previste dal Trattato sull’Unione nel campo della politica estera.
3. Conviene notare poi come il Trattato di riforma abbia “riformato” la maggiore innovazione introdotta dal Trattato costituzionale sul sistema delle fonti, e cioè la figura della legge europea. Le fonti non sono qualificate come leggi ma bensì come regolamenti, direttive, decisioni (art. 249 del Trattato sul funzionamento). Tuttavia, con singolare inversione linguistica, l’art. 249 A qualifica le fonti secondarie come atti legislativi. Tale qualificazione, peraltro, non è automatica ma discende dal particolare procedimento utilizzato per la loro adozione. Infatti, i regolamenti, le direttive e le decisioni sono atti legislativi solo ... se adottati con procedura legislativa (art. 249 A, par. 3).
Per la formazione di un sistema unitario di fonti normative sarebbero necessarie tre condizioni: che la procedura legislativa fosse uniforme nei vari campi nei quali essa si applica; che vi fosse un rapporto chiaro fra tale procedura e l’esistenza di procedure legislative speciali; che, infine, vi fosse un rapporto chiaro fra atti legislativi e atti non legislativi.
Nessuna di queste condizioni peraltro si realizza nel sistema del Trattato di riforma.
L’art. 249 A definisce la procedura legislativa ordinaria distinguendola da quella speciale. La procedura legislativa ordinaria coincide con quella che oggi è nota con il nome di procedura di codecisione. Le procedure legislative speciali dovrebbero essere quelle nelle quali il potere legislativo spetta al Parlamento con partecipazione di Consiglio o, più spesso, al Consiglio con la partecipazione del Parlamento.
Non sempre, peraltro, la procedura ordinaria si presenta con carattere di uniformità. Talvolta ad essa si accompagnano delle variazioni significative. Così, ad esempio, nel campo della politica monetaria è prevista la consultazione della Banca centrale; nel campo della politica sociale la consultazione del Comitato economico e sociale; nel campo dell’energia una consultazione del Comitato delle Regioni, e così via.
A propria volta, la procedura speciale non è una procedura uniforme. Sotto questa formula si cela infatti una miriade di procedimenti legislativi speciali. Il termine procedura speciale indica sovente l’attuale procedura di consultazione (v. ad esempio, gli articoli 18 e 22 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, in tema di cittadinanza). Ma le modalità di intervento dei vari organi in questo modello procedurale di base sono assai varie. Ad esempio, nel campo della politica fiscale e del ravvicinamento delle legislazioni (articoli 93 e 95 del Trattato sul funzionamento dell’Unione) la consultazione si estende al Parlamento e al Consiglio economico e sociale. Nel campo della politica monetaria, essa comprende, oltre a queste due istituzioni, anche la Banca centrale europea (art. 103, par. 6).
Talvolta con la formula della procedura legislativa speciale si indica un procedimento rafforzato. L’art. 69 E, par. 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, ad esempio, prevede infatti, per l’istituzione di una procura europea, un procedimento che richiede l’unanimità del Consiglio e l’approvazione del PE, i cui risultati possono peraltro essere alterati da una decisione adottata in consultazione con la Commissione.
Altre volte, la procedura speciale e quella ordinaria si intersecano creando seri problemi di chevauchement. Così, ad esempio, l’art. 166 in tema di ricerca scientifica prevede, al par. 1, che i programmi quadro siano approvati con procedura speciale, consistente in un voto del Consiglio previa consultazione del Parlamento e del Consiglio economico e sociale. A propria volta, tali programmi quadro sono eseguiti da programmi specifici (parr. 3 e 4) adottati con procedura ordinaria previa consultazione del Comitato economico e sociale.
Insomma, non solo procedura speciale e procedura ordinaria non sono fungibili fra loro. Ma inoltre, nessuna di esse vale a definire una tipologia legislativa unitaria. Né è ravvisabile un rapporto di regola ed eccezione fra di esse. Di conseguenza, gli atti adottati sulla loro base non sono fungibili né rappresentano categorie di fonti unitarie.
Un elemento che può attenuare questa conclusione, in una prospettiva evolutiva, è dato dal fatto che il Trattato sul funzionamento dell’Unione traccia, all’art. 48, par. 7, una chiara linea di tendenza a favore della estensione della procedura ordinaria.
4. La distinzione fra atti legislativi e atti non legislativi nel Trattato di riforma è tracciata in ragione della procedura. Ha natura di atto legislativo l’atto adottato secondo la procedura legislativa. Ha natura di atto non legislativo l’atto adottato secondo altre procedure. È ragionevole presumere che a questa differenza formale si debba però accompagnare anche una diversità di regime giuridico. Negli ordinamenti nazionali la relazione fra atti legislativi è una distinzione che rileva del rispettivo grado gerarchico: gli atti non legislativi sono subordinati agli atti legislativi. Non è questa tuttavia la relazione fra atti legislativi e atti non legislativi adottata dal Trattato di riforma.
Un esempio che illustra la difficoltà di tracciare la distinzione fra atti legislativi e atti non legislativi in ragione del rispettivo valore delle norme da esse prodotte viene dall’analisi della categoria delle decisioni.
Normalmente tale termine indica atti di natura sub-legislativa, e quindi, di rango subordinato rispetto alle norme prodotte da atti legislativi. Altre volte però esso indica atti di natura “super-legislativa”, quali le decisioni di politica estera o le decisioni nel campo della revisione dei trattati.
Di natura “super-legislativa” sono anche le decisioni con le quali si condiziona l’esercizio di competenze comunitarie. Ad esempio, l’art. 65, par. 3, comma 2, prevede che una decisione del Consiglio, adottata all’unanimità, individui gli aspetti del diritto di famiglia avente effetti transnazionali, sui quali si potrà intervenire con atti legislativi. Altro esempio è dato dall’art. 69 B, par. 1, comma 3, che consente al Consiglio di individuare altri crimini che rientrino nella definizione dell’art. 69 B).
Non mancano nel sistema del Trattato decisioni di natura ... mista. Un esempio è dato dagli articoli 57 e 58, che descrivono un curioso sistema nel quale decisioni adottate dal Consiglio all’unanimità e non aventi carattere legislativo potrebbero spiegare funzioni analoghe rispetto a quelle affidate ad atti legislativi.
Abbiamo infine decisioni che dovrebbero avere natura legislativa ma che non costituiscono un atto legislativo. Un esempio a riguardo è quello proposto dall’art. 63, par. 2, lett. d), che prevede che il Consiglio, deliberando all’unanimità, previa approvazione del PE, adotti una decisione che stabilisca elementi minimi di procedura penale. Si tratterebbe infatti di un atto adottato sulla base di una procedura legislativa speciale che, tuttavia, non sembra essere un atto legislativo.
L’analisi del Trattato mostra quindi come vi siano atti non legislativi che attuano atti legislativi, ai quali si accompagna tuttavia l’esistenza di una serie di atti non legislativi autonomi ed aventi effetti di vario tipo. Il Trattato prevede anche l’esistenza di atti non legislativi tesi ad attuare atti legislativi che tuttavia possono derogare a questi ultimi. Insomma, sulla base della lettura delle disposizioni del nuovo Trattato è assai difficile individuare una chiara distinzione di regime giuridico fra atti legislativi e atti non legislativi.
5. Se il tentativo dei redattori del nuovo Trattato di riforma era quello di razionalizzare il sistema delle fonti dell’Unione, e di ricondurre le varie figure di fonti ad un disegno unitario, esso non può dirsi del tutto riuscito. Nel nuovo Trattato permane infatti una pluralità di sistemi e sottosistemi di fonti normative assai difficili da coordinare nei loro rapporti reciproci.
Alla base di tale difficoltà sembra essere la circostanza che l’attuale stato di frammentazione del sistema di fonti normative non è casuale, ma risponde ad un particolare modo d’essere dell’ordinamento giuridico dell’integrazione. Esso è fondato infatti sulla identificazione di settori specifici di competenza attribuiti all’Unione, rispetto ai quali, quindi, l’Unione può agire con strumenti rigorosamente predeterminati dagli Stati membri nel Trattato istitutivo. In ciascuno di questi settori, l’azione dell’Unione finisce con il costituire dei microsistemi normativi autonomi e privi, in astratto, di interazione con gli altri.
L’esistenza di una pluralità di sistemi e sub-sistemi di fonti normative non costituisce quindi frutto del caso ma è la conseguenza logica dell’asimmetria del processo di integrazione nei vari settori, e della volontà degli Stati membri di vincolare l’azione dell’Unione in ciascuno di questi al perseguimento di scopi e all’utilizzazione di strumenti espressamente predeterminati dal Trattato. Fino a quando questa struttura concettuale, nota con il nome di principio dei poteri attribuiti, costituirà la forma giuridica fondamentale dell’integrazione europea, la creazione di un sistema unitario delle fonti normative dell’Unione non sarà un risultato agevole da raggiungere.
Una aspettativa in questo senso si era già prodotta in relazione ai lavori di redazione del Trattato costituzionale, che aveva fra i suoi compiti quello di semplificare e razionalizzare il sistema normativo dell’Unione. Come è noto, infatti, il Trattato costituzionale introduceva la figura della legge europea e stabiliva una procedura legislativa ordinaria.
Al di là del carattere simbolico di tali innovazioni, esse non erano parse ai primi commentatori di portata tale da ingenerare un cambiamento significativo rispetto all’assetto attuale.
Innanzitutto, la semplificazione del sistema era più apparente che reale. L’introduzione della categoria della legge europea non escludeva affatto l’esistenza di fonti atipiche che, anzi, emergevano in continuazione nella lettura del Trattato, senza che fossero sempre chiari i loro rapporti con la figura generale della legge. Anche l’unificazione del procedimento legislativo era più apparente che reale, dato che al procedimento ordinario si accompagnava una miriade di procedimenti speciali atti a svuotare di gran parte di significato l’idea stessa dell’unicità del procedimento di formazione di atti secondari. Al di là di qualche modifica formale, inoltre, il Trattato costituzionale non provvedeva ad un coordinamento fra fonti della politica estera e fonti delle politiche materiali dell’Unione. Le due categorie di fonti restavano anzi sottoposte ad un regime giuridico ben diverso. Il coordinamento fra esse era assicurato da strumenti di incerto effetto giuridico.
2. Il Trattato di riforma recepisce sostanzialmente le soluzioni del Trattato costituzionale. Come è noto, tuttavia, a differenza del Trattato costituzionale, imperniato sull’idea di concentrare in un documento unitario la normativa primaria, il nuovo Trattato di riforma consiste di due strumenti convenzionali, il Trattato sull’Unione e il Trattato sul funzionamento dell’Unione. Di conseguenza, disposizioni sulle fonti sono contenute sia nell’uno che nell’altro strumento. Questa scelta contribuisce peraltro ad incrementare le difficoltà di ricostruzione di un sistema organico e unitario delle fonti dell’Unione.
Questa difficoltà si avverte innanzitutto nel definire l’assetto delle fonti di politica estera, disciplinate dal Trattato sull’Unione, e il loro rapporto con le fonti relative alle altre politiche dell’Unione, disciplinate soprattutto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione.
In proposito, il nuovo Trattato sembra innanzitutto mantenere il regime di stretta separazione fra il sistema delle fonti della politica estera e quello delle altre fonti dell’integrazione europea. Difatti, l’art. 25 ter del Trattato sull’Unione prevede che: “L’attuazione della politica estera e di sicurezza comune lascia impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l’esercizio delle competenze dell’Unione di cui agli articoli da 2 B a 2 E del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. L’attuazione delle politiche previste in tali articoli lascia parimenti impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l’esercizio delle competenze dell’Unione a titolo del presente capo”. Tale separazione peraltro non è facilmente compatibile con l’idea di una azione esterna coordinata, prevista dagli articoli 10 A, n. 3 del Trattato sull’Unione e 188 A del Trattato sul funzionamento dell’Unione. Dato infatti che gli scopi dell’azione esterna dell’Unione, previsti dalla parte V del Trattato sul funzionamento dell’Unione, rinviano genericamente agli scopi dell’azione esterna dell’Unione, previsti all’art. 10 A del Trattato UE, è assai difficile perseguirli senza pregiudicare l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni previste dal Trattato sull’Unione nel campo della politica estera.
3. Conviene notare poi come il Trattato di riforma abbia “riformato” la maggiore innovazione introdotta dal Trattato costituzionale sul sistema delle fonti, e cioè la figura della legge europea. Le fonti non sono qualificate come leggi ma bensì come regolamenti, direttive, decisioni (art. 249 del Trattato sul funzionamento). Tuttavia, con singolare inversione linguistica, l’art. 249 A qualifica le fonti secondarie come atti legislativi. Tale qualificazione, peraltro, non è automatica ma discende dal particolare procedimento utilizzato per la loro adozione. Infatti, i regolamenti, le direttive e le decisioni sono atti legislativi solo ... se adottati con procedura legislativa (art. 249 A, par. 3).
Per la formazione di un sistema unitario di fonti normative sarebbero necessarie tre condizioni: che la procedura legislativa fosse uniforme nei vari campi nei quali essa si applica; che vi fosse un rapporto chiaro fra tale procedura e l’esistenza di procedure legislative speciali; che, infine, vi fosse un rapporto chiaro fra atti legislativi e atti non legislativi.
Nessuna di queste condizioni peraltro si realizza nel sistema del Trattato di riforma.
L’art. 249 A definisce la procedura legislativa ordinaria distinguendola da quella speciale. La procedura legislativa ordinaria coincide con quella che oggi è nota con il nome di procedura di codecisione. Le procedure legislative speciali dovrebbero essere quelle nelle quali il potere legislativo spetta al Parlamento con partecipazione di Consiglio o, più spesso, al Consiglio con la partecipazione del Parlamento.
Non sempre, peraltro, la procedura ordinaria si presenta con carattere di uniformità. Talvolta ad essa si accompagnano delle variazioni significative. Così, ad esempio, nel campo della politica monetaria è prevista la consultazione della Banca centrale; nel campo della politica sociale la consultazione del Comitato economico e sociale; nel campo dell’energia una consultazione del Comitato delle Regioni, e così via.
A propria volta, la procedura speciale non è una procedura uniforme. Sotto questa formula si cela infatti una miriade di procedimenti legislativi speciali. Il termine procedura speciale indica sovente l’attuale procedura di consultazione (v. ad esempio, gli articoli 18 e 22 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, in tema di cittadinanza). Ma le modalità di intervento dei vari organi in questo modello procedurale di base sono assai varie. Ad esempio, nel campo della politica fiscale e del ravvicinamento delle legislazioni (articoli 93 e 95 del Trattato sul funzionamento dell’Unione) la consultazione si estende al Parlamento e al Consiglio economico e sociale. Nel campo della politica monetaria, essa comprende, oltre a queste due istituzioni, anche la Banca centrale europea (art. 103, par. 6).
Talvolta con la formula della procedura legislativa speciale si indica un procedimento rafforzato. L’art. 69 E, par. 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, ad esempio, prevede infatti, per l’istituzione di una procura europea, un procedimento che richiede l’unanimità del Consiglio e l’approvazione del PE, i cui risultati possono peraltro essere alterati da una decisione adottata in consultazione con la Commissione.
Altre volte, la procedura speciale e quella ordinaria si intersecano creando seri problemi di chevauchement. Così, ad esempio, l’art. 166 in tema di ricerca scientifica prevede, al par. 1, che i programmi quadro siano approvati con procedura speciale, consistente in un voto del Consiglio previa consultazione del Parlamento e del Consiglio economico e sociale. A propria volta, tali programmi quadro sono eseguiti da programmi specifici (parr. 3 e 4) adottati con procedura ordinaria previa consultazione del Comitato economico e sociale.
Insomma, non solo procedura speciale e procedura ordinaria non sono fungibili fra loro. Ma inoltre, nessuna di esse vale a definire una tipologia legislativa unitaria. Né è ravvisabile un rapporto di regola ed eccezione fra di esse. Di conseguenza, gli atti adottati sulla loro base non sono fungibili né rappresentano categorie di fonti unitarie.
Un elemento che può attenuare questa conclusione, in una prospettiva evolutiva, è dato dal fatto che il Trattato sul funzionamento dell’Unione traccia, all’art. 48, par. 7, una chiara linea di tendenza a favore della estensione della procedura ordinaria.
4. La distinzione fra atti legislativi e atti non legislativi nel Trattato di riforma è tracciata in ragione della procedura. Ha natura di atto legislativo l’atto adottato secondo la procedura legislativa. Ha natura di atto non legislativo l’atto adottato secondo altre procedure. È ragionevole presumere che a questa differenza formale si debba però accompagnare anche una diversità di regime giuridico. Negli ordinamenti nazionali la relazione fra atti legislativi è una distinzione che rileva del rispettivo grado gerarchico: gli atti non legislativi sono subordinati agli atti legislativi. Non è questa tuttavia la relazione fra atti legislativi e atti non legislativi adottata dal Trattato di riforma.
Un esempio che illustra la difficoltà di tracciare la distinzione fra atti legislativi e atti non legislativi in ragione del rispettivo valore delle norme da esse prodotte viene dall’analisi della categoria delle decisioni.
Normalmente tale termine indica atti di natura sub-legislativa, e quindi, di rango subordinato rispetto alle norme prodotte da atti legislativi. Altre volte però esso indica atti di natura “super-legislativa”, quali le decisioni di politica estera o le decisioni nel campo della revisione dei trattati.
Di natura “super-legislativa” sono anche le decisioni con le quali si condiziona l’esercizio di competenze comunitarie. Ad esempio, l’art. 65, par. 3, comma 2, prevede che una decisione del Consiglio, adottata all’unanimità, individui gli aspetti del diritto di famiglia avente effetti transnazionali, sui quali si potrà intervenire con atti legislativi. Altro esempio è dato dall’art. 69 B, par. 1, comma 3, che consente al Consiglio di individuare altri crimini che rientrino nella definizione dell’art. 69 B).
Non mancano nel sistema del Trattato decisioni di natura ... mista. Un esempio è dato dagli articoli 57 e 58, che descrivono un curioso sistema nel quale decisioni adottate dal Consiglio all’unanimità e non aventi carattere legislativo potrebbero spiegare funzioni analoghe rispetto a quelle affidate ad atti legislativi.
Abbiamo infine decisioni che dovrebbero avere natura legislativa ma che non costituiscono un atto legislativo. Un esempio a riguardo è quello proposto dall’art. 63, par. 2, lett. d), che prevede che il Consiglio, deliberando all’unanimità, previa approvazione del PE, adotti una decisione che stabilisca elementi minimi di procedura penale. Si tratterebbe infatti di un atto adottato sulla base di una procedura legislativa speciale che, tuttavia, non sembra essere un atto legislativo.
L’analisi del Trattato mostra quindi come vi siano atti non legislativi che attuano atti legislativi, ai quali si accompagna tuttavia l’esistenza di una serie di atti non legislativi autonomi ed aventi effetti di vario tipo. Il Trattato prevede anche l’esistenza di atti non legislativi tesi ad attuare atti legislativi che tuttavia possono derogare a questi ultimi. Insomma, sulla base della lettura delle disposizioni del nuovo Trattato è assai difficile individuare una chiara distinzione di regime giuridico fra atti legislativi e atti non legislativi.
5. Se il tentativo dei redattori del nuovo Trattato di riforma era quello di razionalizzare il sistema delle fonti dell’Unione, e di ricondurre le varie figure di fonti ad un disegno unitario, esso non può dirsi del tutto riuscito. Nel nuovo Trattato permane infatti una pluralità di sistemi e sottosistemi di fonti normative assai difficili da coordinare nei loro rapporti reciproci.
Alla base di tale difficoltà sembra essere la circostanza che l’attuale stato di frammentazione del sistema di fonti normative non è casuale, ma risponde ad un particolare modo d’essere dell’ordinamento giuridico dell’integrazione. Esso è fondato infatti sulla identificazione di settori specifici di competenza attribuiti all’Unione, rispetto ai quali, quindi, l’Unione può agire con strumenti rigorosamente predeterminati dagli Stati membri nel Trattato istitutivo. In ciascuno di questi settori, l’azione dell’Unione finisce con il costituire dei microsistemi normativi autonomi e privi, in astratto, di interazione con gli altri.
L’esistenza di una pluralità di sistemi e sub-sistemi di fonti normative non costituisce quindi frutto del caso ma è la conseguenza logica dell’asimmetria del processo di integrazione nei vari settori, e della volontà degli Stati membri di vincolare l’azione dell’Unione in ciascuno di questi al perseguimento di scopi e all’utilizzazione di strumenti espressamente predeterminati dal Trattato. Fino a quando questa struttura concettuale, nota con il nome di principio dei poteri attribuiti, costituirà la forma giuridica fondamentale dell’integrazione europea, la creazione di un sistema unitario delle fonti normative dell’Unione non sarà un risultato agevole da raggiungere.